La grandezza di Danilo Dolci? Sedeva in cerchio insieme agli alunni, non si poneva davanti a nessuno. INTERVISTA ad Alex Corlazzoli

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Le grandi figure del passato possono aiutarci a migliorare il nostro modo di fare scuola? Ne abbiamo parlato con Alex Corlazzoli, Maestro, Giornalista e Scrittore.

Maestro Corlazzoli, 100 anni fa nasceva Danilo Dolci che ha sviluppato l’approccio maieutico reciproco. Quanto è importante, a livello educativo, porre le domande che non cercano le risposte esatte ma che portino a riflettere e ad esplorare nuove linee di pensiero?

Devo dire che hai centrato il pensiero di Dolci, parlando di quella che era la maieutica, cioè la capacità di tirar fuori, di prendere un bambino o un adulto, perché Danilo Dolci lo faceva anche con gli adulti, e tirar fuori, quello che poi è l’educere.

Per conoscere Danilo Dolci bisogna viverlo, io non l’ho conosciuto personalmente, anche perché siamo di due età diverse. Danilo Dolci è nato esattamente 100 anni fa, quest’anno ricorre il centenario della sua nascita e questa domanda ci permette di ricordarlo, una figura che è stata un po’ bistrattata dalle istituzioni. Ho conosciuto Danilo Dolci andando nei suoi luoghi, per esempio a Trappeto dove lui, a soli 28 anni, aveva scelto di andare a vivere, lui che era un uomo del nord, un triestino, insieme alle persone più povere, dove c’erano tanti problemi e una delle sue prime grandi azioni fu quella di sdraiarsi sul letto di morte di un bambino che era deceduto per la fame. Danilo Dolci è uno che aveva vissuto con il popolo, bisogna andare al Borgo di Dio, un luogo che aveva creato a Trappeto dove viveva e aveva sperimentato quello che dici, cioè l’arte di porre domande e trovare le risposte insieme.

Quando ho visitato questo borgo, che ancora esiste anche se un po’ decadente, mi ha colpito che ci siano ancora il teatro e le aule e in questa aule c’è un grande tavolo rotondo che Danilo Dolci l’aveva fatto costruire perché credeva nel fatto che le persone che si trovavano insieme per decidere, gli adulti dei bambini, si potessero guardare negli occhi l’uno con l’altro, da qui nasce la risposta a quello che tu dici. Oggi la scuola è invece ancora profondamente cattedratica, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado abbiamo il Maestro che sebbene non stia più sul piedistallo, perché da qualche anno il predellino l’hanno tolto, con buona pace di Galli della Loggia che lo voleva, sta dietro la cattedra, e se non c’è la cattedra è comunque il Maestro che si pone davanti agli alunni a fare lezione. Danilo Dolci non si poneva davanti a nessuno, ma in cerchio insieme agli alunni. In questo sta la grande lezione profetica di uomini come lui o come Mario Lodi, che aveva spostato la cattedra e sedeva acanto ai suoi alunni.

Quest’anno ricorre il centenario anche di un altro grande Maestro che è stato Alberto Manzi, se andate a leggere quello che scrive Roberto Farnè su Manzi, balza all’occhio che lui non conosceva la cattedra, la sua era un’aula laboratorio. Il costruire insieme ai nostri ragazzi la risposta e l’apprendimento è la grande novità che potremmo introdurre all’interno del nostro sistema di istruzione, educativo, italiano, ovvero quello di ribaltare il processo educativo a partire dal setting, o per dirla in un altro modo a partire dall’aula. Nei miei incontri invito sempre i docenti a fare una piccola rivoluzione nelle proprie classi, ovvero spostare la cattedra, rimuoverla, è banalissima come azione ma sarebbe la prima declinazione possibile del grande insegnamento di Danilo Dolci.

Lei ha scritto il libro “lettera ad una professoressa del nuovo millennio”, un omaggio a don Milani ma anche una rilettura in chiave moderna dei bisogni della scuola di oggi. A che punto siamo?

