La scuola discute e il disagio adolescenziale aumenta. Lettera

Mentre il mondo della scuola si interroga e discute sui decreti
applicativi della Legge 107 e sulle novità riguardanti gli esami di
maturità, continuano a registrarsi, tra gli adolescenti,
preoccupanti fenomeni di disagio e di violenza (Baby-gang, bullismo,
tentati suicidi ecc.).
Anche se non si può parlare ragionevolmente di educazione senza tenere
nel giusto conto i problemi, le insufficienze e i continui fallimenti
dell’impresa educativa, bisogna dire che, oggi, molti adolescenti
incontrano serie difficoltà a crescere in un clima di amore, di pace
e di serenità che non agevola la fiducia di base e, soprattutto,
rallenta quel sentimento di sicurezza indispensabile per affrontare la
realtà e tutte le false certezze che il mondo con le sue seduzioni
continuamente e incessantemente presenta sotto forma di libertà,
civiltà e progresso.
In una cultura che sta ormai per disperdersi in un mondo sempre più
incline a seguire gli esasperati riduzionismi del piacere e della
tecnica, che non riesce ad affrontare in modo congruo ed esaustivo i
numerosi problemi formativi, i percorsi educativi diventano sempre
più accidentati e sembrano destinati non a coronarsi di vittoria, ma
ad umiliarsi in una amara sconfitta.
Accade, perciò, che nella nostra società siano piuttosto frequenti
errori che alterano l’equilibrio emotivo-affettivo del ragazzo, il
quale, privo di adeguati meccanismi di difesa da parte dell’Io,
diventa sempre più intollerante, autolesionista, oppositivo, a volte
anche violento, e non riesce a progredire verso ideali formativi
capaci di migliorare le sue potenzialità positive a livello
cognitivo, relazionale, culturale e sociale.
Dopo tanto progresso tecnologico, l’aumento dell’istruzione, il
miglioramento delle condizioni civili, la diffusione di numerosi e
diversificati servizi socio-educativi, la saggezza pedagogica dovrebbe
invitarci a riflettere ed a riproporre un’ idea di formazione che
trascenda il quadro dei limitati e limitanti ambiti scolastici, che
nasca non da solitarie e accademiche riflessioni e dissertazioni, ma
all’interno di una pluralità di soggetti educanti conquistati dagli
ideali dell’ apostolato intellettuale e animati dal nobile intento
di spendersi costantemente e consapevolmente per l’opera educativa.
Da gran tempo la pedagogia e la psicologia hanno denunciato politiche
educative non in grado di promuovere il sincero, veritiero e fecondo
dialogo umano, che non riescono più a garantire una certa congruenza
tra gli obiettivi globali della scuola e gli obiettivi che riguardano
altri settori della vita sociale. La scuola, spesso, messa sotto
accusa per l’incapacità di assolvere ai suoi compiti istituzionali,
effettivamente, anche a causa delle troppe insidie quotidiane, avverte
le difficoltà a rispondere alla domanda di educazione proveniente
dalla società circostante.
Paradossalmente, l’eccesso di attenzione verso i processi di
scolarizzazione sta determinando il fallimento della scuola e si va
diffondendo l’antica consapevolezza che il problema educativo non può
e non deve esaurirsi nella scuola, essendo questa non l’unica
struttura preordinata per l’espletamento della funzione educativa
verso il bene. Trattasi di una deficienza pedagogica conseguente alle
carenze di programmi educativi troppo limitati alle competenze e di
riforme scolastiche affrettate e poco attente ai problemi del
carattere, della moralità, dell’interiorità.
Pertanto, la prassi educativa deve nuovamente iniziare a preoccuparsi
di recuperare ad ogni costo negli adolescenti la loro positività, la
loro bontà, perché l’educazione, sostanzialmente, è un atto di
riconoscenza e riparazione: rinnovare la vita, redimerla dalle sue
disgrazie, formare al rispetto dei valori che illuminano la
condotta e indicano la via del bene.
Fernando Mazzeo