“La scuola inizia e finisce in classe, non può essere ancella del sistema economico”. INTERVISTA a Barbara Evola

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Il suo percorso nel mondo della scuola è costernato di lunghe sfide. Da docente precaria a Palermo per 15 anni, oggi di ruolo, all’impegno come assessora all’Istruzione nella giunta di Leoluca Orlando, all’elezione di pochi giorni fa, come co-segretaria del Partito di Rifondazione Comunista nel capoluogo siciliano.

La professoressa Barbara Evola si racconta così a Orizzonte Scuola, nel suo impegno, ma soprattutto nell’amore per il suo lavoro come docente di ruolo in Lettere al Liceo Scientifico “Benedetto Croce” a Palermo. Una passione per le materie umanistiche sin da bambina, la scelta di un percorso di studi umanistico, fino all’insegnamento deciso in maniera consapevole, perchè, dice Evola: “Ho fatto esattamente quello che volevo fare”.

L’idea di scuola secondo Rifondazione

 “Un Partito piccolo come il mio, Rifondazione Comunista, fuori dalle Istituzioni da molto tempo che deve ricostruire un fronte comune per affrontare nuove battaglie. Veniamo da un Congresso nazionale che ha riorganizzato anche gli assetti locali, scegliendo una co-segreteria di genere a Palermo, per la prima volta, e una segretaria donna. Rifondazione ha ancora dei circoli sul territorio, abbiamo dei militanti, ma soffre di una crisi di partecipazione democratica, di attivismo, nonostante ci sia a Palermo, un corpo militante a servizio. Con ‘Pace, Terra e Dignità’ alle Europee 2024 non abbiamo superato lo sbarramento, per poco. Siamo in un sistema neo-capitalistico e neo-liberista che ha ancora bisogno della guerra perchè quello delle armi è un settore che non va in crisi.

Sulla questione scuola, con Rifondazione abbiamo portato avanti la battaglia contro l’autonomia differenziata accanto alla questione sul precariato. Cosa vogliamo? Una scuola che riveda il ‘tempo scuola’, e l’organizzazione del curriculo scolastico, che va rivisto in funzione dell’innalzamento dell’obbligo scolastico. Vanno rivisti i programmi, va fatta un’operazione importante nel rispetto della scuola disegnata dalla Costituzione, che offre la possibilità di diventare un ascensore sociale. Bisogna ridurre il numero di alunni nelle classi, aumentare il numero di ore, la scuola non può essere ancella del sistema economico. Poi lavorare sulla questione della formazione che è gestita dalle Regioni perchè si creino dei percorsi continuativi nella formazione sennò i ragazzi li perdi.”

Com’è andata l’esperienza come assessora all’istruzione a Palermo, poi consigliera comunale e presidente della Commissione Bilancio?

“Quella di assessora all’Istruzione nella giunta Orlando è stata una sfida. Dopo un’intera legislatura ho ricoperto il ruolo di consigliera comunale e di presidente della Commissione Bilancio. Come assessora, tra le altre cose mi sono occupata degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione. Ritengo che tutte le figure che circondano le bambine e i bambini con disabilità devono essere garantite nel tempo soprattutto quando il disagio è di tipo relazionale, quando ci sono bambini con autismo o con difficoltà nella comunicazione. Per garantire la continuità bisogna intervenire sul precariato. Le famiglie non devono scegliere l’insegnante di sostegno, perchè ritengo che la scuola non è un supermercato, anche se comprendo le loro necessità. Se il sistema è di graduatoria, quello va rispettato. Se ogni anno si matura un punteggio, nell’ambito della scelta fatta dall’operatore, sicuramente anche lui avrà interesse a mantenere la continuità.”

Qual è la sua idea di scuola in Italia?