Siamo in un punto drammatico. Generalmente sono molto ironico, ma qui mi devo far estremamente serio in quanto la situazione della scuola italiana è a un punto drammatico, perché ciò che raccontava don Milani in “lettera ad una professoressa” è ancora tremendamente attuale. Non si legge un quotidiano, la costituzione è poco e mal conosciuta nonostante si spaccino 33 ore di educazione civica, che poi spesso diventa il Vigile che viene in classe a fare educazione stradale o lo sportivo che viene a dire due cose sull’educazione alimentare; si ha un tasso di dispersione scolastica altissimo, quindi tantissimi ragazzi che vengono abbandonati, che poi è quello che diceva proprio don Milani, ovvero che il problema della scuola sono i ragazzi che abbandonano; e poi c’è ancora la bocciatura che viene utilizzata dalla gran parte delle scuole e ci sono casi di bocciature, come ho avuto modo di scrivere, di ragazzi che vengono bocciati dopo un anno che avevano fatto gli Hikikomori.

Inoltre c’è un tema gravissimo che è stato non solo dimenticato ma calpestato, ovvero quello dell’educazione sessuale di cui già parlava don Milani con grande coraggio nel libro, mentre noi abbiamo spacciato, all’indomani della morte di Giuli Cecchettin, una sorta di educazione alle relazioni, con tanto di pompa magna di conferenza stampa del Ministro, che poi è finita nel nulla e siamo uno dei 5 paesi europei dove non esiste l’educazione sessuale, dove le scuole affidano questo tema ai consultori cattolici che non parlano assolutamente di aborto e di anticoncezionali, insomma siamo alla preistoria, un punto drammatico. Almeno all’epoca di don Milani poco dopo era nato un movimento che faceva riflessione, che si interrogava, mentre ai nostri giorni non c’è più nemmeno quello.

Oggi la maggior parte dei docenti è investita da una sorta di apatia, di indifferenza, di appiattimento al volere costituito dei presidi, che sono una casta nel nostro Paese, impossibili da toccare e spesso senza competenze pedagogiche e manageriali, con in mano delle scuole complesse e che con il nuovo dimensionamento scolastico diventeranno ancora più complesse, perché parliamo di scuole che diventeranno di 1400/1600 alunni con circa 400 docenti, amministrati da persone che non hanno le capacità di farlo, è veramente un punto drammatico.

Mi spiace essere pessimista, ma credo che tutto ciò si possa in qualche modo ribaltare, cambiare, solo se potremo avere una classe dirigente competente. Sono stanco, stanco vivo, come dice Alessandro Bergonzoni, e non stanco morto, di vedere Ministri che non hanno letto don Milani, Montessori o Zavalloni, che non hanno letto “Il paese sbagliato” di Mario Lodi, che sanno appena i titoli dei libri di queste persone, che nel centenario di Manzi e di Dolci non mandano mezza circolare agli insegnanti, sono stanco vivo di una scuola che veramente è in agonia. A noi, di certo, sta il compito di ribellarci, ma la ribellione dal basso, ahimè, la vedo molto difficile.

Si parla molto dei disagi dei giovani e di nuove forme di isolamento come ad esempio l’Hikikomori. In un suo recente articolo ha raccontato la storia di un ragazzo che è riuscito a superare l’isolamento tornando a scuola ma con un esito negativo, ovvero la bocciatura. Cosa ci insegna questa storia e cosa dovremmo cambiare?

È un altro aspetto veramente triste della nostra Repubblica, un ragazzo che conosco personalmente e che per un anno non è andato a scuola, i genitori l’hanno iscritto ad uno di quei diplomifici che tanto il Ministro in questi giorni ha evidenziato nella loro illegalità. Era proprio uno di quei diplomifici e l’hanno iscritto affinché non perdesse il primo anno della scuola secondaria di secondo grado. Lo scorso anno a giugno ha fatto l’esame in provincia di Napoli e chiaramente pagando l’ha passato.

