“La mia esperienza di maestra carceraria minorile, le sfide: dalla gestione della disciplina, alle strategie didattiche”. INTERVISTA alla Dirigente Daniela Crimi

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Il volume “Lezioni di Vita in una prigione minorile” di Daniela Crimi, oggi Dirigente Scolastico del Liceo Linguistico Ninni Cassarà di Palermo riflette un viaggio emozionante e profondo nel mondo dell’istruzione all’interno di un contesto carcerario per minori. Daniela Crimi racconta con dettaglio e passione la sua esperienza come educatrice, mettendo in luce le sfide, le difficoltà, ma anche le piccole grandi vittorie che questo ruolo comporta. La sua narrazione mostra come il lavoro in un ambiente così complesso possa trasformare non solo la vita degli studenti, ma anche quella degli insegnanti. Attraverso le storie di relazioni costruite con i giovani detenuti, emerge un quadro vivido di come l’educazione possa fungere da strumento di cambiamento e speranza.

Il valore dell’educazione come strumento di redenzione e di trasformazione personale per i giovani detenuti

“Lezioni di Vita in una prigione minorile” di Daniela Crimi, approfondisce le interazioni quotidiane e le sfide incontrate da lei come educatrice in un contesto carcerario per minori. Crimi evidenzia il valore dell’educazione come strumento di redenzione e di trasformazione personale per i giovani detenuti. Attraverso le sue lezioni, cerca di infondere nei ragazzi la consapevolezza e le competenze necessarie per immaginare e costruire un futuro migliore per sé stessi, nonostante le circostanze avverse.

L’intervista al dirigente scolastico prof.ssa Daniela Crimi

Abbiamo intervistato il  dirigente scolastico prof.ssa Daniela Crimi per conoscere dal di dentro questa realtà e vivere, attraverso le sue emozioni, questo variegato mondo.

Quando ha iniziato a lavorare come maestra carceraria, quali sono state le sue prime impressioni e come ha gestito l’impatto emotivo iniziale di quel contesto?

“La mia esperienza di insegnamento al carcere minorile Malaspina di Palermo risale agli anni 1989 e 1990, due anni scolastici che hanno profondamente segnato la mia vita professionale. Insegnare a dei ragazzi detenuti mi ha dato la possibilità di ricevere un imprinting, un cambiamento definitivo nel mio modo di approcciarmi all’ educazione. La “lezione di Vita”, questo è il titolo del mio libro, non è quella che io ho dato loro ma sicuramente quella che ho ricevuto. Ho imparato per sempre che si può e si deve guardare negli occhi ogni persona che è davanti a noi, che da ciascuno si può accogliere e a ciascuno si può insegnare, Life long learning, fino all’ ultimo giorno della nostra e della loro vita. Imparare e insegnare sono due processi circolari, infiniti, colmi di speranza e di ottimismo, in ogni persona, anche quella da cui sembra non potere essere “recuperata” c’ è un valore positivo nel  quale fare gancio. È il miracolo dell’ educazione”​​​​.

Come ha costruito un rapporto di fiducia con gli alunni in carcere, considerando le barriere iniziali di diffidenza e il contesto unico in cui si trovavano?

“Costruire un rapporto di fiducia con gli alunni in carcere è stato un processo graduale. All’inizio, molti di loro erano diffidenti e non si fidavano facilmente degli adulti. Ho capito che la chiave per superare queste barriere era la costanza, la pazienza e un genuino interesse per il loro benessere. Ho cercato di essere sempre presente, ascoltando le loro storie senza giudizio e mostrando empatia. Ogni giorno facevo piccoli gesti di rispetto e comprensione, che piano piano hanno permesso ai ragazzi di vedermi non solo come un’autorità, ma anche come una figura di supporto morale ed emotivo. Questo processo ha richiesto tempo, ma alla fine ha portato alla formazione di legami profondi e significativi”​​.

Quali metodologie didattiche ha trovato più efficaci nel contesto carcerario e come ha adattato il suo approccio pedagogico alle esigenze specifiche dei suoi studenti?

