Istruzione in carcere: 34% dei detenuti è inserito in percorsi formativi, il 3% è iscritto all’Università. Tutti i dati

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha fornito dati aggiornati relativi agli spazi adibiti a attività lavorative e formative all’interno degli istituti penitenziari italiani. Al 15 marzo 2024, su 189 istituti, 164 hanno fornito informazioni pertinenti, rappresentando l’86% del totale. All’interno di questi istituti sono stati censiti 627 spazi, di cui 365 attivi e 262 inattivi, delineando un quadro dove il 60% degli spazi è operativo mentre il 40% risulta non utilizzato.
Durante il convegno del Cnel a Roma, è stata data particolare attenzione agli ambienti destinati all’istruzione e formazione dei detenuti. Una rilevazione su 170 istituti ha mostrato che il 31,8% dispone di aule didattiche per l’istruzione di primo e secondo grado e terziaria. In particolare, 54 istituti offrono 602 aule per scuole secondarie, con il 56,5% di queste cablate per uso didattico, mentre 112 aule universitarie registrano una percentuale di cablaggio del 55%. Per l’istruzione primaria e secondaria, il 64,7% degli istituti dispone di 555 aule, ma 6 istituti non hanno aule didattiche, equivalente al 3,5% del totale osservato.
Per l’anno scolastico 2022-2023, il 34% dei detenuti ha partecipato a corsi di istruzione interni alle carceri, con una percentuale del 45% di promossi tra gli iscritti. La formazione professionale ha interessato il 6% dei detenuti nel 2023. L’anno accademico 2023/2024 ha visto 1.707 detenuti iscritti all’università, meno del 3% del totale. Sul fronte lavorativo, nel 2023, il 33% dei detenuti era coinvolto in attività lavorative, con 19.153 individui impiegati, ma solo l’1% lavorava per imprese private e il 4% per cooperative sociali. L’85% lavorava per l’amministrazione penitenziaria, spesso per periodi limitati di tempo.
La maggior parte dei detenuti impiegati dall’amministrazione penitenziaria, l’82,5%, svolge servizi d’istituto. La scarsa offerta di opportunità lavorative esterne per i detenuti implica una perdita potenziale per il Pil fino a 480 milioni di euro, evidenziando una significativa opportunità mancata sia in termini economici che di reintegrazione sociale dei detenuti.