Ha fatto una gran fatica a trovare una scuola dove iscriversi, voleva iscriversi ad una scuola e non c’era posto, allora i genitori, e dico questo con molta parresia perché fa parte del problema e dobbiamo dirci le cose in faccia, mi hanno interpellato affinché attraverso qualche mio canale potessi in qualche modo trovare un posto per questo ragazzo ed ho interpellato qualche organizzazione sindacale perché potesse in qualche modo trovare una soluzione per questo ragazzo, perché ci tenevo trovasse un luogo dove poter andare, un ragazzo che finalmente aveva voglia di tornare a scuola dopo un anno che era stato chiuso in casa distruggendo parte dell’abitazione, tirando fuori tutta la sua rabbia, la sua frustrazione.

Finalmente va a scuola Michael, un nome di fantasia, e gli fanno una diagnosi di ADHD, ma lui va a scuola, con soli 18 giorni di assenza, e arriva alla fine dell’anno e lo bocciano, perché la scuola ritiene che debba rifare questo anno. Ma che messaggio ha dato la scuola, che progetto c’è per Michael. Lui ha perso i suoi amici, quei ragazzi con i quali aveva costruito una relazione di fiducia, dopo un anno in cui non aveva più avuto fiducia di nessuno, ha perso persino quei professori con cui aveva costruito una relazione di fiducia, certamente qualcuno lo ritroverà l’anno prossimo.

Ma perché la scuola che lui desiderava e voleva, che ha tentato di frequentare, gli ha dato un messaggio così negativo? Oggi abbiamo un grande problema che è quello delle iscrizioni, da giornalista mi ritrovo tutti i giorni ad affrontare il tema dei ragazzi che si vogliono iscrivere ad una scuola e non c’è posto. A tal proposito ho cercato di risolvere il problema di un ragazzino della provincia di Cremona che voleva cambiare scuola, perché si era accorto, durante il primo anno, di avere frequentato una scuola che non era quella giusta per lui e voleva cambiare.

La “mortalità” al primo anno della secondaria di secondo grado è altissima, e sebbene questo ragazzo volesse cambiare scuola non riusciva a farlo, la madre ha scritto al dirigente scolastico della nuova scuola e non ha avuto risposta. Lo dico con molta franchezza, sono dovuto intervenire ancora una volta io cercando i canali poco ufficiali, e dico questo perché è una vergogna tutto questo, perché chi non conosce nessuno in questo Paese rischia di perdere i propri ragazzi, di perdere quei pezzi di società che un domani finiscono nell’abbandono scolastico se non addirittura in buchi o caverne nelle quali non vorremmo mai che finissero. Io faccio il volontario nel carcere di Lodi, lì non ci viene il figlio del dottore o dell’avvocato, nel carcere di Lodi i miei ragazzi sono frutto di quell’abbandono scolastico di cui la scuola è responsabile.

È drammatico il passaggio che avviene tra una scuola che rifiuta un ragazzo e quel ragazzo, proprio perché rifiutato dalla scuola, che finisce per forza di diventare uno scarto della società. Noi siamo in un Paese dove non si lavora assolutamente per rimuovere questa immobilità sociale. Questo è il grande tema che non viene affrontato non solo dal Ministero, ma anche dai docenti e da quei dirigenti che si dovrebbero mettere una mano sulla coscienza quando si ritrovano davanti questi ragazzi. Qualche tempo fa ho detto che coloro che bocciano questi ragazzi sono responsabili di un reato, quando bocci una persona è come se lo stessi uccidendo, soprattutto quando non sei in grado di fornirgli un progetto

Quando non sei in grado di dire al Michael di turno che anche se quest’anno non ce l’ha fatta va bene lo stesso, magari dicendoglielo in faccia senza metterlo su un tabellone con una riga rossa o sul registro elettronico. Di recente ho scritto un articolo di una mamma dove una scuola paritaria cattolica, i Salesiani di Sesto San Giovanni, hanno bocciato un ragazzo ADHD, con una diagnosi di oppositivo provocatorio aggravata dalle dipendenze, cioè un ragazzo che assumeva hashish e altre sostanze, e per l’articolo 7 del regolamento di questa scuola cattolica paritaria, una scuola che ha in sé i valori del cristianesimo, non può riprenderlo se è stato bocciato. Allora mi chiedo che valori sono questi, don Milani si rivolta nella tomba, noi stiamo veramente uccidendo la generazione dei ragazzi più giovani.