“La mia idea di scuola è quella disegnata dalla Costituzione. Sono contraria a questo processo di ‘aziendalizzazione’ che parte da molto lontano. In 15 anni di precariato prima di entrare di ruolo con la pessima riforma di Renzi, ho avuto un’interruzione dovuta al mio ruolo di assessora all’istruzione a Palermo. Un ruolo diverso rispetto al mio attivismo con il Movimento dei Precari. Cinque anni da assessora, poi consigliera comunale, un anno dopo ho deciso di rientrare a scuola e concludere il mio percorso di assunzione a tempo indeterminato, con l’anno di prova. Sentivo il bisogno di ritornare a scuola. Mi sono ritrovata in una scuola cambiata, non mi sono sentita a mio agio, e continuo a non esserlo, perché è una scuola che non mi appartiene. Amo le mie materie, e spero di trasmettere questo alle mie alunne e agli alunni. Per me la scuola inizia e finisce in classe. Tutto il mondo dei progetti e delle varie funzioni strumentali ha creato soltanto un inasprimento del rapporto tra i colleghi, e un carico di lavoro che non riceve il dovuto compenso economico. Hanno spezzato la vita della comunità. Ci si accapiglia per ricoprire una funzione che viene pagata pochissimo a fronte di un lavoro indescrivibile. Questo processo di aziendalizzazione che parte da molto lontano è quasi arrivato al culmine.”

Il Liceo del Made in Italy, la nuova Educazione Civica, cosa ne pensa di queste novità?

“Il Liceo del Made in Italy, come le nuova Educazione civica dove si parla di patria, salvo volerla frammentare con l’autonomia differenziata, non mi piacciono. Il mercato chiederà sempre alla scuola di essere funzionale al sistema. Non è questa la scuola disegnata dalla Costituzione, quella intesa come luogo di formazione. I PCTO? In alcune scuole sono una perdita di tempo, e poi da noi non esistono fabbriche. Le ragazze e i ragazzi quando stanno a ragionare? Su un autore, sui libri, su un testo poetico? È una scuola bulimica che riempie i ragazzi di attività togliendo tempo allo studio. La scuola per me dev’essere una fucina, non può essere affidata soltanto al dirigente. A me piaceva la figura del preside, quella del dirigente che assimila la scuola a un’azienda, non mi piace.”

Sul disagio giovanile? Bullismo, femminicidi

“A scuola quest’anno ho una prima, una seconda e una quinta classe. Le famose ‘classi pollaio’ create dalla Gelmini, sono rimaste tali, e non aiutano chi è in difficoltà. Nella mia prima ci sono 29 studentesse e studenti. In certi quartieri, ad esempio, la ‘scuola dei compiti’ rischia di essere la ‘scuola delle differenze’ perché chi va a casa non ha la possibilità di essere affiancato. Bisogna investire economicamente su ciò che serve. Possiamo immaginare anche questo? Dove per i ragazzi si completi la possibilità di fare i compiti a scuola, e poi tornare a casa? A proposito del ‘Modello Caivano’ bisogna valutare nel tempo se questo cosiddetto ‘Modello’ funzioni prima di definirlo tale. Penso ai modelli educativi dell’Emilia Romagna, che hanno dato dei risultati, ma non mi pare siano stati esportati altrove.

Femminicidi e bullismo? I Governi cercano di rispondere ai vari problemi che vengono fuori. Si tira fuori l’educazione civica come l’affettività, che non aumentano il tempo scuola, ma si vanno a sommare alle poche ore che ciascun docente ha per la sua disciplina. Noi docenti inseguiamo il tempo per svolgere i programmi ministeriali che comunque restano tali. Nel frattempo dobbiamo fare l’orientamento e altre attività. Sull’affettività, chi terrà questa ora? Queste persone che verranno, ogni quanto? Facciamo come per lo psicologo a scuola? In una scuola di 1000 studenti, lo psicologo se riesce a fare un intervento nell’arco di quattro mesi in una classe, è tanto. Cosa può concludere? Forse bisogna partire da prima? In certi contesti bisognerebbe affiancare più gli adulti che i bambini. Forse dovremmo pensare che si debba lavorare perfino sulla genitorialità se vogliamo lavorare in termini di prevenzione del disagio giovanile?”

