La prof che alla maturità interroga su Brigate Rosse, Gelli, Meloni, Salvini, Donbass e Protocollo di Minsk. “Ci vuole attenzione alla contemporaneità” [INTERVISTA]
Le Brigate Rosse, i NAR, Licio Gelli, la Strategia della tensione. E ancora: il Piano Solo, il Golpe Borghese, le stragi, il Compromesso storico e il caso Moro. Franceschini e Moretti. Prima e seconda Repubblica. Dc, Pci, Psi ma anche Fratelli d’Italia e la Lega, Meloni e Salvini. La nuova Cortina di ferro e il Protocollo di Minsk, e il Donbass. La Shoah e il genocidio in Ruanda, passando per le Foibe e la Guerra mondiale.
La Storia, talvolta, non si ferma a Piazzale Loreto. E così può capitare, a chi ha assistito agli esami di Stato presso l’Istituto tecnico economico Barozzi di Modena, di essere colpito in maniera davvero straordinaria dalla scioltezza con cui molti studenti hanno parlato, nel colloquio conclusivo dell’ultimo ciclo di studi prima dell’università, di argomenti, temi e fenomeni che in genere non trovano posto nei programmi di Storia. Programmi che sovente si fermano ai primi anni del Secondo Dopoguerra, tanto che viene spesso stigmatizzata anche sui media una presunta, proverbiale ignoranza degli studenti circa i fatti di solo venti o trent’anni orsono. Quasi fosse colpa loro.
A giustificare la diffusa omissione di parti importanti della nostra Storia contemporanea, ricorre spesso l’alibi della necessità di salvaguardare gli alunni da un presunto rischio di politicizzazione del sapere, come se la nascita del Pd avvenuta alcuni anni orsono avesse minor dignità della nascita del Pci avvenuta il 21 gennaio del 1921 o come se illustrare le fonti relative alla Strategia della tensione non avesse la stessa importanza della presentazione delle fonti di qualunque evento o fenomeno storico che troviamo invece ampiamente illustrato nei libri di testo.
Quella del rischio di politicizzazione «è un’obiezione che si fa sempre allo storico che studia i fenomeni contemporanei», commenta la professoressa Alessandra Marani, docente di Italiano e Storia presso l’istituto modenese, la stessa che ha preparato e alla fine esaminato i propri alunni sugli argomenti in questione. «Io ho avuto la fortuna di studiare con il professor Giovanni Miccoli che ha scritto delle pagine fondamentali su questo argomento. Miccoli dice che per sfuggire ai cavalli furibondi dell’ideologia l’unica strada è quella di un lavoro storico rigoroso sulle fonti. Lui diceva sempre che il compito dello storico non è quello di giudicare ma di comprendere e questa visione è quella a cui cerco di restare ancorata. Come ad esempio con la presentazione proprio di un fenomeno come le Brigate rosse o i movimenti neofascisti in una maniera storicamente fondata, a partire dall’esame delle fonti, inserendolo nei movimenti storici o ideologici di lungo periodo». E ancora: «Io credo che l’innovazione didattica non sia tanto quella di usare le nuove tecnologie. L’innovazione didattica è l’insegnante che recupera la creatività del proprio lavoro che per chi insegna storia è appunto osservare i fenomeni contemporanei e inserirli all’interno di un problema storico, proprio come diceva Miccoli. Il compito di uno storico è quello di inserire in un problema storico tanti fatti contemporanei che sembrano slegati tra loro».
Piano Solo, Golpe Borghese, Strategia della tensione. E ancora: Franceschini e Moretti, Brigate rosse, i Nar. Colpiscono queste domande e colpiscono gli studenti che dialogano con disinvoltura su questi temi. Molti pensano che i programmi si fermano alla Seconda Guerra mondiale. Professoressa Alessandra Marani, allora non è così?
«Le Indicazioni nazionali, stabiliscono che il programma di storia vada dall’Età giolittiana fino a dove si riesce. E’ chiaro che con la necessità di rispettare i tempi dei ragazzi, con le interrogazioni, con la pausa didattica, con l’obbligo di recuperare ogni verifica e ogni interrogazione che siano andate male, diciamo che se va bene si riesce ad arrivare ai lavori dell’Assemblea Costituente e poco più, sebbene uno lavori, non è che perda tempo. Sono solo due ore ogni settimana e poi ci sono tutti i vincoli descritti».
