Il registro elettronico: sorveglianza o educazione? Lettera
Inviata da Simone Billeci – Con l’inizio del nuovo anno scolastico alle porte, migliaia di studenti si preparano a varcare di nuovo le soglie delle aule, con i loro zaini colmi di libri, aspettative, e – inevitabilmente – le ansie di ogni anno. Ma c’è un’ombra che si allunga su questo rituale annuale, una presenza costante che, sebbene silenziosa, influenza profondamente la dinamica della vita scolastica e familiare: il registro elettronico.
Paolo Crepet, nel suo recente libro “Mordere il cielo”, non ha risparmiato parole taglienti nel descrivere quello che definisce come un “patto scellerato” tra le esigenze genitoriali e il desiderio degli insegnanti di sollevarsi da ogni possibile responsabilità. Secondo Crepet, il registro elettronico, nato come strumento per favorire la comunicazione tra scuola e famiglia, ha finito per trasformarsi in una gabbia digitale, un meccanismo di sorveglianza che soffoca l’autonomia degli studenti e alimenta un pericoloso senso di irresponsabilità.
Il punto cruciale di questa critica risiede nella perdita di un concetto fondamentale: l’autonomia. La scuola, tradizionalmente, non è solo un luogo di apprendimento accademico, ma anche di crescita personale, di costruzione di un’identità autonoma. È un ambiente in cui gli studenti devono affrontare le proprie sfide, imparare dai propri errori, e sviluppare la capacità di prendere decisioni in modo indipendente. Tuttavia, il registro elettronico, con la sua trasparenza assoluta, cancella ogni possibilità di vivere queste esperienze in modo privato. Ogni voto, ogni comportamento, ogni assenza diventa immediatamente noto a tutta la famiglia, trasformando la scuola in una sorta di reality show in cui ogni azione è monitorata e giudicata in tempo reale.
Ma quali sono le conseguenze di questa sorveglianza continua? Crepet ci avverte di un fenomeno inquietante: l’irresponsabilità. Quando ogni errore è immediatamente conosciuto e segnalato, viene meno la possibilità per lo studente di assumersi pienamente la responsabilità delle proprie azioni. Non c’è più spazio per la riflessione personale, per il momento in cui si prende coscienza delle conseguenze dei propri comportamenti. Al contrario, la sorveglianza perpetua porta a una sorta di deresponsabilizzazione: se ogni sbaglio è immediatamente reso pubblico, lo studente si abitua a non essere mai solo con le proprie colpe, delegando ai genitori il compito di intervenire e “risolvere” la situazione.
Ma il registro elettronico è solo il sintomo di una malattia più profonda, quella della geolocalizzazione educativa e affettiva. Come fa notare Crepet, molti genitori oggi si accontentano di sapere dove si trovano fisicamente i loro figli, ma ignorano completamente il loro stato emotivo. Sapere che un ragazzo è a scuola, o al parco, o al bar, non significa conoscerlo davvero. La conoscenza richiede dialogo, confronto, presenza autentica. Invece, ci affidiamo sempre più a un puntino su uno schermo, illudendoci di avere il controllo, ma perdendo di vista l’essenziale: la felicità dei nostri figli, le loro paure, i loro sogni.
Questa realtà porta con sé una contraddizione imbarazzante, come la definisce Crepet. Da un lato, ci illudiamo di avere un controllo totale sulle vite dei nostri figli, grazie a strumenti come il registro elettronico o le app di geolocalizzazione. Dall’altro, però, questa sorveglianza ci allontana sempre di più da una relazione autentica con loro. È come se fossimo tutti soli insieme, fisicamente vicini ma emotivamente distanti, incapaci di comunicare davvero, di condividere esperienze significative, di costruire quel legame affettivo che dovrebbe essere alla base della vita familiare.
L’anno scolastico imminente ci offre l’opportunità di riflettere su questa dinamica e, forse, di cambiare rotta. Possiamo scegliere di continuare su questa strada, affidando sempre più la nostra relazione con i figli e con la scuola a strumenti digitali che promettono controllo e sicurezza ma che, in realtà, alimentano solo distanza e incomprensione. Oppure possiamo decidere di fare un passo indietro, di restituire ai nostri figli quello spazio di autonomia che è essenziale per la loro crescita.
Immaginiamo un sistema educativo in cui il registro elettronico non è uno strumento di sorveglianza, ma un supporto per il dialogo tra scuola e famiglia. Un sistema in cui i genitori non si limitano a monitorare passivamente i risultati scolastici dei figli, ma sono coinvolti attivamente nel loro percorso educativo, discutendo con loro delle difficoltà, celebrando i successi, incoraggiandoli a prendere in mano la propria vita scolastica.
È un’utopia? Forse. Ma è un’utopia che vale la pena di perseguire, perché l’alternativa è una società in cui l’educazione è ridotta a una serie di dati e numeri, in cui le relazioni familiari sono mediate da schermi e notifiche, in cui i giovani crescono senza mai avere davvero l’opportunità di diventare adulti responsabili e autonomi.
E allora, mentre ci prepariamo a un nuovo anno scolastico, chiediamoci quale tipo di educazione vogliamo offrire ai nostri figli. Vogliamo crescere individui capaci di affrontare il mondo con coraggio, autonomia e consapevolezza? O vogliamo confinare le loro vite in una gabbia di sorveglianza digitale, alimentando un pericoloso senso di irresponsabilità e distanza emotiva? La scelta è nostra.