Sui programmi scolastici? Storia, geografia, scienze motorie, arte

“Forse bisogna immaginare che le scienze motorie, la psicomotricità debba essere introdotta con persone competenti sin dalla scuola dell’infanzia? Se vogliamo ragionare in termini di prevenzione dell’obesità? Magari collegarli con le mense, con un sistema ben studiato, in tante città già ci sono delle mense abbastanza curate. Per sviluppare la creatività, le discipline artistiche anziché essere sempre ridotte nell’orario possiamo introdurle da prima? Che idea abbiamo dello sviluppo delle nostre giovani e dei nostri giovani? Mi pare che nessuno abbia mai ragionato su una visione unitaria di scuola. Si ragiona in termini di risparmio o cercando di tamponare situazioni pensando che sulla scuola si debba rovesciare di tutto.

Sul programma del biennio? Un parcheggio nell’attesa di decidere se restare a casa, andare a lavorare o proseguire gli studi. Se hai aumentato l’obbligo scolastico allora devi ripensare i cinque anni. Una volta finivi la scuola media e decidevi cosa fare. I programmi di storia e geografia si ripetono dalla quarta elementare fino al biennio. Per i contenuti e l’idea, su come questi cicli si devono tenere insieme, non è mai intervenuto nessuno. La scuola media dovrebbe essere la cinghia di collegamento, ma nei fatti non riesce ad esserlo. Questo biennio è amorfo. Con il risultato di un livello d’istruzione tragico che viene fuori in tutta Italia ogni anno, non soltanto nel Meridione.

Un progetto unitario di scuola non l’ha mai avuto nessuno. Finora le riforme si sono mosse o nella direzione di un risparmio, partito con i tagli della Gelmini, che non sono stati messi in discussione nemmeno dalle altre riforme, a seguire. Nemmeno da quella di Renzi. La scuola soffre di un taglio degli organici, ma soprattutto del tempo studio. Di una diminuzione spaventosa di ore, che è quella che ha determinato la scelta dell’articolazione nei cinque giorni. In molte scuole il sabato non fanno attività didattica. Sei ore di scuola con quindici minuti di intervallo sono improponibili. Anche immaginare che dopo la scuola i ragazzi possano affrontare lo studio di cinque-sei discipline per il giorno successivo, è impensabile.”

Sul precariato, cosa si sente di dire ai colleghi?

“Vengo fuori da una gavetta molto lunga, 15 anni di precariato. È stata una scelta quella di non andare fuori dalla Sicilia per entrare subito di ruolo. Ho scelto di rimanere vicino ai miei affetti e alla mia famiglia. Questo ha comportato un percorso un pò travagliato. Soprattutto dal punto di vista lavorativo, ma anche dal lato umano. Ti ritrovi nell’arco dell’anno a cambiare più volte le classi lasciate da altri, sostituire per uno o pochi mesi, sperare che la collega rimanga a casa il più possibile per farti maturare punteggio. E poi non hai la sensazione di portare a termine qualche cosa. Ti senti a gettone. Non puoi costruire guardando con l’occhio lungo. Questa è la parte peggiore del precariato.

Questa interruzione continua di relazione con i colleghi, con gli studenti. Ogni anno sei quella con la valigetta pronta che deve cominciare da capo, devi entrare il primo giorno nella sala docenti, e c’è quello che ridacchia, quello che ti guarda e dice: questa da dove è venuta, non sa cosa l’aspetta. E poi l’incontro con gli occhi delle ragazze e dei ragazzi, entri al quinto anno, subentri ad una collega che aveva il suo metodo di studio, il suo approccio, e che aveva costruito una relazione di fiducia. Lì si gioca tutto. Ti devi giocare subito la prima carta: provare a rassicurarli, poi conquistarti un po’ di credibilità. Poi finisce l’anno, e ricomincia tutto da capo.

Oggi come docente di ruolo sono felice. Amo il mio lavoro. Ho la fortuna di poter seguire i miei alunni in un percorso lungo, dal primo al quinto anno di superiore. Da bambina avevo immaginato di fare tutt’altro, avrei voluto fare il chirurgo volontario in Africa. Poi ho scelto Lettere visto il mio rapporto problematico con la matematica e le materie scientifiche. Ho scelto la mia grande passione: quella delle materie umanistiche. Mi sono avvicinata all’insegnamento a scuola in maniera consapevole, e ho fatto esattamente quello che volevo fare.”

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Corso di dizione e fonetica per docenti: “LA FORMA CHE ESALTA IL CONTENUTO. L’insegnante come attore sul palcoscenico scuola”. Livello avanzato