La precarietà non termina con l’assunzione in ruolo. Lettera

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Inviato da Elisabetta Picci – Sono una docente di sostegno a tempo indeterminato, da nove anni in assegnazione provvisoria su organico di fatto e spero che l’emendamento a firma dell’ex sottosegretaria al Ministero dell’Istruzione Barbara Floridia, riguardante la trasformazione dell’organico di fatto su posti di sostegno in organico di diritto, riguardi anche chi è nella mia condizione.

Occorre ricordare che i posti in deroga sono occupati anche da docenti di ruolo a tempo indeterminato, in assegnazione provvisoria nella provincia di residenza propria e dei propri familiari, poiché titolari su scuola in altra provincia, a volte distante anche 1000 chilometri. Sembra doveroso chiarire che la precarietà non termina con l’assunzione in ruolo.

Sono nove anni che vivo di “speranza di mobilità”: territoriale e annuale (assegnazioni provvisorie). Per ciascuno di questi anni ci sono sempre stati due “momenti” scanditi nello stesso modo: maggio è il mese dell’attesa degli esiti della mobilità territoriale, agosto è quello dell’attesa di un’assegnazione provvisoria che mi faccia restare nello stesso Istituto scolastico, con lo stesso studente, con cui per un anno intero ho instaurato una “connessione”, cioè una “persona” che ha la convinzione di ritrovarmi lì a settembre; con i suoi genitori, fiduciosi di avere delle certezze anche loro; con la classe, alla quale ho insegnato a sostenere lo studente e a tirare fuori le sue potenzialità; con gli stessi colleghi del consiglio di classe, con i quali esiste una fattiva collaborazione per i successi formativi dei nostri alunni.

Dopo essere stata assegnata per il terzo anno consecutivo sullo stesso posto in organico di fatto, mi chiedo: “Se è possibile parlare di “supplenze finalizzate all’assunzione”, perché non può essere possibile la “stabilizzazione” in organico di fatto nella scuola in cui si è stati assegnati per più anni di seguito?”
I diritti degli alunni affidati a noi docenti specializzati sul sostegno vanno ben oltre il diritto allo studio. La continuità didattica andrebbe perseguita a tutti i costi.

Se poi trasferiamo lo stesso concetto alle intere classi e ai docenti curriculari, una maggiore stabilità di organico potrebbe ridurre le percentuali di abbandono scolastico. Un docente capace di essere un punto di riferimento, ma che si sposta da una scuola all’altra perché non ottiene giusta ed equa collocazione, e pertanto non riesce a portare a termine nessun corso di studi, è un’opportunità mancata per quegli studenti che dovrebbero essere accompagnati nella loro crescita intellettuale e personale, ai quali vorremmo trasmettere le migliori competenze.

Se si trovasse una soluzione efficace a questo “status quo”, potremmo ottenere una Scuola con una più efficiente distribuzione di risorse umane, una maggiore motivazione alla progettualità da parte di tanti docenti, spinta anche da quel senso di appartenenza ad una comunità scolastica che per molti viene continuamente spezzato nel passaggio da un Istituto ad un altro.

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