Intelligenza artificiale in classe? “Può supportare il docente e aiutare gli studenti ad essere padroni degli strumenti”, ecco come. INTERVISTA a Carlo Mazzone

L’intelligenza artificiale e il digitale in senso più ampio rappresentano senz’altro una nuova frontiera anche per la scuola italiana. Non che sia avvenuto tutto da un momento all’altro, ma sicuramente negli ultimi anni l’accelerata sull’uso del digitale ha coinvolto in modo concreto e tangibile il lavoro a scuola dei docenti e di tutto il personale e l’apprendimento degli studenti.
In particolare, l’intelligenza artificiale è entrata nelle aule scolastiche con molta velocità e già da quest’anno è stata avviata una sperimentazione dedicata, per provare a capire come poter iniziare ad introdurre a regime l’IA nella scuola.
La sperimentazione, come sappiamo, durerà due anni e prevede l’utilizzo di un software installabile su Google Workspace, inizialmente focalizzato sulle materie STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e sulle lingue straniere.
L’intelligenza artificiale, che viene utilizzata sotto forma di assistente virtuale, sarà in grado di individuare le difficoltà di apprendimento dei singoli studenti e di segnalarle sia al docente che all’alunno stesso. A quel punto, il docente, potrà intervenire in modo mirato per aiutare lo studente a superare le difficoltà.
Al termine dei due anni di sperimentazione, l’Invalsi dovrà valutare i risultati del progetto, confrontando i progressi degli studenti delle classi “digitali” con quelli delle classi “tradizionali”.
Se i risultati saranno positivi, l’obiettivo è quello di estendere l’utilizzo dell’intelligenza artificiale a tutte le scuole italiane a partire dal 2026.
La sperimentazione prevede il coinvolgimento di 15 classi nelle regioni Calabria, Lazio, Toscana, Lombardia.
Peraltro, i temi del digitale e dell’intelligenza artificiale, si legano alle prospettive lavorative del prossimo futuro. Legame fra scuola e lavoro che è al centro della riforma del 4+2 dell’istruzione tecnica-professionale, voluta fortemente dal Ministro Valditara.
Di intelligenza artificiale, digitale e rapporto fra scuola e lavoro ne abbiamo parlato con Carlo Mazzone, docente di informatica nella Scuola Superiore e finalista del Global Teacher Prize.
Intelligenza artificiale a scuola: come vede la sperimentazione del Ministero? Un valido primo passo oppure un’iniziativa un po’ troppo timida?
In linea generale, una sperimentazione è sempre un modo per verificare la possibilità di applicare una determinata innovazione in un campo specifico. Come tale, anche in questo caso, credo che si tratti di un’esperienza utile. Tuttavia, essa sembra focalizzata sull’uso dell’Intelligenza Artificiale per supportare i docenti a migliorare le competenze degli studenti, concentrandosi sulle specificità della didattica personalizzata mentre io credo ci si dovrebbe concentrare, almeno in questo momento, al controllo degli effetti negativi prodotti da un eccesso di semplificazione del contesto di apprendimento.
Cosa intende nello specifico?
Cerco di essere più chiaro. Il punto principale, credo, sia quello di far comprendere agli studenti di ogni età il senso dell’impegno e della costanza necessari per rendere “neve” e non “acqua” gli spunti di ragionamento che consentono di ottenere la reale padronanza dei vari contesti. Solo la neve, con la sua lentezza, permette un reale beneficio a lungo termine. Non possiamo combattere l’IA sul suo stesso terreno che è quello della quantità di informazioni e sulla velocità, ma solo riscoprendo il senso della necessaria capacità di meditazione e spirito di osservazione in essa insito, al fine di guadagnare una visione laterale sulle cose del mondo. Mi si consenta quindi anche una sorta di apologia della complessità.
Il nodo centrale per adoperare in modo efficace l’intelligenza artificiale a scuola è la formazione dei docenti. Ma i nostri insegnanti sono formati? E se non lo sono, le sembra ci siano le possibilità per formarsi?
Credo che mai come in questo periodo si stia dando attenzione al contesto della formazione della classe docente. Dare un giudizio assoluto non è affatto semplice trattandosi spesso di contesti disomogenei. Non sempre, infatti, le varie realtà scolastiche sono sufficientemente strutturate con un approccio proattivo allo sfruttamento dei fondi e delle varie opportunità, mentre altre rimangono indietro per mancanza di risorse o di sensibilità sul tema. Non credo che una spinta eccessiva verso l’obbligatorietà della formazione docente possa ottenere gli effetti sperati quanto piuttosto una sensibilizzazione all’importanza di non rimanere indietro in un modo che corre a velocità mai viste nella nostra civiltà.
Bisogna ricordare anche che il corpo docente italiano al momento ha un’età media un po’ avanzata, quindi è difficile “convertire” tutti gli insegnanti “vecchia scuola”. Non trova?
Sì, certo. Tuttavia, anche in questo caso voglio andare contro corrente. Il ruolo dell’educatore rimane sempre lo stesso, ovvero quello di preparare le nuove generazioni ad affrontare la vita adulta e l’inserimento al pieno delle proprie possibilità al centro della società. È palese che la nostra società sia ora di “tipo tecnologico” rispetto al passato ma rincorrere la tecnologia senza vederla come uno strumento può essere pericoloso. Ciò non tange l’importanza di far comprendere quanto sia fondamentale per tutti un’alfabetizzazione al digitale e ai suoi, appunto, strumenti.
