La generazione del giudizio. Lettera

Inviata da Michele Canalini – Sono nato negli anni Settanta e oggi sono un insegnante. Appartengo a quella generazione erede del Sessantotto e ho vissuto nei miei anni di formazione un riflusso di autoritarismo accademico, per cui lo studente era rigorosamente alla mercé del docente, sia nell’ambito scolastico sia in quello universitario, e il giudizio di questi era sempre categorico e inappellabile. O ti adattavi o ti adattavi.
Oggi che sono diventato insegnante e svolgo questo mestiere da quasi vent’anni, mi sono reso conto che c’è stato un rovesciamento di paradigma: il giudizio non è più tanto quello che viene dalla cattedra – giudizio che di per sé non condivido come modalità didattica, preferendogli invece un percorso condiviso di crescita tra insegnante e allievo – ma è quello
che si rovescia proprio sul docente stesso. E non è tanto un giudizio di qualità – anch’esso a mio modo di vedere non del tutto appropriato. Ma è un giudizio sull’operato di un professore del quale vengono messi di continuo in discussione il credo pedagogico, la dinamica relazionale con studenti e genitori, il profilo deontologico nelle sue più basilari e insindacabili
conquiste di lavoratore (può oggi un docente, dopo diversi anni, non avere diritto, se giustamente perseguito nel corso della sua carriera, a un incarico a tempo indeterminato e a una retribuzione equa e doverosa, senza dover essere sempre messo in discussione? Questo incessante tirare in ballo la classe docente ha forse un equivalente per qualsiasi altra categoria professionale?).
La conseguenza più fastidiosa di tutto ciò, però, è l’estensione della misura del giudizio agli attuali ragazzi, contrassegnati come una nuova generazione sui quali il “parere dall’alto” non svolge affatto una funzione di stimolo o di emulazione ma soltanto uno svilimento delle loro effettive e reali potenzialità. Come a dire, oggi il giudizio accomuna nella veste negativa
docenti e apprendenti.
E allora, sostengo io, perché questo giudizio non si è esteso pure a quelle decennali classi politiche, considerate trasversalmente, che nell’ultimo mezzo secolo di vita non sono state mai in grado di incidere in modo proficuo sulla scuola pubblica? Dove sono finiti tutti quei ministri dell’Istruzione che, con provvedimenti farraginosi e pensati solo per lasciare un
segno del proprio inconcludente passaggio, non hanno contribuito in alcun modo alla crescita di studenti e insegnanti? Quante occasioni e quanto tempo sprecato, ahimè, proprio “dall’alto”.