Insegnare l’ABC delle relazioni in un mondo che rifiuta di imparare, un alunno 13enne: “Come faccio a sapere che non diventerò violento, se nessuno me lo spiega?”

WhatsApp
Telegram

C’è un paradosso che caratterizza la nostra epoca: mai come oggi abbiamo avuto così tanti strumenti per connetterci, eppure le relazioni interpersonali appaiono sempre più fragili e distorte.

Stefania Andreoli, psicoterapeuta e autrice, nella sua rubrica su Sky TG24 Insider, si definisce ironicamente un’“insegnante fallimentare”: ammette di non avere la pazienza per spiegare ciò che dovrebbe essere ovvio.

Come convincere chi sostiene che “le donne se la cercano” o che “un ceffone ogni tanto ci vuole”? La violenza, però, non si combatte con lezioni frontali ai già convinti, ma costruendo una rete di pensiero critico capace di isolare chi diffonde veleni.

Il punto è che oggi mancano le basi: non sappiamo più insegnare il rispetto. E mentre perdiamo tempo a discutere con chi nega l’evidenza, i ragazzi imparano che la gelosia è romantica, che il controllo è amore, che il corpo dell’altro è un territorio da conquistare.

Prima che sia troppo tardi: perché aspettare il sangue?

Il nostro sistema agisce sempre a valle, quando il danno è fatto. Centri antiviolenza, pene più severe, marce commemorative: tutto necessario, ma arriva troppo tardi. Intanto:

  • Bambini crescono convinti che le urla siano normali.
  • Adolescenti credono che la possessività sia prova di passione.
  • Uomini pensano di avere diritto alla vita altrui.

La domanda cruciale l’ha posta un ragazzino di 13 anni durante un incontro a scuola: “Come faccio a sapere che non diventerò violento, se nessuno me lo spiega?”. La risposta è semplice e rivoluzionaria insieme: la scuola deve smettere di essere solo un luogo di nozioni e diventare una palestra di umanità.

“Se anche vorrei ucciderti, non lo faccio”: il potere di un pensiero alternativo

La soluzione è prevenzione radicale, che comincia prima ancora della scuola:

  • Nei corsi pre-parto, spiegando che le botte non educano, ma insegnano solo a temere.
  • All’asilo, mostrando che il corpo non è un oggetto da esibire o criticare.
  • In famiglia, rifiutando l’idea che gelosia e controllo siano segni d’amore.

Andreoli lo dice con parole che scottano: “Mi serve un mondo in cui, anche se vorrei ammazzarti, non lo faccio. Perché qualcuno, prima di me, mi ha dato un pensiero invece di un coltello”.

Gelosia 2.0: quando l’amore diventa controllo digitale

“Se mi ami, mi mostri chi ti scrive”. “Cancella quel like”. “Perché non mi rispondi subito?”. Quante coppie adolescenti sentono risuonare queste frasi nelle loro chat? I social media hanno creato nuove forme di violenza psicologica, più subdole perché apparentemente “normali”. Il 22% dei giovani italiani ha subito forme di stalking digitale, come geolocalizzazioni forzate o controlli ossessivi delle conversazioni.

E poi c’è il revenge porn, in crescita del 30% tra i minorenni, favorito dall’uso ingenuo di app che promettono privacy ma non la garantiscono davvero. Mentre in Germania campagne virali come #NotYourProperty cercano di smontare questi meccanismi, in Italia mancano ancora strumenti educativi adeguati.

L’amore ai tempi degli algoritmi

Il vero problema è che i social media non sono strumenti neutri. Gli algoritmi premiano i contenuti più estremi, più emotivi, più polarizzanti. Così, mentre la scuola fatica a parlare di educazione affettiva, i ragazzi imparano cosa sia l’amore dalle storie Instagram di coppie perfette o, peggio, da comunità online che glorificano la gelosia come prova di passione.

Le ragazze subiscono pressioni costanti: il 44% under 16 ha ricevuto richieste di foto intime. I ragazzi, soprattutto quelli più fragili, rischiano di essere risucchiati in vortici di misoginia da certi ambienti online. E nel mezzo, un silenzio educativo che grida vendetta.

Cosa possiamo fare?

I social media non hanno inventato la violenza di genere, ma l’hanno resa più pervasiva e subdola. Sta a noi decidere se vogliamo continuare a subirla o iniziare a contrastarla seriamente. Perché, come dimostrano i dati, il prezzo della nostra inazione lo stanno già pagando i nostri ragazzi.

WhatsApp
Telegram

Interpelli per le supplenze, le scuole iniziano a pubblicare. Ti informiamo noi quando una scuola cerca un supplente e inviamo la tua candidatura. Il nuovo sistema di Interpelli Smart