“Il potere vive dell’ignoranza, 51% degli studenti sa leggere ma non capisce”: Galimberti accusa, il web si spacca. Tra chi grida al complotto e chi difende la scuola del ‘6 politico’

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Una frase, un dato, una bomba social. Umberto Galimberti lancia il suo j’accuse contro la scuola citando l’OCSE: “Il 51% dei ragazzi che escono dalla terza media sa leggere ma non capisce cosa legge”.

E subito aggiunge la sua interpretazione politica: “Naturalmente più va male la scuola più si dà un contributo al potere perché il potere vive dell’ignoranza delle folle”.

Bastano poche righe su X per scatenare una guerra di trincea tra nostalgici, accusatori e difensori, dove ognuno trova nel fallimento educativo la conferma delle proprie convinzioni ideologiche. Ma dietro la rissa digitale si nasconde una verità scomoda: l’analfabetismo funzionale è davvero il cancro silenzioso della nostra democrazia.

La nostalgia del rigore perduto e il mito del “6 politico”

I commenti si dividono in due eserciti contrapposti, armati di ricordi e risentimenti. Da una parte chi rimpiange la scuola selettiva di un tempo: “Questa è la scuola buonista, niente selezione, tutti promossi”, scrive qualcuno, mentre un altro rincara: “Una volta la licenza media era un valore adesso è carta straccia”.

Il refrain è sempre lo stesso: colpa del permissivismo, della sinistra buonista, del famigerato “6 politico” che avrebbe trasformato le aule in diplomifici. Dall’altra parte, però, c’è chi ribalta l’accusa: “Avete creato degli ignoranti grazie a maestri e professori che hanno fatto delle scuole la fucina delle nuove leve di sinistra”. Una polarizzazione perfetta che trasforma ogni dato educativo in battaglia politica, mentre la nonna di una commentatrice sussurra dal passato: “I padroni dicono più ignorante te più intelligente io”.

Oltre la rissa: il vero volto dell’emergenza educativa

Ma cosa si nasconde davvero dietro quel 51% di semi-analfabeti funzionali? I dati OCSE-PISA fotografano un’Italia spaccata, dove la comprensione del testo diventa discriminante sociale più della ricchezza. Non si tratta solo di leggere le parole, ma di decodificare significati, collegare informazioni, sviluppare pensiero critico.

Quando un utente scrive sarcasticamente “Se il sottinteso è che i suoi libri non vendono, si consoli: la gente non li compra proprio perché sa leggere”, involontariamente centra il punto: il problema non è la quantità di lettura, ma la qualità della comprensione. E mentre sui social si litiga tra destra e sinistra, tra rigore e permissivismo, milioni di giovani italiani escono dalle scuole con una competenza dimezzata, incapaci di distinguere tra informazione e manipolazione, tra fatto e opinione.

Il vero potere, forse, non è quello che Galimberti denuncia: è quello che si nutre della nostra incapacità di dialogare sui problemi reali, trasformando ogni emergenza educativa in tifoseria ideologica.

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