Con la Costituente siamo agli anni che precedono il 1948. Ma intanto, ad arrivare a oggi, è trascorso quasi un altro secolo
«In quinta una volta si studiava la costruzione dello Stato unitario, cosa che è stata anticipata in quarta proprio per consentire di arrivare vicino alla contemporaneità. Io ci ho pensato per un po’ di tempo e poi ho deciso di seguire un metodo diverso che è che è quello di vedere le radici dei fenomeni contemporanei nel medio e nel lungo periodo. Ad esempio abbiamo fatto un’unità didattica sui movimenti neofascisti oggi in Europa e in Italia e andando all’indietro siamo arrivati al Fascismo italiano. La stessa cosa per l’unità didattica sulle Brigate rosse, perché siamo partiti dagli anni di piombo e siamo andati indietro fino alla nascita del Partito socialista alla fine del ‘900 e quello comunista del 1921. Così si rispettano i programmi ministeriali ma utilizzando un metodo di insegnamento storicamente molto più corretto che è quello di trovare le radici dei fenomeni contemporanei nei fenomeni del passato. Anche la Strategia della tensione è stata inserita all’interno dell’unità didattica sui movimenti neofascisti in Europa oggi. Sulla Strategia della tensione, che è negli anni ’70, si possono considerare radici di medio periodo, mentre il Fascismo ha radici di lungo periodo.
Lei ha proposto la storia dei partiti politici, anche di quelli attuali. Ha parlato dei genocidi partendo da quello del Ruanda. E la guerra attuale in Ucraina affonda le radici nel Medioevo
«Abbiamo iniziato con due dei partiti della Seconda repubblica, cioè Fratelli d’Italia e la Lega, per poi parlare di quelli della prima Repubblica, e quindi saldarci alla nascita della Repubblica. L’altro fenomeno che abbiamo esaminato in questa modalità didattica è stato il tema della discriminazione e del genocidio, perché si sono visti due genocidi degli anni ’90, uno cioè in Bosnia, l’altro in Ruanda e poi si è parlato della Shoah e anche della nascita e dello sviluppo del termine genocidio.
Un altro argomento svolto sempre in questo modo è stato quello dell’imperialismo partendo dall’indipendenza della Libia degli anni ’50 e andando all’indietro per ricostruire la storia della politica coloniale italiana fino alla fine dell’800. E’ chiaro che in questa unità didattica come nella Shoah si è intrecciata la Seconda guerra mondiale. Invece di studiare la guerra mondiale in sé, si è studiato ad esempio la Shoah dentro la guerra mondiale e la politica coloniale dentro la guerra mondiale. Secondo me questo è un metodo storicamente più corretto e credo che sia emerso nell’unità didattica sulla guerra tra Russia e Ucraina per la quale siamo andati appunto a ritroso fino alla nascita della Rus’ di Kiev in Età medievale passando per la politica di Caterina di Russia nell’Illuminismo, a quella di Stalin. Quindi, sì, per capire il discorso di Putin del 22 febbraio 2022 bisogna ricostruire il fenomeno storico che ha radici nel Medioevo»
A che cosa si ispira sul piano della didattica della storia?
«Quello che mi ha ispirato dal punto di vista storico è la Scuola storiografica degli Annales, che afferma che per comprendere un fatto occorre analizzare le sue radici appunto fino al lungo periodo altrimenti non lo si comprende davvero. L’altra cosa per cui ho pensato di fare questa scelta didattica è che la nostra vita individuale e personale funziona nello stesso modo e dunque è importante che i ragazzi acquisiscano un abito mentale che va a cercare la spiegazione anche degli avvenimenti personali in ciò che è successo nel medio e nel lungo periodo: spesso abbiamo detto che per capire le ragioni di una bocciatura o di un anno andato male a scuola occorra cercare i motivi nella propria storia personale all’indietro. Un ultimo motivo è che l’attenzione alla contemporaneità e alla comprensione di come i fenomeni storici contemporanei si sono formati è alla base della formazione di un cittadino consapevole».
Alcuni però sottolineano, in questi casi, il rischio della politicizzazione degli studenti. Che cosa risponde?
