La scuola dell’inclusione è ancora un’illusione. Lettera

Inviato da Luca Persico, insegnante primaria di Bergamo – Egregio professore, deluso collega,
la scuola a cui ti riferisci non è assolutamente inclusiva! Spendere soldi per i corsi di recupero di persone che non hanno nessuna voglia di fare un percorso scolastico non mostra nessuna intenzione o capacità di tipo inclusivo.
La scuola inclusiva fa sì che nessun alunno si trovi in una condizione di mancata motivazione o di grande dispregio per gli interessi/valori degli altri.
Ecco perché quella dell’inclusione mi sembrava (e mi sembra, stante la nostra cultura, le nostre capacità e possibilità) una missione impossibile!
L’ideale inclusivo è così perfetto che non può che essere disatteso. Al massimo può essere vagamente biascicato.
Neanche la gloriosa Gran Bretagna da dove arrivavano gli echi della sperimentazione inclusiva penso abbia mai realizzato qualcosa di serio e duraturo. Ho seguito per qualche tempo le gesta del “valoroso” professor Tony Booth teorico dell’inclusione; ho inteso tutta la sua teoria che ha riempito penso numerosi convegni e congressi (come è successo anche in Italia). Però passata la festa, gabbato lo santo…
Le sue intenzioni erano sicuramente apprezzabili, ma bisogna saper far i conti con la realtà. Spesso le asserite rivoluzioni se ne dimenticano. La Buona Scuola è stata l’ultima tra queste.
Quindi la rivoluzione inclusiva è stata semplicemente una mano di bianco data su muri vetusti ed incapaci di sopportare seppur minime ristrutturazioni. La storia della scuola (e non solo della scuola) vive di queste trovate: momenti di… ricreazione (non ricercazione) e poco più. Siamo la scuola illusiva, non inclusiva.
I tristi risultati ottenuti però non ci devono far abbandonare il senso della sfida, anche se preferirei si configurasse di più come il senso della giustizia e dell’equità (altrimenti noto come il senso dell’inclusione…)
Luca Persico – insegnante primaria – Bergamo
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