“Nel contesto carcerario, ho trovato che le metodologie didattiche più efficaci erano quelle che si adattavano alle esperienze e agli interessi reali dei ragazzi. Ho utilizzato compiti di realtà, come la lettura degli atti giudiziari che ricevevano o il calcolo del tempo di detenzione, per rendere le lezioni più rilevanti e coinvolgenti. Inoltre, ho puntato su attività pratiche che potessero avere un impatto diretto sulla loro vita quotidiana e sulle loro competenze future. Ho evitato l’uso di testi scolastici tradizionali che non rispecchiavano la loro realtà, preferendo invece materiali didattici che potessero stimolare il loro interesse e la loro partecipazione attiva”​​​​.

Può descrivere alcune delle sfide giornaliere che ha affrontato nell’insegnare in carcere e come ha superato queste difficoltà?

“Le sfide giornaliere nell’insegnare in carcere erano molteplici. Dalla gestione della disciplina alla necessità di adattare continuamente le lezioni ai diversi livelli di alfabetizzazione degli studenti, ogni giorno presentava nuovi ostacoli. Uno dei momenti più difficili è stato quando dovevo mantenere l’ordine in classe di fronte a comportamenti provocatori o violenti. Ho superato queste difficoltà instaurando un clima di rispetto reciproco e stabilendo regole chiare fin dall’inizio. Ho cercato di essere ferma ma empatica, facendo capire ai ragazzi l’importanza del rispetto sia tra loro che verso l’insegnante. Inoltre, ho collaborato strettamente con gli educatori e il personale del carcere per trovare soluzioni efficaci ai problemi che emergevano”​​.

Ci sono stati momenti particolarmente toccanti o significativi durante il suo tempo come maestra carceraria che l’hanno profondamente colpita o cambiata?

“Sì, ci sono stati molti momenti toccanti e significativi. Un esempio è stato quando uno dei miei studenti, inizialmente diffidente e poco collaborativo, ha iniziato a vedere la scuola come un’opportunità per migliorarsi e ha mostrato segni di cambiamento positivo. Un altro momento indimenticabile è stato quando i ragazzi, che solitamente erano restii a mostrare emozioni, mi hanno salutato con affetto alla fine del mio incarico, dimostrando di aver apprezzato il mio impegno e il mio supporto. Questi momenti mi hanno fatto capire quanto potesse essere potente l’impatto dell’educazione e mi hanno motivata a continuare a lavorare con dedizione in questo campo”​​.

Quali lezioni ha tratto dall’insegnamento in carcere che ha portato con sé nella sua successiva carriera educativa?

“Dall’insegnamento in carcere ho tratto numerose lezioni che hanno influenzato profondamente la mia carriera successiva. Ho imparato l’importanza dell’empatia, della pazienza e della resilienza. Ho capito che ogni studente, indipendentemente dal contesto, ha il potenziale per cambiare e migliorarsi se viene supportato adeguatamente. Queste esperienze mi hanno insegnato a vedere ogni difficoltà come un’opportunità per crescere e a non arrendermi di fronte agli ostacoli. Inoltre, ho portato con me la consapevolezza che l’educazione può essere un potente strumento di trasformazione personale e sociale, capace di offrire speranza e nuove opportunità anche a chi si trova in situazioni di estrema difficoltà”​​.

Come ha gestito l’impatto emotivo del lavoro in un ambiente così difficile e quali strategie ha utilizzato per mantenere il proprio equilibrio psicologico?

“Per gestire l’impatto emotivo del lavoro in carcere, ho adottato diverse strategie. Ho cercato di mantenere un equilibrio tra la vita professionale e quella personale, dedicando tempo alle attività che mi rilassavano e mi facevano sentire bene, come la lettura, lo sport e il tempo trascorso con la famiglia e gli amici. Inoltre, ho trovato molto utile confrontarmi con i colleghi, condividendo esperienze e cercando supporto reciproco. La riflessione personale e la pratica della mindfulness mi hanno aiutata a gestire lo stress e a rimanere centrata sul mio obiettivo educativo. Infine, ho sempre cercato di mantenere un atteggiamento positivo e di concentrarmi sui piccoli successi quotidiani che mi davano la forza di continuare”​​.

