Il pluralismo educativo è possibile? Il diritto ad apprendere e il sistema scolastico integrato per evitare differenze e divari: ne parliamo con suor Anna Monia Alfieri

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La scuola pubblica statale – affermano Charles Glenn e Ashley Rogers Berner – costringendo persone con valori e bisogni diversi a finanziare un unico sistema di scuole statali, produce inevitabilmente conflitti. Ma è proprio così? Premettendo che l’obbligo scolastico e la scuola pubblica per tutti hanno, garantita dallo Stato, di fatto ha permesso che si completasse l’Unità d’Italia e che aprisse a tutti gli italiani, nel dopo guerra, l’accesso alla formazione, oggi si può ancora dire che è così? La scuola pubblica, statale e privata, di fatti garantiscono un sistema integrato e sinergico capace di rispondere pienamente ai bisogni del nostro Paese. Berner nel sostenere il pluralismo educativo non è quello di promuovere le scuole a base religiosa di per sé, ma di favorire e incoraggiare un’ampia varietà di opzioni educative per le famiglie, afferma che le scuole pubbliche non statali sono altrettanto capaci di migliorare i risultati degli studenti poveri e appartenenti a minoranze quanto le scuole pubbliche tradizionali, e che i diplomati delle scuole non statali hanno livelli uguali, talvolta maggiori o più forti di impegno civile, tolleranza per gli altri e impegno al servizio pubblico. Sul tema abbiamo sentito suon Anna Monia Alfieri da anni impegnata sul crinale del pluralismo educativo che, solo da poche settimane, ha dato alle stampe “Il pluralismo educativo. Una scelta ancora possibile” edito da “Scholé editore” di Lavis (TN).

Cosa si intende per pluralismo educativo?

«Lo ripeto e lo ripeterò tutte le volte che sarà necessario: pluralismo educativo significa garantire ai genitori, in virtù del loro diritto proprio di educare la prole e in ragione del fatto che, in quanto cittadini, pagano le tasse, la possibilità di scegliere liberamente, ossia a costo zero, la scuola per i loro figli. L’istruzione, come più volte l’Europa ci ha ricordato, è un servizio pubblico, indipendentemente da chi lo gestisce. Come realizzare questo diritto? Semplicemente: alle famiglie dovrebbe essere garantita una quota capitaria da spendere per l’istruzione dei figli presso una scuola pubblica, statale o paritaria, in una attenta rendicontazione. Così facendo, i livelli di apprendimento sarebbero in linea con gli standard europei, poiché le risorse destinate all’istruzione sarebbero gestite con maggiore attenzione, ma si verificherebbe anche un miglioramento della tenuta sociale dei territori economicamente più fragili, dal momento che la scuola è un presidio contro la malavita. Tutto, come si può comprendere, in una perfetta concatenazione di cause e di effetti. Dalla scuola passa, infatti, il rinnovamento della società».

In cosa consiste la garanzia del diritto di apprendere in Europa, oggi?

«Ogni Stato garantisce ai genitori il diritto alla libertà di scelta educativa in modo diverso, però lo garantisce. In tutti i Paesi europei i cittadini scelgono liberamente fra una scuola statale e una scuola paritaria, entrambe pubbliche, a costo zero, avendo già pagato le tasse. Si tratta di un modello che favorisce il pluralismo, la libertà di scelta educativa dei genitori, il diritto di apprendere degli studenti, la libertà di insegnamento dei docenti, in sostanza un sistema scolastico di qualità, con rendimenti scolastici ai primi posti Ocse Pisa. Di rimando, guardando a casa nostra, non è un caso che in quelle regioni in cui sono state avviate politiche a sostegno della libertà di scelta educativa dei genitori, i risultati degli apprendimenti sono in linea con gli standard europei. La scuola potrebbe quindi tornare ad essere un vero ascensore sociale grazie anche ad una imposizione fiscale più equa ed efficiente».

Lei parla di diritto tradito, a cosa si riferisce?

Mi riferisco al fatto che la Costituzione prevede il diritto alla libertà di scelta educativa, prevede la libertà di insegnamento. A distanza di cinquant’anni, la legge 62/2000 ha introdotto, in conformità al dettato costituzionale, il Sistema Pubblico dell’Istruzione, articolato nei due rami della scuola statale e della scuola paritaria. Tuttavia, ancora oggi, chi sceglie la scuola pubblica paritaria deve pagare una retta, pur avendo pagato le tasse per un servizio del quale ha deciso di non usufruire».

