“Insegnanti-educatori coinvolgenti, interessanti, portatori di modelli di bellezza”, ecco la metodologia della bellezza. Ne parliamo con il professor Dallari

Il dibattito sull’educazione ed i suoi stili è in forte fermento. Cresce sempre più l’esigenza di adottare metodologie di insegnamento più efficaci ed efficienti. In questo contesto si innesta il volume “La zattera della bellezza”, edito da Il Margine, del Professor Marco Dallari, già docente di Pedagogia e Didattica dell’Educazione Artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Firenze, professore straordinario di Pedagogia Comparata all’Università di Messina e professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale all’Università di Trento, dove ha fondato il Laboratorio di Comunicazione e Narratività.
Professor Dallari, lei propone una nuova visione della bellezza come strumento per educare, quindi non educare alla bellezza, ma usare la bellezza per educare. Ci spiega meglio questa metodologia?
Sappiamo che ogni anno è in aumento il numero di studenti della scuola secondaria che si dichiarano insoddisfatti dell’esperienza educativa, che giudicano insensata l’offerta formativa e in numero sempre crescente partecipano al drammatico fenomeno dell’abbandono scolastico. Sappiamo anche, però, che quando ci troviamo in una situazione vissuta come gratificante e “bella” non ci poniamo la domanda se quell’esperienza abbia senso, ma accogliamo volentieri l’opportunità che rappresenta, come accade ai bambini che frequentano una scuola dell’infanzia di qualità, agli studenti di scuole sperimentali e innovative e agli studenti universitari impegnati in un corso di laurea che trovano interessante e giudicano utile per la loro formazione e il loro futuro. Occorre dunque che la scuola dell’obbligo e i suoi insegnanti abbandonino l’idea che gli scolari debbano studiare per senso di ubbidienza e di subordinazione, ma possano sentirsi protagonisti felici dell’esperienza formativa e possano trovare insegnanti-educatori capaci di essere coinvolgenti, interessanti, portatori di modelli di bellezza e di qualità di una vita scolastica capace di diventare modello di convivenza civica e di organizzazione sociale.
Nel titolo del suo libro lei usa il termine zattera “per traghettare il principio del piacere nell’avventura educativa”. Sembra quasi un’ultima possibilità di salvezza per l’educazione. È così?
Freud ci ha insegnato che il principio di piacere è il primo regolatore della psiche. Man mano che i bambini crescono chi ha la responsabilità della loro educazione dovrebbe far scoprire loro il piacere dell’apprendimento e della conquista delle conoscenze. D’altra parte per i bambini piccoli le conquiste cognitive legate all’apprendimento dei linguaggi e alla scoperta degli universi simbolici è sempre accompagnata da manifestazioni di gioia. Occorre che questo senso di piacere dei progressi cognitivi riconoscibili come risorse di autonomia e di miglioramento di sé e della qualità della propria vita diventino anche caratteristiche e priorità della scuola dell’obbligo. Per questo occorre che l’esperienza dell’apprendimento diventi bella, creativa, gratificante.
In ambito educativo il pensiero divergente viene spesso trascurato, forse perché difficile da gestire e stimolare. Sir Kenneth Robinson affermava che l’attuale sistema scolastico mortifica talenti e creatività dei giovani. Quanto sono importanti questi aspetti nell’educazione?
Sono aspetti fondamentali, perché il primo compito dell’istituzione educativa dovrebbe essere quello della strutturazione dell’identità personale, della scoperta di sé, dei propri talenti e del proprio universo desiderante. Perché questo avvenga occorre però che si attivi quel processo che viene definito “individualizzazione del curricolo” che presuppone la rinuncia a quell’idea di programma uguale per tutti che in teoria la riforma Berlinguer avrebbe già eliminato da anni ma di cui la pratica scolastica non riesce a liberarsi.
All’interno del suo volume lei ha dedicato alcuni paragrafi a quelli che definisce “ambasciatori della bellezza”. Quanto sono importanti questi personaggi e quali stimoli possono dare i loro esempi in ambito educativo.
Gli ambasciatori della bellezza che ho presentato sono solo alcuni esempi. Il problema è che molti personaggi che vengono proposti nella scuola come noiose biografie da apprendere e memorizzare, potrebbero essere presentati per quello che sono stati realmente: scienziati, artisti, letterati portatori di creatività, pensiero divergente, desiderosi di cambiamento. Persone spesso osteggiate dai contemporanei che non hanno avuto vita facile, soprattutto in gioventù. Presentarli come esempi di curiosità e di coraggio, magari promuovendo e utilizzando ricerche di documenti audiovisivi, filmati, testimonianze differenti da quelle formulate nel noioso linguaggio dei libri di testo, potrebbe farli diventare occasioni di curiosità, interesse, oltre che esempi di verità e bellezza cercate e conquistate con sforzo e determinazione.
