Intercultura: di cosa si tratta, cosa possono fare le scuole per costruire un percorso interculturale. INTERVISTA alla docente Giusi Toto

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Scuola e intercultura, qual è lo stato attuale? Ne abbiamo parlato con la Professoressa Giusi Toto, Docente ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Foggia, coordinatrice del Learning Science Hub.

Professoressa Toto, lei sta svolgendo uno studio sulla diffusione dell’intercultura nelle scuole nella regione Puglia, ci spiega innanzitutto cosa si intende quando si parla di intercultura in ambito scolastico?

Non vorrei partire dando una definizione, anche perché sul vostro portale, che mi ospita sempre in maniera molto gentile, abbiamo tra il pubblico molti insegnanti, perciò vorrei partire dagli effetti concreti che l’intercultura produce a scuola. Parlare di intercultura a scuola significa focalizzarsi sulla promozione dell’inclusione, del dialogo e della comprensione reciproca tra studenti di culture diverse. Quindi è importante chiedersi cosa possa fare l’insegnante all’interno della classe, o dell’istituto scolastico, e a tal proposito è importante produrre percorsi didattici di impostazione interculturale, perché devono facilitare la comunicazione e la collaborazione tra studenti di diverse culture per poterli confrontare su esperienze, prospettive e obiettivi didattici che ci permettono di lavorare in maniera proficua all’interno di tutta la classe.

Dallo studio che sta svolgendo ci dice qual è la situazione attuale delle scuole pugliesi riguardo alla promozione dell’intercultura ed in particolare quali difficoltà emergono e quali progressi sono stati fatti negli ultimi anni?

Personalmente mi occupo di formazione degli insegnanti e devo dire che negli ultimi anni la formazione interculturale è stata legata ad una sperimentazione nazionale di un master sull’intercultura che il Ministero della pubblica istruzione aveva erogato in forma gratuita a tutti i docenti, quindi possiamo dire che un livello di formazione in servizio è stata fatta negli anni passati. Oggi questo percorso non è più disponibile come forma di formazione nelle scuole, ma viene sostituito da altri modelli didattici che vengono organizzati da altre associazioni specifiche impegnate in questo ambito, ma anche Orizzonte scuola produce questo tipo di formazione e ci dà questo tipo di contenuto.

Ma cosa significa parlare di competenza interculturale a scuola e cosa devono fare gli insegnanti? A tal proposito gli insegnanti devono sviluppare negli studenti una serie di abilità, come la consapevolezza culturale, che è il riconoscimento dei propri valori e pregiudizi, e la comprensione delle differenze culturali, sviluppare l’empatia culturale che è una variabile rispetto all’empatia che ci permette di comprendere i punti di vista altrui ma anche le emozioni e i contesti differenti in cui vivono gli studenti.

È importante sviluppare tutta una serie di abilità nei nostri studenti per creare il dialogo all’interno della classe. In Puglia la situazione è fortemente impari, ci sono scuole che hanno una serie di strumenti messi in campo come il referente per l’intercultura, che è un docente come il referente per la disabilità, che si occupa di questo ambito disciplinare e addirittura alcune scuole hanno inserito i protocolli per l’accoglienza nel PTOF, ma non è una situazione generalizzata e non esiste uno stesso riscontro in tutti i vari contesti scolastici.

Quali azioni concrete potrebbero essere intraprese nelle scuole per costruire un percorso interculturale, partendo magari da piccole iniziative che possano avere un impatto immediato e duraturo?

In parte l’ho già anticipato, però i Dirigenti Scolastici potrebbero sollecitare e stimolare gli insegnanti ad inserire nel PTOF un protocollo per l’integrazione e l’accoglienza e anche per creare pratiche inclusive all’interno della scuola, non soltanto però come voce teorica ma che abbia poi una ricaduta pratica. L’inclusione passa a 360° ed anche per questo sono stata coinvolta in questa ricerca e, come sappiamo tutti, nella categoria BES a scuola includiamo anche gli studenti stranieri e gli studenti con svantaggio socio-culturale.

