La pedagogia della dipendenza. Lettera

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Inviato da Maurizio Parodi – I bambini sono, oggi più che mai, assoggettati al controllo istituzionalizzato, giacché tutte le situazioni in cui fanno qualcosa insieme hanno assunto caratteristiche scolastiche: le attività sono inesorabilmente «finalizzate» all’apprendimento, alla prestazione, all’affermazione futura.

Lo ha spiegato con chiarezza Elio Damiano: «La distribuzione sequenziale degli esercizi, la standardizzazione dei contenuti e delle tecniche, la elevata competitività, l’orientamento al risultato, l’autorità indiscussa – quando non carismatica – del maestro, l’organizzazione per livello e potenziale di rendimento degli alunni, non stemperano affatto i tratti “extrascolastici” della formazione, anzi li esasperano in misura sconcertante».

Le azioni dei bambini sono dettate dal docente o dall’istruttore, che verifica e certifica progressi e fallimenti. Così, per buona parte, la loro vita di relazione è fatta di addestramento.

Ma in tal modo li priviamo della loro infanzia.

Si potrebbe parlare di una pedagogia della «dipendenza», che misconosce il diritto (fondamentale) all’esercizio della responsabilità e all’acquisizione di competenze decisionali, della capacità, cioè, di prendere decisioni rapide o ponderate, sostenute da un’adeguata considerazione dei problemi, delle circostanze, delle conseguenze di una scelta e dalla stima realistica dei propri limiti, dei vincoli esterni, delle risorse reperibili…

Ci pensiamo noi, adulti, docenti – nel senso che pensiamo «anche per loro», «al posto loro».

Chissà come si diventa esperti, se non facendo esperienza.

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