Può condividere qualche storia di successo o trasformazione notevole che ha osservato tra i suoi alunni in carcere?

“Una delle storie più significative che ho vissuto e osservato è quella di Nino C., noto come ‘u siccu’. Quando è arrivato nel carcere, era in una situazione molto difficile, segnato dalla tossicodipendenza e da un passato di crimini. Con il tempo, grazie all’ambiente scolastico che gli offriva un’opportunità di riscatto, Nino ha iniziato a partecipare attivamente alle lezioni e ha sviluppato una passione per la musica. Ricordo ancora con emozione le sue potenti esibizioni canore che riempivano l’aula di vita. Questa trasformazione gli ha dato una nuova prospettiva e una speranza per il futuro.”​​​​.

In che modo l’esperienza come maestra carceraria ha influenzato il suo approccio all’insegnamento e alla leadership educativa una volta diventata preside?

“L’esperienza come maestra carceraria ha profondamente influenzato il mio approccio all’insegnamento e alla leadership educativa. Ho imparato l’importanza di vedere ogni studente come un individuo con le proprie storie e potenzialità. Come preside, ho cercato di creare un ambiente scolastico inclusivo e supportivo, dove ogni studente si senta valorizzato e compreso. Ho anche enfatizzato la necessità di programmi educativi che vadano oltre l’accademico, integrando supporto emotivo e sociale per affrontare le diverse esigenze degli studenti.”​​​​.

Quali messaggi principali spera che i lettori traggano dal suo libro sulle esperienze in carcere e sull’impatto dell’educazione in contesti non tradizionali?

“Spero che i lettori traggano dal mio libro il messaggio che l’educazione può essere un potente strumento di trasformazione personale e sociale, anche nei contesti più difficili. Vorrei che capissero l’importanza dell’empatia, della pazienza e del rispetto nella costruzione di relazioni educative significative. Inoltre, spero di evidenziare come l’istruzione possa offrire speranza e nuove opportunità a chi è stato emarginato dalla società, sottolineando il ruolo degli educatori come agenti di cambiamento sociale.”​​​​.

Qual è stato il suo approccio iniziale nel relazionarsi con persone che si trovano in un contesto di vita così diverso e spesso difficile? Come ha cercato di intuire e rispondere alle loro esigenze educative specifiche?

“Il mio approccio iniziale è stato basato sull’ascolto e sulla comprensione delle loro storie e delle loro esigenze. Ho cercato di instaurare un clima di fiducia e rispetto, mostrando empatia e interesse genuino per il loro benessere. Ho adattato le attività didattiche ai loro interessi e necessità, utilizzando compiti di realtà che fossero rilevanti per la loro vita quotidiana. Ho evitato di imporre metodi educativi standard, preferendo invece un approccio più flessibile e personalizzato.”​​.

Ha notato un’evoluzione nel suo stile di insegnamento dal primo giorno fino all’ultimo periodo in cui ha lavorato in carcere? Se sì, può descrivere come e perché è cambiato?

“Sì, ho notato un’evoluzione significativa nel mio stile di insegnamento. All’inizio, ero molto legata ai metodi tradizionali, ma presto mi sono resa conto che dovevo essere più flessibile e creativa per rispondere alle esigenze dei miei studenti. Ho imparato a utilizzare attività pratiche e pertinenti alla loro realtà, come la lettura degli atti giudiziari o il calcolo del tempo di detenzione, per coinvolgerli maggiormente. Questo cambiamento è avvenuto grazie alla comprensione crescente delle loro esperienze e necessità.”

La descrizione dei legami che si creano tra l’insegnante e gli studenti

Uno degli aspetti più toccanti del suo racconto è la descrizione dei legami che si creano tra l’insegnante e gli studenti, nonostante le barriere fisiche e sociali imposte dal contesto carcerario. Crimi racconta come, nonostante le iniziali difficoltà e resistenze, i suoi studenti comincino a vederla non solo come un’autorità ma come un punto di riferimento affidabile e una fonte di supporto morale ed emotivo.