È ancora possibile un sistema scolastico integrato? Cosa sarebbe necessario fare e quanto bisognerebbe investire?

«Faccio pubblicità al mio ultimo libro che ho deciso di intitolare Il pluralismo educativo. Una scelta ancora possibile. A questa domanda rispondo nell’ultimo capitolo. Preciso, innanzitutto, che la scuola pubblica paritaria non chiede soldi per sé ma chiede che sia riconosciuta ai genitori una quota da spendere per l’istruzione dei figli, una quota che può essere spesa presso una scuola pubblica statale o una scuola pubblica paritaria, all’interno di una attenta rendicontazione e sotto lo sguardo dello Stato, controllore e garante e non più gestore pressoché unico del sistema di istruzione e controllore di se stesso. Occorre, dunque, garantire alle famiglie che scelgono la scuola paritaria il 70% del Costo Medio Studente che, ricordiamolo, viene stabilito ogni anno con apposita circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito. La spesa è di euro 2.500.000.000,00: da spesare euro 500 mln nella prossima legge di Bilancio, il resto nelle tre leggi di Bilancio successive. E’ impensabile che ciò non avvenga: in tempo di fondi PNRR non è ammissibile che si preferisca la chiusura delle scuole paritarie con un costo per lo Stato e i cittadini in primis di 5.141.342.841,92 €. 500 mln oggi o 5,2Mld domani e 6Mld dopo domani?»

Il diritto di scelta e la garanzia della scelta eliminerebbero totalmente le forme di discriminazione che, ancora, fanno dei diritti fondamentali di libertà un anelito?

«Certamente! Solo chi conosce desidera che le libertà siano garantite, tutte e ovunque. Pertanto, una scuola basata sul riconoscimento della libertà educativa costituisce un antidoto contro ogni forma di oppressione e violenza, in tutti i campi e in tutte le forme. La scuola deve essere libera, per tutti: studenti, genitori, docenti. Solo una scuola autenticamente libera può generare autentiche libertà. Una ulteriore precisazione: attualmente anche la libertà di insegnamento non è garantita: se un docente decide di svolgere il proprio servizio presso una scuola pubblica paritaria deve accettare, a parità di titoli, uno stipendio inferiore rispetto al collega della statale. Questo perché gli stipendi dei docenti delle scuole paritarie sono a carico degli Enti gestori che, per garantire la continuità dell’opera, non riescono a garantire un trattamento economico pari a quello statale. Ecco, dunque, perché la libertà di insegnamento non è garantita. Allora affermare il diritto alla libertà di scelta educativa vuol dire creare le condizioni per la nascita di più realtà educative, più prospettive sulla realtà, vuol dire che le scuole tutte potrebbero elaborare molteplici progetti educativi da proporre a famiglie, docenti e studenti: una simile libertà porterebbe ad un aumento della qualità dell’offerta formativa, frutto anche di un confronto costruttivo tra docenti, studenti e famiglie».

Qual è la realtà dei paesi OCSE e quanto incide il costo dei finanziamenti dell’educazione sul PIL nazionale dei paesi “sviluppati”?

«È una situazione completamente diversa dalla nostra. Va ricordato che lo Stato che indossa le vesti di unico gestore del servizio di istruzione è lo stato totalitario, ossia quello che vuole indirizzare le menti dei suoi cittadini più giovani, cittadini adulti del domani. Non è un caso che le Costituzioni dei paesi dell’Est Europa, nati dopo la caduta dei regimi comunisti, abbiano posto, tra i principali diritti da garantire, quello della libertà di educazione e che tale diritto sia stato attuato. Questi paesi hanno capito, facendone diretta e drammatica esperienza, che l’educazione dei giovani è considerata come strumento al servizio del potere, da sempre. Per comprendere la situazione italiana in materia di investimento nella scuola, cito lo studio promosso da Unimpresa: L’Italia spende per l’istruzione 8.514 euro per studente, il 15% in meno della media delle grandi economie europee (10.000 euro). Se si guarda alla spesa pubblica, il nostro Paese investe per scuola e università poco più dell’8% del budget statale a fronte del 9,9% medio registrato nell’Unione europea. La Francia è al 9,6%, la Germania il 9,3%, la Svezia il 14%. Anche rispetto al Pil, quella italiana è la spesa più contenuta: 4% contro la media Ue del 4,7%. Per tutti i settori scolastici, più di noi spendono anche paesi come Giappone, Stati Uniti, Canada e Brasile e se è vero che la spesa di uno Stato aumenta al crescere dell’istruzione, è altrettanto evidente che in Europa siamo davanti solo alla Romania in numero di laureati, rapportati all’intera popolazione. Credo che non occorra aggiungere altro».

