La lettera di saluto della docente: “Non riconosco più la mia scuola, solo burocrazia, acronimi e progetti. Omologati al pensiero unico”
Alla redazione di Orizzonte Scuola è arrivata la lettera di saluto alla scuola di un’insegnante prossima alla pensione. Si tratta di Ermanna Masia. La docente ha scritto la missiva diretta ai propri alunni.
La lettera rappresenta anche un “manifesto” del disorientamento della classe docente negli ultimi anni. La pubblichiamo integralmente.
“Oggi è stato il mio ultimo giorno di lezione, dopo 36 anni, infatti, da settembre sarò in pensione. È stata una sensazione strana e contraddittoria quella che ho provato: da una parte ero contenta perché sono stanca, sono stati anni pesanti di lavoro intenso e di impegno continuo, soprattutto questi devastanti ultimi tre, dall’altra un po’ triste perché so per certo che mi mancheranno i ragazzi, che mi mancherà tutto ciò che è stata la mia vita, per una vita, e salutare proprio i ragazzi oggi, non è stato per niente facile.
Ho vissuto la trasformazione della scuola la sua crescente burocratizzazione, l’imbarbarimento della sua “qualità”, ho vissuto e lottato contro tutte le riforme che l’hanno resa progressivamente un “luogo” diverso rispetto a ciò che dovrebbe essere, e com’è ora, non mi piace più.
Il nostro attuale Ministro in una delle sue mille improbabili esternazioni, ha definito la scuola come “affettuosa”, bene, non ho idea di cosa intendesse lui, ma nella mia memoria ho il ricordo di un posto che definirei proprio così: ambienti piccoli e familiari, relazioni personali sincere tra tutte le componenti, una comunità nel senso più aggregante e collaborativo del termine, in cui l’obiettivo era dare strumenti ai ragazzi, armarli, amarli, guidarli nel mondo ed aiutarli a crescere responsabili e, soprattutto, preparati. Certo, non tutto andava sempre per il verso giusto, ma ci si sentiva comunque “a casa” e si lavorava “insieme” con uno scopo comune. Oggi non è più così: cambiate le dimensioni, cambiate le relazioni, cambiati la mentalità, gli obiettivi, il senso. Oggi si comunica per acronimi, nei collegi (popolati da frettolosi sconosciuti) si parla solo di progetti (la maggior parte dei quali totalmente inutili), e ci si dimentica che dovremmo parlare di didattica, non esiste che il pensiero unico e cioè il totale ed acritico asservimento a ciò che ci viene imposto dall’alto: ha più rilievo, infatti, la notizia di aver ricevuto un finanziamento, che quella dei successi di studenti preparati e brillanti…
È una scuola superficiale ed approssimativa, formale e di facciata e che per questo non mi piace più.
Per tutto ciò, forse, è giusto andarsene. Non prima, però, di aver abbracciato idealmente tutte le centinaia e centinaia di ragazzi e ragazze che hanno incrociato la loro vita con la mia. Sappiate che l’avete resa, tutti, più ricca, che con le vostre intemperanze, le vostre mancanze, le vostre fatiche, i progressi, l’energia, le battute, l’impegno, i successi, l’affetto… avete contribuito a farmi sentire orgogliosa e fiera di aver svolto una professione che ho amato moltissimo. Siate indulgenti, però, nel vostro ricordo, so di avervi chiesto sempre molto, di essere stata rigorosa e a volte severa (ma spero sempre corretta e giusta), di avervi costretto a lavorare parecchio e ad impegnarvi molto, ma… era questo che ero chiamata a fare per voi.
E se nel vostro futuro di uomini e di donne vi renderete conto che ho avuto una parte, anche minima, in quello che siete diventati, vorrà dire che tutto quello che ho fatto, ha avuto un senso”.