Crimi, la profonda passione per l’insegnamento e l’impegno sincero nel voler migliorare le vite di questi giovani

Le riflessioni di Crimi sul suo ruolo educativo riflettono una profonda passione per l’insegnamento e un impegno sincero nel voler migliorare le vite di questi giovani. La sua testimonianza sottolinea l’importanza dell’empatia, della pazienza e dell’ascolto attivo nel processo educativo, soprattutto in un ambiente così sfidante come quello di un carcere minorile. Il volume si conclude con una riflessione generale sull’impatto dell’educazione in contesti di marginalità sociale, proponendo l’insegnamento come una forma di attivismo sociale capace di restituire dignità e opportunità a chi è stato emarginato dalla società.

Il tema dell’educazione come forma di attivismo sociale

Il tema dell’educazione come forma di attivismo sociale, particolarmente in contesti di marginalità, è centrale nel volume di Daniela Crimi e merita un’analisi più approfondita. Nell’ambiente del carcere minorile, l’educazione non è solo un trasferimento di conoscenza ma diventa un potente strumento di trasformazione personale e sociale.

1. Educazione come strumento di riscatto personale

Daniela Crimi nel suo volume illustra come l’educazione nel carcere minorile vada oltre la semplice alfabetizzazione o il conseguimento di un diploma. Diventa uno strumento di riscatto personale, offrendo ai giovani detenuti nuove prospettive su loro stessi e sul mondo esterno. Avere l’opportunità di apprendere e sviluppare nuove competenze può significativamente aumentare l’autostima dei giovani, che spesso sono entrati nel sistema penale con una lunga storia di fallimenti educativi e personali.

2. Educazione come strumento di inclusione sociale

L’educazione in questi contesti agisce anche come un ponte verso l’inclusione sociale. Per molti detenuti minori, il sistema scolastico regolare è stato un luogo di esclusione o di fallimento. Nel volume, Crimi sottolinea come un ambiente educativo adattato, rispettoso delle loro esigenze e background, possa cambiare questa percezione, mostrando loro che l’apprendimento può essere accessibile, rilevante e gratificante. Questo può motivarli a reinserirsi attivamente nella società una volta scontata la loro pena.

3. Educazione come catalizzatore di cambiamento sociale

Crimi propone l’educazione come un catalizzatore che può innescare un cambiamento non solo nella vita dei singoli individui ma nella società nel suo complesso. Educare i giovani detenuti e fornire loro gli strumenti per riflettere criticamente sul loro ambiente e sulle loro scelte può portare a un cambiamento significativo nel modo in cui questi giovani interagiscono con la società una volta rilasciati.

4. Sfide e opportunità

Il volume non ignora le sfide inerenti all’educare in un carcere minorile, inclusa la resistenza da parte dei detenuti, le limitazioni strutturali del sistema carcerario, e la scarsità di risorse. Tuttavia, Crimi enfatizza come queste sfide rendano il successo ancora più significativo, poiché ogni piccolo progresso è una vittoria contro molte probabilità.

5. Riflessioni finali

Daniela Crimi chiude il suo racconto con una potente riflessione sul ruolo degli educatori come agenti di cambiamento sociale. Attraverso la loro dedizione, gli insegnanti possono lasciare un’impronta duratura sulle vite dei giovani, incoraggiandoli a vedere al di là delle mura del carcere e a aspirare a una vita piena e produttiva al di fuori di esso.

In sintesi, l’approccio di Crimi all’educazione nei contesti di marginalità sottolinea la potenza trasformativa dell’apprendimento e del supporto educativo come fondamenti per una società più giusta e inclusiva.

Crimi sottolinea la complessità e la profondità dei legami che si sviluppano tra un insegnante e i suoi studenti

Daniela Crimi nel suo volume “Lezioni di Vita in una prigione minorile” sottolinea la complessità e la profondità dei legami che si sviluppano tra un insegnante e i suoi studenti in un ambiente così unico e difficile come quello carcerario. Questi legami sono particolarmente significativi data la natura del contesto, dove gli studenti spesso provengono da ambienti instabili e hanno esperienze di vita che li hanno portati a diffidare delle autorità e delle figure adulte in generale.