Questo da un lato è un aspetto positivo, ma dall’altro non ci permette tanto di diversificare le azioni che possiamo intraprendere a scuola, ad esempio nelle classi dove la componente multietnica è molto forte è importante insegnare agli studenti la gestione e la risoluzione costruttiva dei conflitti, perché è facile che si inneschino conflitti quando c’è difficoltà comunicativa o di scarsa conoscenza anche a livello culturale, per questo il ruolo dell’insegnante può diventa un vantaggio in classe e anche al di fuori della scuola, un vantaggio per tutta la società. La gestione costruttiva del conflitto, in classe e al di fuori della classe, diventa un vantaggio educativo non di poco conto.

Dicevamo che lei è impegnata nella formazione dei docenti, a tal proposito come viene affrontata la formazione interculturale degli insegnanti in Puglia? Ritiene che gli insegnanti siano adeguatamente preparati a lavorare in contesti multiculturali, e cosa potrebbe migliorare a livello formativo?

Inizio facendo un mea culpa, in realtà come formazione inziale degli insegnanti ad oggi noi abbiamo il TFA sostegno, dove sono coinvolta, che si occupa specificatamente della disabilità, però in questo percorso formativo non è entrata un’idea di BES generica come abbiamo detto prima, quindi sia l’intercultura che lo svantaggio socio-culturale hanno scarso spazio anche nei programmi universitari di pedagogia speciale o negli altri insegnamenti, a meno che non si tratti dell’insegnamento specifico di pedagogia interculturale.

Quindi noi docenti dobbiamo ripensare a questo, anche perché sono gli stessi insegnanti che ce lo chiedono nei percorsi di formazione. Uno dei problemi comuni a tutte le classi e a tutti gli studenti, nella loro diversità, è appunto la gestione della classe e gli insegnanti ci chiedono spesso quali strategie e strumenti possono mettere in campo per gestire al meglio la classe. Quando siamo di fronte ad un contesto multietnico è ovvio che le difficoltà maggiori sono di livello comunicativo, per la scarsa conoscenza della lingua ma anche dei significati culturali che sono alla base appunto della diversità, e della gestione della collaborazione che può nascere all’interno della classe, per questo sviluppare percorsi che rendano maggiormente collaborativo il rapporto fra gli studenti a scuola diventa fondamentale.

Collaborazione, condivisione di contenuti e di strategie di organizzazione della classe diventano importanti, sia dal lato docente che da quello studente, perché gestire insieme agli studenti le divergenze che possono emergere in classe ci permette di sviluppare delle abilità che sono legate alle tecniche di negoziazione e di risoluzione dei conflitti che diventano fondamentali nella società contemporanea. La scuola deve essere aderente al contesto e deve riuscire ad incidere a livello sociale anche fuori dalle aule, se riuscissimo ad insegnare queste abilità e competenze, grazie all’intercultura, ne gioveremmo un po’ tutti.

Prima ci diceva che la situazione in Puglia è un po’ a macchia di leopardo, a tal proposito le chiedo se esistono linee guida specifiche per le scuole pugliesi in tema di intercultura e se sì, quali sono i principali obiettivi?

Devo dire che voi di Orizzonte Scuola siete sempre sul pezzo, perché riuscite con queste domande a centrare ciò che è in fieri. Personalmente ho avuto un incontro in regione Puglia un paio di settimane fa proprio su questa tematica e durante un incontro con il garante per la disabilità della regione Puglia ho incontrato casualmente proprio chi si occupa di queste tematiche. In Puglia abbiamo varie specializzazioni a livello regionale sulle varie tematiche come per i minori non accompagnati o per le questioni legate ai diritti e alla tutela dell’immigrazione legate ai vari contesti, io non mi occupo di immigrazione in generale né tanto meno di intercultura, se non nel segmento scolastico e di formazione degli insegnanti e a tal proposito è emerso un aspetto che interessa più ambiti di intervento, non soltanto quello scolastico, che è appunto la mancanza di linee guida che possano dare uno spunto a tutti, compresi i dirigenti scolastici e gli insegnanti, sulle azioni da svolgere e per quanto riguarda la scuola su cosa fare in classe, che tipo di intervento proporre, quali possono essere i protocolli di accoglienza che possiamo metter in atto, quali strategie dover attivare in classe quando gli studenti, ad esempio, hanno delle carenze linguistiche, comunicative o di partecipazione, oppure semplicemente vivono stress ed ansia perché si percepiscono diversi rispetto agli altri e quindi dobbiamo gestire anche dinamiche di natura psicologica e relazionale.

