La lezione “segmentata” di 45 minuti, come organizzarla sfruttando risorse e strumenti [INTERVISTA]

In questo periodo le case editrici sono più che mai attente a elaborare proposte teoriche e operative che possano andare incontro alle esigenze dei docenti. E a ben guardare in tutto questo fermento, la principale imputata è sempre lei, la lezione frontale, un dispositivo pedagogico che vede ormai sempre più offuscato il suo ultrasecolare prestigio a vantaggio di schemi di lavoro maggiormente coinvolgenti e inclusivi.
Così dall’università dell’Indiana, e precisamente dai pedagogisti Joan Middendorf e Alan Kalish, arriva la cosiddetta ‘chunked lesson’, una lezione di 45 minuti strutturata in cinque momenti di 10-15 minuti ciascuno in cui avvengono: una rapida verifica delle preconoscenze, un quarto d’ora di spiegazione, un’attività per far esercitare la classe, una restituzione per chiarire i dubbi e infine una conclusione per fare il punto su ciò che si è imparato. Lo ‘spezzettamento’ dà ritmo alla lezione e tiene viva l’attenzione degli studenti, spiegano dalla casa editrice Zanichelli, che ne propone un agile vademecum a cura di Dany Maknouz, docente e formatrice (“La lezione segmentata. Ritmata, varia, integrata”, Bologna 2021).
Professoressa Maknouz, l’idea di fondo della lezione ‘segmentata’ sembra essere che il docente, vincolato a uno schema, riesca ad organizzare meglio la sua esposizione e a gestire meglio il flusso delle informazioni da trasferire ai discenti, non perdendo di vista la loro reale capacità attentiva. Tuttavia una impostazione così rigida sembra essere anche un forte argine alla creatività (e al buon senso) del docente e della classe. A chi si rivolge esattamente il ‘metodo’?
La lezione segmentata è una cornice di ritmo didattico che non deve essere intesa come rigida o assoluta. Sono gli stessi Middendorf e Kalish a suggerire: ‘Non seguite questo schema alla lettera; tutto ciò che diventa prevedibile ha un impatto minore. La varietà è una forza potente’. La creatività del docente e il suo buon senso restano al centro di ogni azione formativa, ma non dimentichiamo che la creatività si sviluppa e potenzia proprio in presenza, e non in assenza, di vincoli. Segmentare una lezione non significa semplicemente frammentare, interrompere ogni tanto la comunicazione del docente per richiedere l’attenzione della classe, operazione che avviene già normalmente. Significa invece organizzare una comunicazione concisa senza perdere in complessità, progettare attività rielaborative – anche di piccolo gruppo – utili a aumentare la comprensione e ritenzione degli apprendimenti, fornire feedback mirati e individuali e, infine, rimodulare la propria azione sulla base degli esiti di queste fasi. Si tratta di un metodo vero e proprio che poggia le sue radici nella didattica breve e nelle ricerche neuroscientifiche e che si rivolge a tutti i docenti, sempre più consapevoli che aumentare l’esposizione ad un contenuto non ne aumenta la ritenzione. Favorire la discussione e la consultazione tra pari è invece fondamentale perché in genere ‘per coprire un contenuto il docente parla agli studenti. Per imparare un contenuto gli studenti parlano gli uni con gli altri’ (Yuyinh).
Uno dei suggerimenti che si danno spesso nel libro è quello di integrare risorse video e digitali tout-court per rendere il lavoro più interattivo (e meno noioso!) possibile. Davvero possiamo continuare a chiamarle ‘lezioni’? Non sono più trasparenti formule giù in uso come ‘unità di apprendimento’, ‘unità didattiche’. ‘learning object’? ‘Lezione’ rimanda a un immaginario molto diverso…
Il digitale non è semplicemente uno strumento contro la noia, ma una forma agile di partecipazione di tutti gli studenti e le studentesse al lavoro d’aula. L’idea basilare è quella di utilizzare anche le risorse digitali – per esempio i video – per sollecitare un contributo personale di ognuno (magari chiedendo previsioni sulla conclusione del filmato o abbinando lo stesso a domande e quesiti). Test e quiz interattivi sono utili per avere un quadro rapido degli apprendimenti individuali, per supportare eventuali bisogni specifici di apprendimento e sostenere chi si trovi in maggiore difficoltà. La scelta di parlare di ‘lezione’ anziché usare formule nuove, intende recuperare la dimensione di efficacia della comunicazione del docente, spesso demonizzata nella sua accezione di ‘frontalità’, quando contenuta in un contesto ritmato e vario. Il termine lezione (segmentata), si rivolge non a una sola delle due fasi dell’apprendimento o dell’insegnamento, come avviene per altre formule, ma al momento d’incontro tra le azioni congiunte di studenti e docenti. E’ nell’integrazione dei due aspetti di comunicazione diretta dal docente e di apprendimento attivo, la chiave dell’efficacia del metodo che permette di tenere presenti i diversi aspetti dell’apprendimento: dai saperi – nella fase di lezione diretta dal docente – allo sviluppo di competenze e atteggiamenti – nella fase di attività e produzione degli studenti.