Costruzione della fiducia

La fiducia è l’elemento fondamentale che permette la formazione di questi legami. Crimi descrive come, all’inizio, molti dei giovani detenuti si mostrassero scettici e distanti, spesso rifiutando di partecipare attivamente o di impegnarsi nelle attività proposte. Tuttavia, attraverso la costanza, la pazienza e mostrando un genuino interesse per il loro benessere, Crimi è riuscita a guadagnarsi la loro fiducia. Questo processo non è stato rapido né semplice, ma è cresciuto attraverso gesti quotidiani di rispetto, ascolto e comprensione.

Ruolo dell’insegnante come punto di riferimento

Man mano che i legami si consolidavano, gli studenti hanno cominciato a vedere Crimi non solo come un’autorità educativa ma anche come un punto di riferimento morale e emotivo. Per molti di questi giovani, l’aula diventava uno spazio sicuro dove potevano esprimere i loro pensieri, paure e speranze senza il timore di essere giudicati o puniti. Crimi enfatizza come la sua aula divenne un luogo dove i ragazzi potevano esplorare la propria identità e aspirazioni future in un modo che non era possibile altrove nel carcere.

Supporto morale ed emotivo

Il supporto morale ed emotivo fornito da Crimi è evidente quando racconta di come abbia gestito situazioni personali difficili degli studenti, ascoltando le loro storie personali e fornendo consigli e supporto quando necessario. Questo aspetto del suo ruolo si estende oltre l’insegnamento accademico e entra nel campo del mentoring e della consulenza, aree cruciali per il supporto ai giovani in contesti difficili.

Impatto a lungo termine

L’impatto di questi legami va oltre la durata della pena dei giovani o il periodo scolastico trascorso con Crimi. Gli ex studenti spesso riflettono su come le lezioni apprese e il supporto ricevuto abbiano avuto un ruolo significativo nella loro capacità di reintegrarsi nella società e di fare scelte positive per il loro futuro. Questo mostra come il legame con un insegnante carismatico e compassionevole possa diventare un’influenza stabilizzante e ispiratrice, che perdura ben oltre il contesto immediato dell’apprendimento.

L’ambiente educativo in un carcere minorile possa trasformarsi in una piattaforma per il cambiamento positivo

Crimi illustra vividamente come l’ambiente educativo in un carcere minorile possa trasformarsi in una piattaforma per il cambiamento positivo, attraverso la creazione di legami forti e significativi tra studenti e insegnanti. Questi legami non solo migliorano l’esperienza educativa dei detenuti, ma forniscono anche un supporto critico che può influenzare profondamente la loro vita.

Leggere emozioni e suggerimenti

A seguire alcuni brani significativi dal volume di Daniela Crimi, “Lezioni di Vita in una prigione minorile”, che riflettono l’essenza delle sue esperienze e delle profonde riflessioni emerse nel contesto dell’educazione in un carcere minorile. Questi brani sono particolarmente evocativi delle tematiche principali del libro e offrono uno sguardo intimo sulle dinamiche tra l’insegnante e i suoi studenti.

Brano 1: Il valore trasformativo dell’educazione

“In entrare come operatore in un istituto penale – in un carcere – è un’esperienza che segna l’esistenza di una persona; fa cambiare i valori, le cose importanti.”

Brano 2: L’importanza del legame insegnante-studente

“Nonostante centinaia di alunni, decine di classi, lei ricorderà sempre quei ‘terribili picciottelli’ (mai detenuti, sempre ragazzi) che l’hanno fatta disperare, spaventare ma che l’hanno amata e che ha amato e curato.”

Brano 3: Il ruolo dell’educatore come fonte di speranza

“Lei vuol fare l’insegnante, questo è il suo ‘mestiere’, sa che non potrà modificare, per molti, il corso della loro vita, ma vuole dare loro una possibilità di imparare qualcosa, di emanciparsi, di essere autonomi.”