Un’ultima domanda. A Venezia, durante l’esame di maturità, alcune studentesse per protesta hanno fatto scena muta all’orale per protestare sui voti assegnati alla prova scritta di greco ritenuti ingiusti. Una scelta che le ha penalizzate nel voto finale ma che riaccende il dibattito relativo al giudizio in ambito educativo da intendere come valutazione di un percorso o di una singola prova. cosa cambia tra valutazione formativa e sommativa?

Intanto voglio dire, e lo faccio questa volta con molta ironia, che ho avuto una sorta di orgasmo intellettuale quando ho letto di questa storia, perché sono delle ragazze eccezionali. Tre ragazze che si sono opposte con tanto di coscienza, di chiarezza, di coraggio, di onestà intellettuale e tanta determinazione, e ringrazio Dio che ci siano dei giovani che ci danno delle grandi lezioni di coraggio e di parresia, delle grandi lezioni di educazione civica. Ho anche cercato una di loro per fargli i complimenti e spero di riuscire a contattarla perché da persona ormai con la barba bianca e i capelli canuti mi sento di avere imparato tanto da questa ragazza, che ha insegnato a tutti che la valutazione intanto dovrebbe essere qualcosa di ben diverso da quella sommativa, la maturità in fondo è il simbolo, l’apice, di quella che adotta solo la valutazione sommativa, cioè ti valuto per quella prova che è, per la tua performance.

È simpatico pensare che quando ho fatto la maturità c’era della gente che aveva preso il massimo dei voti e oggi fa il panettiere, senza nulla togliere a questo mestiere di cui ho grande amore, ma questo per dire che io che ho preso un modesto 42 adesso faccio il giornalista e l’insegnante. Quindi a cosa serve il voto, è la vita che poi ti sperimenta, tant’è che sono contrario anche alla maturità, all’esame di stato, un esame fascista introdotto da Gentile, un esame che è stato poi toccato e ritoccato dal 1923 ad oggi e che rimane una roba nostalgica della mia generazione e di quelle un po’ più vecchie che vogliono queste cose per rito. Hanno in mente “notte prima degli esami”, la canzone, e vogliono che tutti sentano questo ritmo di nostalgia, di atmosfera, ma devo dire che hanno un po’ stufato, questi “vecchiacci” con la loro nostalgia e i loro riti. I raggi oggi hanno un rito tutti i gironi, che son quelli di trovare un lavoro, di misurarsi tutti i giorni con la vita che non è certo facile in un periodo come questo, in un’epoca in cui lasciamo alle nostre future generazioni un mondo peggiore rispetto a quello in cui sono venuti al mondo.

Tornando al nostro tema, più che di parlare più di valutazione sommativa o formativa, parlerei di valorizzazione. Il mio sogno è quello che un Ministero, un Professore e un Preside un giorno si chiedano quale valorizzazione è stata data al ragazzo, un dirigente che si sieda al consiglio di classe e chieda ad ogni insegnante come abbia valorizzato ogni singolo alunno e di come raccontare tutto ciò ai genitori. Ecco, io sogno una scuola che valorizzi e non valuti, la valutazione è un cammino per il quale si prende in mano un bambino a 6,7 o 8 anni e lo si valorizza, lo si prende in mano per dare valore a quello che lui è in grado di fare. Torna ancora una volta l’importanza del valore dei grandi Maestri, noi Maestri dobbiamo avere dei Maestri, altrimenti saremmo degli incapaci.

Parlo e dico quello che dico perché ho dei grandi Maestri e riporto quello che dicono loro declinato all’oggi, figure come don Milani, Manzi, Zavalloni, Montessori, Lodi e via dicendo, e ci sono gesti che sono lezioni, come quello del grande Alberto Manzi quando pose il timbro sulle pagelle “fa quel che può, quel che non può non fa”. Quel timbro oggi più che mai è valido e andrebbe vissuto dai Maestri perché quel timbro non significa una valutazione ma significa una valorizzazione.

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