Le neuroscienze e la psicologia dell’apprendimento forniscono alla didattica apporti significativi, e proprio da alcuni di questi fronti cresce la preoccupazione che le capacità cognitive e attentive dei ragazzi vadano intaccate dall’uso sempre più pervasivo degli stimoli digitali. La scuola non potrebbe o dovrebbe rappresentare un fronte di resistenza a tutto questo? Perché trasformare una lezione in un algoritmo?
Mi sembra che la lezione segmentata si rivolga a destinatari di ‘istruzioni’ più che di un’istruzione…
La lezione segmentata più che un algoritmo è un cambio di paradigma che aiuta il docente a chiedersi non tanto cosa spiegherà il giorno dopo, quanto quali attività potrà proporre alla classe per attivare gli apprendimenti. Non si tratta di istruzioni specifiche, al contrario, con la riduzione del tempo della spiegazione si rende ancora più evidente l’importanza dell’approfondimento e dell’apprendimento autonomo – anche dopo la lezione – sul libro di testo o su una opportuna selezione di materiali in rete.
Il multitasking, è ormai risaputo, è nemico dell’apprendimento, ma lasciare gli studenti soli davanti alle troppe sollecitazioni del mondo digitale significa abdicare alla possibilità di fornire loro un modello di approccio critico e efficace all’uso della tecnologia e alla fruizione dei contenuti digitali. Inoltre attraverso il digitale, la scuola può dare nuove possibilità di produzione personale e creativa attraverso le quali ciascuno ragazzo e ragazza può trovare forme espressive nuove. In conclusione, l’idea che emerge anche nel libro, è che nella scuola si dovrebbe imparare a lavorare senza e con il digitale, per stimolare da un lato pensieri ‘lenti’ e profondi, tipici della lettura su carta, e dall’altro approcci rapidi e euristici, tipici della visualizzazione e sperimentazione interattiva del multimediale. Ancora una volta è dall’integrazione accorta e non dalla conflittualità dei due mondi che possiamo trarre il massimo beneficio per l’apprendimento e lo sviluppo di competenze, non ultime quelle di cittadinanza digitale.
Da più parti viene preconizzato l’avvento ormai prossimo dell’adaptive learning, cioè la personalizzazione dell’insegnamento basata sulle tecnologie. Sappiamo che già esistono algoritmi in grado di analizzare minuziosamente il comportamento degli alunni davanti allo schermo, di intuire artificialmente il loro stile di apprendimento e di personalizzare, così, le proposte per loro. Si pensa che in un futuro non troppo lontano l’insegnamento terziario sarà letteralmente inondato di software di questo tipo, mentre l’istruzione primaria e secondaria soffriranno di una maggiore inerzia. Lei cosa pensa di questi scenari così apocalittici?
Credo che la grande lezione sulla scuola che la pandemia ci ha lasciato riguardi l’importanza della relazione nell’apprendimento. Relazione con il docente e con il gruppo dei pari. Si impara con e per qualcuno mentre si è meno stimolati e motivati a farlo in solitudine. La lezione segmentata ha mostrato la sua efficacia in particolare nella didattica a distanza, proprio perché aiutando il docente a sollecitare la partecipazione e la rimodulazione della lezione sui bisogni individuali, ha aumentato l’interazione e potenziato il contatto emotivo e sociale. Gli scenari possibili che i nuovi strumenti offrono sono, a mio parere, sempre opportunità positive e mai catastrofiche, se utilizzate senza eccessi, facendo un uso sapiente del tempo personale e didattico e tenendo conto l’importanza del contesto socio-emotivo imprescindibile per la crescita individuale.