La foto di una scuola inclusiva. Lettera

Inviata da Francesca Maggio Aprile – Nella consapevolezza che l’impegno assunto dall’organo Invalsi sia funzionale, a livello micro, all’autovalutazione di ogni Istituto scolastico e, a livello macro, al monitoraggio e all’orientamento/ri-orientamento dell’intero sistema scolastico nazionale, motivi per i quali ho scelto di non aderire ad eventuali azioni di sciopero tese all’elusione delle prove che si tengono a maggio, sento però il bisogno di portarVi la testimonianza di chi opera come docente all’interno di un contesto multiculturale e multilinguistico.
Insegno da più di quindici anni in una scuola primaria di Campi Bisenzio (I.C. Rita Levi Montalcini) dove interagisco con gruppi classe complessi, caratterizzati da alunni con background linguistico e culturale vario e portatori di identità in divenire, identità che probabilmente saranno interessate da ibridazioni linguistiche e avranno bisogno di nuove categorie lessicali per essere definite.
Con i nostri alunni e le nostre alunne viviamo quotidianamente situazioni di reciproco arricchimento che passano anche attraverso silenzi o mediazioni fornite da canali non verbali; attingiamo (come suggerito dalle Indicazioni nazionali) dal linguaggio del contesto per offrire spunti di riflessione linguistica e stimolare percorsi metacognitivi.
Nel nostro caso però il linguaggio del contesto è estremamente variegato e la scuola, nonostante i corsi di alfabetizzazione attivati, non riesce ad offrire situazioni di arricchimento adeguate a integrare le “differenze”. Quindi, progettiamo curricoli personalizzati che tengano conto delle specificità di ognuna e ognuno e ne garantiamo l’attuazione attraverso situazioni di apprendimento accessibili ai vari livelli di competenza linguistica.
Questo non vuol dire annullare il conflitto cognitivo, ma contenerlo entro i reali potenziali di sviluppo, al fine di garantire il successo e circoscrivere la frustrazione a livelli formativi.
Alla base di tutto vi è un’idea inclusiva di scuola che, come indicato dal D. Lgs. n. 66 del 1° aprile 2017 “(…) si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno nel rispetto del diritto all’autodeterminazione e all’accomodamento ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità di vita”.
Ciò che intendo dire è che alcuni degli alunni e delle alunne con cui co-costruiamo quotidianamente i saperi, quelle e quelli il cui livello di competenza nella lingua italiana è a stento inquadrabile entro i descrittori corrispondenti ad A1 nel Quadro europeo di riferimento, che eppure sono parte integrante di un gruppo classe, a fronte della prova Invalsi di italiano classe quinta, hanno vissuto una situazione di impotenza e maturato una sensazione di forte inadeguatezza.
A mio parere, una situazione così mortificante non riesce a rappresentare uno stimolo ma solo a enfatizzare ciò che (ancora) non si sa fare.
Mi chiedo se, al fine di mettere anche questi bambini e queste bambine al centro delle situazioni di apprendimento (la verifica è parte del ciclo), non sia possibile prevedere livelli diversificati di prove, atti a tener conto delle reali competenze linguistiche di chi è cittadino e cittadina del mondo.
Mantenendo la costante fiducia nelle Istituzioni e confidando in un riscontro.