La storia della scuola e la storia della scuola italiana degli ultimi due secoli hanno dimostrato che talvolta è proprio la scuola ad alimentare differenze e divari. In cosa consiste la povertà materiale e quella culturale? Sono connesse?

«La scuola deve finalmente tornare ad essere quello che è stata sempre, soprattutto negli anni del dopoguerra, ossia un vero ascensore sociale che ha permesso al figlio dell’operaio o dell’agricoltore di poter raggiungere titoli di studio importanti. Se l’Italia è diventata uno dei paesi più industrializzati, merito non è stato solo degli aiuti che arrivavano dagli Stati Uniti ma anche di una politica che ha creato le condizioni perché tutti i bambini e i ragazzi potessero andare a scuola e i più meritevoli proseguire fino alla laurea. Due considerazioni: 1) il valore del merito: occorre chiarirne l’importanza, a tutti i livelli di una società veramente democratica. Molto spesso si pensa che le parole merito e inclusione siano l’una l’opposto dell’altra. Si fraintende, infatti, il significato dell’aggettivo inclusivo. Riconoscere il merito non vuol dire abbandonare i fragili, tutt’altro! Il bambino con certificazione di DSA o H ha tutto il diritto di essere premiato per merito, se raggiunge con l’impegno suo e di chi è chiamato alla sua formazione, gli obiettivi che può e deve raggiungere. Invece, in nome di un concetto errato di inclusione, la scuola ha abbassato i livelli delle richieste, omologandole verso il basso, invece di dare al singolo studente ciò di cui ha bisogno, compresa la soddisfazione di migliorare. Don Milani, del resto, diceva che compito dell’insegnante è quello di fare parti uguali tra disuguali. Non vorrei fare un’inutile dietrologia ma forse l’introduzione della scuola media unica, per come è stata interpretata (il “pezzo di carta per tutti”) ha innescato questa tendenza al ribasso nella scuola italiana. Di qui la povertà culturale che caratterizza, purtroppo, i nostri giovani. 2) I governi del passato hanno creato le condizioni perché tutti potessero accedere all’istruzione, certamente, ma non hanno creato le condizioni perché l’istruzione fosse libera, ossia il genitore potesse scegliere la buona scuola pubblica – paritaria o statale – per il proprio figlio. Le scelte fatte nel mondo della scuola hanno fatto sì che i genitori italiani fossero indirizzati alla sola scuola pubblica statale: chi voleva altro, doveva e deve pagare. Certo molto è stato fatto, negli ultimi vent’anni, per scardinare il feudo dell’ideologia, per far comprendere il valore della libertà di scelta educativa sancito dalla Costituzione, ma il cammino prevede ancora l’ultima tappa, ossia realizzare l’effettivo funzionamento, secondo la L. 62/2000, del sistema pubblico dell’istruzione, formato dalla scuola pubblica statale e dalla scuola pubblica paritaria, sotto lo sguardo garante dello Stato. Quest’ultimo, ad oggi, ha sempre ritenuto la scuola come cosa “propria”, strumento inteso a formare i figli come a lui appartenenti e quindi dallo Stato stesso formati. In realtà – secondo la Costituzione Italiana e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – i figli sono dei genitori e l’educazione è una loro prerogativa inalienabile. Lo statalismo imperante nella scuola è funzionale all’ideologia (di qualunque colore), perché la possibilità che le famiglie educhino i propri figli secondo i propri principi, sempre nell’alveo di un servizio pubblico, cioè per tutti, è cosa altamente pericolosa, perché crea gente pensante. Formare le menti è qualcosa di prezioso per chi intende manipolarle. Da tutto questo discende la povertà economica, perché i denari stanziati si perdono negli infiniti rivoli della burocrazia. Le due povertà individuate sono strettamente connesse: aut simul stabunt, aut simul cadent. Lavoriamo tutti perché possano cadere definitivamente!»

 

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