Il pedagogista Sidoti: “Costruire la pace è opera dell’educazione. Ascoltare le emozioni dei bambini davanti alla guerra”

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Di Massimo Luciano Sidoti, Pedagogista – Il maestro della pace è il Bambino, appare tra noi come la figura più esperta in quanto essere puro, per scoprire in lui il mistero di una bontà che esiste nel fondo dell’anima . Là è l’origine della conoscenza che sommamente ci interessa.

Mentre la risoluzione dei conflitti è compito della politica, la costruzione della pace è compito educativo, non limitato né limitabile alle agenzie e alle pratiche dell’educazione formale, ma è un orientamento generale che investe la vita umana in ogni suo aspetto.

La pace non si costruisce semplicisticamente parlando della guerra o della pace in senso dell’esortazione, e neppure riscrivendo e revisionando la storia in senso più o meno pacifista, ma pensando alle precondizioni per la costruzione della pace. Non ci si può limitare a celebrare il giorno della memoria, ma si deve lavorare attivamente affinché le discriminazioni e l’odio non avvengano nella vita di tutti i giorni.

Per raggiungere la pace nel mondo, occorrono due cose; prima di tutto, un uomo nuovo, l’uomo migliore; e poi, un ambiente che non abbia più limiti innanzi all’infinito desiderio dell’uomo. Il proposito, tutto pedagogico (orientato a dare un senso all’educazione), di costruire nuove coscienze umane e un nuovo ambiente di vita, viene poi declinato, sempre in termini generali, distinguendo il compito della politica dal compito dell’educazione.

L’educazione come pratica efficace e co-costruttrice di pace non può essere settoriale (né dal punto di vista disciplinare, né da quello geografico-nazionale), ma deve svolgersi nel mondo e essere aperta a esso, nel senso più ampio del termine.

In queste ore è quasi impossibile tenere lontani i bambini dall’informazione, dalle notizie dei terribili avvenimenti in Ucraina. Comunque nascondere e censurare del tutto l’attualità non è il metodo consigliato.

Capire quali sono i loro dubbi e le domande che vorticano nella loro testa ci premette ad aiutarli a comprendere cosa sta accadendo. Lasciarli da soli vorrebbe dire non fornire loro una chiave di lettura compassionevole e umanitaria. Bisogna mettersi prima di tutto in modalità di ascolto affrontando il discorso della guerra partendo dalle emozioni. Chiedendo ai bambini cosa provano.

Affrontando così le emozioni, anche quelle negative, invitando il bambino a disegnare quello che prova e a farsi spiegare, in seguito, il significato delle forme. Oppure si può chiedere ai più piccoli se ricordano un film con lo stesso tema. Potrebbe essere un’occasione per rivederlo insieme e soffermarsi sulla morale che trasmette.

Far comprendere ai più piccoli ciò che c’è alla base della pace che tutti giorni vivono, ovvero l’amore e l’empatia verso il prossimo, non solo serve per affrontare in maniera consapevole il discorso sulla guerra.

Serve a crescere un bambino gentile e amorevole, che non usa la violenza per prevalere sul prossimo. Un passo alla volta, un cittadino alla volta, si può costruire un mondo migliore. Si parte da questo, dal concetto di empatia e di vicinanza con chi ha paura e sta soffrendo.
Solo prendendo coscienza di questa condizione schizofrenica sarà poi possibile stabilire quale contributo può dare l’educazione e che cosa si può concretamente fare a livello educativo per costruire un mondo di pace.

Costruire la pace è opera dell’educazione. È urgente far comprendere la necessità di uno sforzo concorde e collettivo anche per la costruzione della pace. L’educazione costruttiva della pace non può limitarsi alla scuola e all’istruzione: è un’opera di portata universale. Essa non consiste soltanto in una riforma dell’uomo, che permetta lo sviluppo interiore della personalità umana, ma è anche un orientamento verso i fini dell’umanità e le condizioni presenti della vita sociale.

È evidente che, un’educazione intesa a fondare la pace, non può consistere solo nella ricerca dei mezzi atti a sottrarre il bambino alle suggestioni della guerra. Non sarebbe sufficiente inculcare nel bambino l’amore e il rispetto per tutti gli esseri viventi, e per tutte le cose che essi hanno costruito attraverso secoli di civiltà. Tutto ciò non costituirebbe che la parte scolastica di un tentativo più vasto.

Occorre un sentimento di appartenenza universale, non solo dell’uomo all’uomo, ma anche dell’uomo al mondo: una «carità universale» non episodica e temporanea, che aspetta la riconoscenza dei soccorsi e poi cessa. Se noi educhiamo i bambini a percepire la carità universale, essi potrebbero prepararsi alla riconoscenza verso tutta l’umanità. È questa una parte emotiva
della nostra «educazione cosmica» . L’educazione come pratica deve svolgersi nel mondo e essere aperta a esso, nel senso più ampio del termine e l’azione educativa deve cominciare dall’infanzia.

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