Il digitale a scuola, però, resta un tema controverso: da un lato l’intelligenza artificiale, le LIM, le risorse online, dall’altro il divieto di utilizzare il cellulare a scuola. Come la pensa?
Credo molto dipenda innanzitutto dall’ordine di scuola. Bambini e bambine in tenera età hanno bisogno di mantenere un forte contatto con la manualità che li aiuta, più di ogni altra cosa, a sviluppare importanti competenze orizzontali. Tanto per dirne una, non sono favorevole all’abbandono dell’uso del corsivo. Devo poi ripetermi ma il digitale, resta uno strumento utile ma non un fine. Il digitale, infatti, consente un approccio straordinario, ad esempio, per apprendere attraverso strumenti immersivi quali realtà aumentata e realtà virtuale ma deve essere mediato da contenuti di spessore attentamente predisposti per far sì che si abbia un reale impatto sulle competenze. Non sono affatto contrario all’uso del cellulare in classe ma solo quando questo viene mediato attentamente dal docente che riesce ad essere un mentore e facilitatore dell’esperienza di apprendimento. Ci sono però, mi permetto di di aggiungere, altri elementi ugualmente importanti che spesso vengono sottovalutati.
Quali?
Ad esempio, l’insegnamento di più lingue, come quelle asiatiche completamente diverse dalle nostre, può essere assolutamente foriero di visioni differenti del proprio modo di apprendere. Penso, inoltre, allo sviluppo di competenze attraverso la metodologia del Visual Thinking. Ancora, lavorare molto sulle soft skills quali gli approcci all’imprenditorialità, ai quali sono molto legato anche perché docente imprenditivo di Junior Achievement può dare risultati straordinari.
Nei suoi progetti portati avanti, la scuola e il lavoro sembrano molto “vicini”. Cosa ne pensa della riforma del 4+2?
Da sempre ho ritenuto indispensabile mantenere uno stretto legame tra il mio modo di vivere l’educazione e il mondo reale tanto da definire un vero e proprio modello che, partendo dalla metodologia vivariumware, ho etichettato come “La Scuola fuori” volendo mettere l’accento sul fatto che la scuola non può essere autoreferenziale ma deve essere aperta al contesto reale, sociale e del mondo del lavoro. In questo ambito, sono arrivato a fondare un’associazione, Sannio Valley, che vede come mission il realizzarsi di un motore per lo sviluppo socio-culturale ed economico nelle regioni interne, dando vita a un ecosistema digitale che sia catalizzatore di talenti e opportunità tecnologiche avanzate. Il digitale, in questa ottica, è il nostro principale alleato nella creazione di un ambiente favorevole all’insediamento e alla crescita produttiva delle imprese locali. Sannio Valley, concretamente, mette insieme enti e istituzioni formative con le aziende del territorio per un patto di crescita. Dopo questa premessa, secondo me il cosiddetto 4+2 sembra andare in questa direzione dando in ogni caso un’ulteriore possibile scelta formativa per i giovani.
Perchè, secondo lei, questo generale scetticismo sul 4+2?
Lo scetticismo credo sia dovuto principalmente a due differenti ordini di fattori. Da una parte la preoccupazione relativa alla possibile riduzione, in prospettiva, degli organici dei docenti. Dall’altra dalla considerazione della prevedibile difficoltà di comprimere in 4 anni quello che normalmente dovrebbe essere oggetto di 5 anni di preparazione per rendere i due percorsi equivalenti. Anche qui, come per l’IA, si tratta di una sperimentazione che quindi vale la pena di tentare in particolare, in questo caso, se si punta a creare professionisti votati all’eccellenza. Sinceramente, tuttavia, mi spaventa la possibilità di verticalizzare eccessivamente gli insegnamenti in un mondo così vorticosamente veloce governato da tecnologie sempre più sorprendenti. Il futuro dell’universo lavorativo vede all’orizzonte sempre minori spazi per l’occupazione umana tradizionale in quanto questa sarà sempre più di competenza delle macchine. In questo scenario, sebbene sia necessario prevedere percorsi di formazione tecnicistici, deve essere sempre lasciato spazio a creatività e pensiero critico come elemento imprescindibili della formazione affinché, come dicevo in precedenza, non si provi a spostarsi nel campo di battaglia in cui le IA e le tecnologie automatizzate in genere la fanno da padrone.
Una sorta di umanesimo digitale?
Il tempo che stiamo vivendo, strabordante di elementi tecnologici, può in prospettiva, riavvicinarci al senso vero dell’umanità inteso come aspirazione al benessere dello spirito e alla riscoperta del sé. Questo sarà possibile solo se l’uso dei nuovi strumenti sarà di tipo democratico non lasciando indietro nessuno e non, come purtroppo sembra intravedersi all’orizzonte, un accaparrarsi di potere tecnologico nelle mani di pochi. Il mio suggerimento a livello di Paese, in questo ambito, è quello di puntare e investire in maniera molto più importante di quanto fatto finora sugli aspetti della ricerca tecnologica di frontiera e sulle nuove tecnologie piuttosto che semplicemente cercare di normare elementi che per loro natura sono incontrollabili.