«E’ un’obiezione che si fa sempre allo storico che studia i fenomeni contemporanei. Io ho avuto la fortuna di studiare con il professor Giovanni Miccoli che ha scritto delle pagine fondamentali su questo argomento. Dice che per sfuggire ai cavalli furibondi dell’ideologia l’unica strada è quella di un lavoro storico rigoroso sulle fonti. Lui diceva sempre che il compito dello storico non è quello di giudicare ma di comprendere e questa visione è quella a cui cerco di restare ancorata. Come ad esempio con la presentazione proprio di un fenomeno come le Br o i movimenti neofascisti in una maniera storicamente fondata, a partire dall’esame delle fonti, inserendolo nei movimenti storici o ideologici di lungo periodo».
Come rispondono i ragazzi?
«Con un grandissimo interesse durante le lezioni. Del resto sono tanti anni che sento questa domanda di studiare di più le cose che succedono oggi e di non fermarsi solo al passato. Di solito in classe c’è un silenzio assoluto, tutti ascoltano perché sono cose che non hanno mai studiato mentre gli altri altri argomenti li hanno già studiati nel passato, portandoli ad esempio all’esame di terza media. Poi resta la difficoltà che loro hanno di passare dall’ascolto allo studio. Ho notato che studiare la Rivoluzione francese o i partiti politici o la storia dei Fratelli d’Italia o della Lega a loro risulta faticoso e difficile allo stesso modo, e questo mi sembra indicativo».
Di che cosa?
«Di come, per i nostri studenti, nel momento in cui devono fare la fatica dell’apprendimento, qualunque argomento è uguale. Si fa fatica a gestire lo studio, che è fatica, che sia diritto o che siano le lingue che serviranno loro moltissimo. Non sono tutti così: è chiaro che c’è chi studia la Rivoluzione francese con lo stesso impegno con cui studia Salvini, ma per molti altri non succede. Questo per dire che quando si afferma che se studiassimo cose più contemporanee studeriemmo più volentieri in realtà non è sempre così. Secondo me il nodo fondamentale è che l’apprendimento è fatica e non un piacere e credo che loro facciano girare tutta l’esistenza sulla categoria del piacere».
Per gli studenti di quarant’anni orsono era diverso?
«I sociologi sostengono che la nostra generazione era stata educata ad anteporre il dovere al piacere. Mentre oggi i sociologi parlano di una società narcisistica, la nostra. Questo vuol dire che fin da piccoli i nostri studenti sono abituati a soddisfare in maniera immediata i propri bisogni e a ottenere il piacere e non sono educati dai genitori a ottenere un piacere attraverso una fatica. Sembra che sia la cifra delle nuove generazioni. Per cui la scuola ha il suo da fare perché l’apprendimento è fatica.
Io credo che il proliferare di fake news sia anche legato alla fatica del controllo. Che in storia significa esame delle fonti, metterle in parallelo, sapere che non c’è una risposta semplice a un fenomeno storico ma che ci sono tante fonti che s’intrecciano per produrlo. Questo abito mentale aiuterebbe invece loro a essere meno vittime delle fake news, che sono sono spiegazioni a buon mercato di fenomeni complessi. E’ molto facile trovare un responsabile: così ad esempio il Covid o non esiste e se esiste lo hanno diffuso i cinesi. Loro non sono abituati alla fatica dell’analisi dei fenomeni. L’analisi è complessa, non può essere semplice»
Che cosa si perdono quegli studenti che invece si perdono lo studio degli ultimi 50 anni di storia?
«Una cosa importantissima: la capacità di comprendere la realtà in cui viviamo, quella storica e quella politica. Ad esempio una ragazzina, quando abbiamo studiato la storia del partito Fratelli d’Italia e ne abbiamo analizzato il simbolo, inizialmente lo ha preso come un simbolo così costruito. Quando più avanti abbiamo studiato il Msi, lei ha notato e segnalato che una parte del simbolo, la fiamma, è ancora presente in Fratelli d’Italia e quindi ci sono delle radici di questo partito che si rifanno al Msi, che era un partito che si rifaceva esplicitamene al regime fascista. Far presente questa cosa non è ideologia, è il lavoro dello storico. E’ far vedere che nel passato ci sono le radici di fenomeni del presente. Poi a me non interessa dove mettano la croce e cosa votino e cosa pensino. L’importante è sapere che ci sono delle continuità nei fenomeni storici. I partiti politici sono dei fenomeni storici come gli altri».