Brano 4: Il potere dell’empatia e dell’ascolto

“Lei non giudica e non si impietosisce alle tante storie tristi, ma fedele al suo mandato istituzionale cerca, insieme alle altre colleghe, di rendere migliori questi piccoli uomini.”

Brano 5: La riflessione sul cambiamento e la crescita personale

“Entrò come operatore in un istituto penale – in un carcere – è un’esperienza che segna l’esistenza di una persona; fa cambiare i valori, le cose importanti.”

Questi brani selezionati non solo delineano il percorso emotivo e professionale di Daniela Crimi come educatrice in un carcere minorile, ma mettono anche in luce l’impatto profondo che un approccio educativo centrato sulla persona può avere su giovani in situazioni estremamente vulnerabili. Attraverso la sua narrazione, Crimi dimostra come l’educazione, condotta con compassione e comprensione, possa realmente trasformare la vita delle persone.

L’avventura professionale del dirigente scolastico Daniela Crimi

L’avventura professionale di Daniela Crimi come insegnante in un carcere minorile è una testimonianza potente del ruolo che un educatore può svolgere in contesti particolarmente difficili. Esaminiamo le motivazioni che possono spingere un docente a intraprendere un percorso simile, e quali dovrebbero essere le qualità e gli impegni che caratterizzano il lavoro di tutti gli insegnanti in contesti educativi sfidanti.

Motivazioni per l’Impegno in un Contesto Carcerario Minorile

  1. Vocazione alla differenza sociale: La possibilità di fare una differenza concreta nella vita di giovani che spesso non hanno ricevuto molte opportunità nella vita può essere una forte motivazione. Insegnanti come Daniela Crimi sono mossi dal desiderio di contribuire positivamente al percorso di vita di individui spesso trascurati dalla società.
  2. Credere nel potere dell’educazione: La convinzione profonda che l’educazione possa essere una forza di cambiamento, redenzione e crescita personale è fondamentale. Questo credo supporta l’idea che attraverso l’apprendimento, gli studenti possano acquisire le competenze e la fiducia necessarie per costruirsi un futuro migliore.
  3. Sfida professionale: Affrontare l’ambiente complesso e spesso difficile di un carcere minorile rappresenta una sfida professionale che può attrarre insegnanti desiderosi di testare e sviluppare le proprie capacità educative in contesti non convenzionali.
  4. Empatia e compassione: Un forte senso di empatia e la capacità di connettersi con gli altri, specialmente con chi ha vissuto esperienze di vita traumatiche o difficili, sono motivazioni chiave che spingono gli insegnanti a lavorare in contesti penalistici.
  5. Contribuire alla giustizia sociale: L’impegno in un contesto carcerario minorile può essere visto come un atto di giustizia sociale, mirato a fornire uguaglianza di opportunità educative a tutti, indipendentemente dal loro background o dalle circostanze.

Qualità e impegni che caratterizzano i docenti in contesti sfidanti

  1. Resilienza e adattabilità: La capacità di adattarsi a ambienti dinamici e spesso volatili, mantenendo la calma e la professionalità, è cruciale.
  2. Innovazione didattica: Essere creativi nel trovare modi per rendere l’apprendimento accessibile e rilevante per gli studenti con vari background e livelli di competenza.
  3. Ascolto attivo e supporto emotivo: Fornire un ascolto attento e supporto emotivo per aiutare gli studenti a superare le difficoltà personali e accademiche.
  4. Advocacy e mentorship: Agire come mentori e difensori dei propri studenti, supportando il loro sviluppo non solo accademico ma anche personale e sociale.
  5. Continuo apprendimento professionale: Mantenere un impegno verso l’apprendimento e lo sviluppo professionale per affrontare efficacemente le sfide educative in contesti difficili.
  6. Promozione dell’equità educativa: Lavorare per garantire che tutti gli studenti ricevano un’educazione di qualità che promuova l’equità e l’inclusione.

Questi elementi non solo riflettono le motivazioni personali di un docente che sceglie di lavorare in contesti impegnativi come quello carcerario minorile, ma rappresentano anche i principi fondamentali che dovrebbero guidare tutti gli insegnanti impegnati in educative sfidanti.

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