Chiudiamo con un’ultima domanda. In mancanza di linee guida strutturate sul tema dell’intercultura, quali principi e strategie di base potrebbero essere adottati dalle scuole per avviare un percorso di sensibilizzazione interculturale?

Con le scuole si può fare sempre tanto, anche perché le scuole, per fortuna, ogni volta che sono chiamate ad intervenire sono sempre presenti. Forse l’agenzia formativa è in Italia quella che più risponde a tutti i bisogni, le emergenze e le pressioni che riceve anche dai contesti sociali. A scuola si può fare tanto, come ad esempio le iniziative di sensibilizzazione, di prevenzione dei pregiudizi e delle incomprensioni, possiamo strutturare una serie di attività didattiche da proporre in classe che ci aiutano a raggiungere quegli obiettivi che ho detto prima, cioè quelli legati alla gestione dei gruppi, alla collaborazione, comunicazione, negoziazione e gestione del conflitto.

Esistono una serie di metodologie didattiche innovative che possiamo proporre anche in ottica interculturale, esistono diverse sperimentazioni e da questo punto di vista questo filone di ricerca mi sta coinvolgendo abbastanza, tant’è che abbiamo un progetto di ricerca internazionale che ci permette di avere più punti di vista dei vari paesi d’Europa, tra cui anche l’università finlandese, che ci permette di analizzare i vari dati, i quali ci dicono che proporre attività socialmente condivise tra gli studenti migliorano sia gli apprendimenti da un punto di visto cognitivo, ma anche gli apprendimenti da un punto di vista di soft skills e social skills, in pratica ci permettono di sviluppare competenze trasversali tra gli studenti e di partecipare in maniera attiva alla vita della scuola.

Uno di questi modelli, lo porto giusto come esempio in modo che ne parliamo in maniera concreta, è il Socially shared regulation of learning (SSRL) che permette l’autoregolazione degli studenti nei processi di apprendimento, cioè lo studente si monitora quando fa qualcosa, non è agito da qualcun altro o in maniera passiva, sa esattamente che cosa sta facendo, ha un diario di bordo delle attività che sta facendo, sa dove deve andare, monitora sé stesso, questo perché ognuno ha dei tempi diversi, ha degli apprendimenti diversi che l’insegnante da solo difficilmente potrà fare. È vero che il docente deve personalizzare l’attività didattica, ma con la lezione frontale a volte non si riesce e nemmeno si può pretendere che possa monitorare continuamente trenta persone, magari in maniera sincrona e senza l’uso della tecnologia.

Questo obiettivo si può perseguire rendendo gli studenti consapevoli e protagonisti del proprio percorso di formazione, se lo studente è attivamente coinvolto, responsabile di quello che fa e di quello che non fa, l’insegnante riesce, con l’aiuto dello studente stesso, a monitorare i suoi apprendimenti. Ritengo che siamo in una fase dove dobbiamo aprire una terza via: c’è stato un periodo dove le lezioni erano centrate sugli insegnanti, soprattutto attraverso la lezione frontale che era confessionale e dove l’insegnante era il punto di riferimento nella scuola e nella società, rappresentando l’unico sportello culturale di tutti i contesti, compresi quelli di periferia; successivamente siamo passati ad un approccio centrato sullo studente, quindi di personalizzazione e di metodologie didattiche che lo coinvolgessero; ora dobbiamo aprire una terza strada, quella della relazione tra studente ed insegnante, l’uno non può prescindere dall’altro, una via che non può essere centrata né solo sull’insegnante e nemmeno solo sullo studente, quindi un insegnamento ed un’attività didattica centrata su entrambi gli attori che permettano, in una responsabilità reciproca, di fare dei passi avanti. Ritengo che questo sia il risultato che possiamo ottenere se vogliamo raggiungere contenuti efficaci a scuola.

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