Il pensiero è fondamentale, lei parla di pensare per storie, citando Beatson, del sapere narrativo e dell’importanza di imparare a raccontare. Ci spiega meglio?
La competenza narrativa, vale a dire la capacità di raccontare, di suscitare curiosità e attenzione nei nostri interlocutori (che dovrebbe essere una dote fondamentale per chi fa il mestiere di insegnante ed essere oggetto di formazione sia iniziale che in servizio) non è solo una risorsa comunicativa e retorica, ma un apparato metacognitivo, vale a dire un modo di organizzare e interiorizzare conoscenze e rappresentazioni. Possiamo anche dire che la capacità di narrare testimonia il passaggio dalla dimensione dell’apprendimento a quella della competenza, poiché raccontare presuppone dare forma simbolica originale e personale a ciò che si vuole comunicare, tenendo conto delle capacità di comprensione e di interpretazione del nostro interlocutore. La competenza narrativa dovrebbe quindi essere un requisito di chi insegna, ma anche un obiettivo formativo, e alla comunicazione orale e alla conquista di una sua qualità da parte degli studenti dovrebbe quindi essere assegnato uno spazio molto superiore a quello occupato dalle avvilenti “interrogazioni”, scoprendo l’importanza dell’organizzazione di comunicazioni inter e transdisciplinari, multimediali, costruite all’interno di esperienze di cooperative learning, per non parlare delle esperienze di laboratorio teatrale, che costituisce una risorsa formativa straordinariamente importante quanto sistematicamente trascurata.
La seconda parte del volume è dedicato alle parole della bellezza, cosa rappresentano e quanto sono importanti nell’educazione?
Le parole della bellezza che presento nella seconda parte del volume sono soltanto esempi, ciascuno potrebbe trovarne molte altre, ma mi servivano soprattutto a dimostrare come gli argomenti di cui queste parole sono portatrici non sono solamente potenziale occasione di riflessione didattica, ma spesso suggerimenti utili a progettare e interiorizzare stili di vita, di socialità, di esperienze vissute, di “educazione civica” concretamente realizzata.
Concludiamo con un’ultima domanda. L’obiettivo che si è prefissato è stato quello di porre l’attenzione sul motivare e far entusiasmare gli alunni all’apprendimento. Quanto sono importanti questi aspetti per chi insegna?
Motivare e far entusiasmare gli alunni è possibile solamente a chi è a sua volta motivato e capace di presentarsi come modello convincente e “autentico” di ciò che propone alla scoperta e all’apprendimento degli allievi. Ciò che chiedo a educatori e insegnanti che leggono questo libro non è solo uno sforzo di adeguamento a un modello pedagogico didattico differente da quello dominante, ma anche un serio esame di coscienza. L’esperienza terribile del COVID e del passaggio dalla scuola in presenza alla didattica a distanza ha visto insegnanti che si sono sforzati, non di rado con risultati apprezzabili, di mettere in discussione le loro abitudini didattiche, di rinnovare i contenuti dell’offerta formativa, di attivare esperienze inter e transdisciplinari, di cercare e trovare supporti audiovisivi e multimediali, di coinvolgere a distanza ospiti la cui conoscenza potesse incuriosire e interessare gli allievi. Ma abbiamo visto, come molti genitori testimoniano, insegnanti che si sono limitati a tediare i loro alunni con lezioni frontali e valanghe di compiti. Alla fine di quest’anno abbiamo visto il ritorno delle bocciature di molti allievi, mentre gli insegnanti sono stati tutti promossi, anche se l’insuccesso di qualunque relazione (quella amorosa, quella amicale, ma anche quella didattica) in quanto, appunto, relazione, e dunque fenomeno biunivoco, non ha quasi mai un unico responsabile, ma è sempre il risultato di corresponsabilità, di un “concorso di colpa”. Forse c’è qualcosa che non va nel sistema, e almeno un esame di autocoscienza e di riflessione sul proprio stile e sulle proprie competenze didattiche potrebbe essere utile a molti docenti, e magari diventare anche occasione di discussione e di confronto in quei collegi dei docenti nei quali spesso si gestiscono le routines ma i veri problemi della scuola non vengono affrontati.