I ragazzi diventano in questo modo più capaci di capire i fenomeni sociali attuali oltre che quelli storici?
«Sì, i ragazzi mi hanno detto che ci sono cose che non avrebbero capito senza queste lezioni e la sfida è secondo me che l’insegnante diventi un osservatore dei fenomeni storici contemporanei e costruisca le sue lezioni facendo appunto notare le radici nel passato dei fenomeni che viviamo. Ad esempio, in merito alle lezioni sui movimenti neofascisti in Europa e in Italia, i ragazzi mi hanno detto: non pensavamo fossero così diffusi. Anche questo credo abbia dato la consapevolezza dell’entità di un fenomeno presente nel nostro Paese e in Europa e di cui pochi parlano. Io credo che l’innovazione didattica non sia tanto quella di usare le nuove tecnologie, anche se io ho usato le slides. L’innovazione didattica è l’insegnante che recupera la creatività del proprio lavoro che per chi insegna storia è appunto osservare i fenomeni contemporanei e inserirli all’interno di un problema storico come diceva Miccoli. Il compito di uno storico è quello di inserire in un problema storico tanti fatti contemporanei che sembrano slegati tra loro».
Come nasce questa sua grande passione per la storia contemporanea?
«Io all’università ero iscritta alla facoltà di storia moderna, ma nel corso degli studi mi sono spostata sull’Ottocento e sul Novecento e ho fatto una tesi sull’Età contemporanea. E anche un dottorato, così ho potuto fare ricerca storica».
Con l’occhio della storica e insieme con quello dell’insegnante è riuscita a individuare un rimedio ad alcuni grandi mali della scuola italiana attuale?
«Per la didattica della storia vale quello che ho detto finora. Resta per me la difficoltà di comprendere e dunque di trovare una soluzione sulla difficoltà che i ragazzi hanno nell’apprendere. Apprendere è un peso e non una ricchezza per i ragazzi, che siano le cose di Diritto che consentono di comprendere come funziona il nostro Paese o le lingue straniere, che è un controsenso non volerle imparare in un mondo globalizzato. Io su questo mi sento senza strumenti e senza idee».
Stanno arrivando a scuola i miliardi del Pnnr. Serviranno a migliorare gli apprendimenti?
«Penso che bisognerebbe investire sulla qualità dell’insegnamento e chiedere dei livelli di conoscenza solide ai nostri studenti e non accontentarci di livelli bassi. Bisognerebbe che gli insegnanti per primi capissero che com’era scritto in una delle tracce della prima prova dell’Esame di Stato dei giorni scorsi, il medico pietoso fece la ferita purulenta (citazione dell’intervento del Premio Nobel Giorgio Parisi, ndr.). Bisogna avere il coraggio di chiedere alti livelli di conoscenza ai ragazzi».
Il paradosso è che oggi le tecnologie a disposizione di tutti consentirebbero a tutti di accedere in tempo reale a livelli sconfinati di conoscenza
«Mio padre (Francesco Marani, ultranovantenne professore di Diritto Privato all’Universita di Modena, ndr.) mi dice sempre che se avesse avuto la possibilità di reperire in internet le informazioni che doveva invece cercare nei libri avrebbe imparato tre volte quello che ha imparato in una vita. Ho in mente questo verso di Omero, ma non so come trovare il testo, mi dice lui. Eccolo, gli rispondo, basta un clic su un dispositivo. Eppure io non so come farli appassionare alla conoscenza. Ormai solo nello sport i ragazzi comprendono che solo con la fatica si raggiungono dei risultati. Cosi dovrebbe essere per la conoscenza ma forse è la società che non dà importanza alla conoscenza».
Eppure, se si semina bene il più delle volte si raccoglie molto
«Noi insegnanti dobbiamo seminare con larghezza, perché per i nostri ragazzi questi semi apparentemente non danno frutti, poi… chi lo sa? E’ un lavoro pesante. Io ci credo molto, altrimenti non avrei insegnato e avrei continuato a fare ricerca. Per una fase della mia vita la ricerca storica è stata una grande passione. Poi ho pensato che per me fosse più importante lavorare nel campo della formazione delle giovani generazioni più che stare in casa a scrivere articoli o libri di argomento storico. Vorrà dire che credo molto all’importanza del seminare».