Il Liceo quadriennale di Lecce che forma i futuri leader che sappiano comunicare e organizzare le risorse. Le parole della Dirigente Addolorata Mazzotta [INTERVISTA]

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Così ci dice Addolorata Mazzotta, dirigente scolastica dell’Istituto Galilei-Costa-Scarambone” di Lecce. Si tratta più precisamente di un Istituto Tecnico Economico per l’imprenditorialità, agganciato all’indirizzo di riferimento Amministrazione  Finanza e Marketing – Articolazione Sistemi Informativi Aziendali. In questa scuola si sono diplomati nei giorni scorsi gli studenti della 4 SPQ, la Classe Sperimentale Quadriennale, che aveva iniziato il suo percorso quattro anni orsono, dopo che la scuola pugliese, assieme ad altre duecento in tutta Italia, aveva deciso di aderire al bando del Ministero per l’istituzione in via sperimentale dei licei quadriennali. Quella di Lecce è l’unica classe con una curvatura imprenditoriale. Risultato: tutti promossi, quattro diplomati con 100, uno con lode, e nessun voto inferiore a 68. “Non abbiamo la bacchetta magica, né la presunzione di pensare che il liceo quadriennale sia meglio di quello quinquennale – precisa la preside Mazzotta – ma per alcuni studenti può essere un’opportunità in più. Non tutti vogliono affrontare un percorso che prevede 40 ore invece che 32, ma alcuni studenti sì”.

Dirigente Addolorata Mazzotta, come nasce l’idea di istituire nella sua scuola un Liceo quadriennale?

“L’idea nasce da lontano. Dirigo questa scuola da dieci anni, quando lo storico istituto economico ‘Costa’ è stato accorpato con l’istituto per geometri ‘Galilei’. Era da diversi anni che il settore economico coltivava un’anima imprenditoriale e un’attenzione particolare alla creatività più che ai programmi didattici. E’ grazie al sapiente lavoro dei docenti della mia scuola, alcuni in particolare, che sono nate per esempio tante start-up per le quali la nostra scuola era già diventata famosa nel tempo”

Che cos’è la creatività?

“E’ lasciare il ragazzo libero di esprimere le proprie attitudini. Non devono essere gli alunni a indirizzarsi verso i programmi, ma viceversa. E’ la scuola che si deve avvicinare alla creatività degli alunni. Poiché noi vediamo che spesso tanti studenti e tante studentesse si sbagliano durante le attività di orientamento in ingresso dopo le medie. Spesso le scelte sono orientate dalle idee della famiglia oppure i ragazzi seguono gli amici. Noi dobbiamo invece sviluppare nei ragazzi il senso critico e abituarli alle scelte consapevoli. Forti di questo concetto, condiviso da anni, coltiviamo le startup, lo spirito creativo che si esprimono in idee che si possono concretizzare in microimprese di tipo economico ma anche di tipo sociale. E’ famosa, come sa, la startup Ma basta, un movimento animato da adolescenti contro il bullismo, che ha reso nota la nostra scuola. E quando il ministero ha lanciato la proposta di fare una scuola quadriennale, guardano le linee guida abbiamo visto in quella sperimentazione la possibilità di gestire una scuola un po’ diversa”.

Quindi ne avete parlato in collegio docenti, che ha approvato l’iniziativa, non senza contrasti, come si può immaginare.

“In un primo momento i docenti erano si erano superficialmente convinti che ci sarebbe stato un taglio dell’organico, a causa della contrazione di un anno del percorso tradizionale di cinque anni”.

Mi risponda subito su questo. A posteriori, cioè oggi, si può dire con certezza se ci sia stato o non ci sia stato il temuto taglio dell’organico?

“No, non c’è stato alcun taglio. Il ministero stabilisce che le ore del quinquennale devono essere 32 e ha previsto che con il percorso quadriennale non si potessero tagliare ma dovessero restare uguali”.

La normativa prevede una piccola percentuale di riduzione dell’orario

“Ogni scuola interessata alla sperimentazione ha potuto gestire il monte orario come ha voluto”.

Ma voi volete creare degli imprenditori?

“No. Noi non vogliamo creare degli imprenditori. L’obiettivo è quello di fornire conoscenze, abilità e competenze che in genere sono proprie di un leader, la capacità decisionale, il problem solving, l’organizzazione delle risorse, la comunicazione. Badiamo molto al parlare in pubblico e sviluppiamo i debate tra i ragazzi. Il debate è stato per noi importante: dato il problema loro discutono le proprie tesi e cercano le varie soluzioni possibili. Puntiamo molto sulla cultura del fallimento”.

Dalla creatività al fallimento. Che cosa vuol dire puntare molto sulla cultura del fallimento?

“Cerchiamo di far comprendere ai ragazzi che dai fallimenti si cresce e che si possono trovare le soluzioni per procedere. Insegniamo loro la resilienza, la capacità di risollevarsi da una caduta, da un fallimento, appunto. L’obiettivo della nostra scuola non è quello di creare un esercito di imprenditori, come ci è stato detto. Non vogliamo questo. Vogliamo semmai educare le future donne e i futuri uomini a diventare persone autonome e consapevoli delle proprie capacità e dei propri limiti. In una parola: più fiducia del futuro e quindi più resilienti”.

Il percorso ha dovuto fare i conti con pandemia e lockdown.

“Non potevamo immaginare quello che avremmo dovuto affrontare con la pandemia. Tanti progetti in una situazione di maggiore normalità sarebbero stati curati meglio. Le doti di cui dicevo – la maggiore autonomia, la maggiore consapevolezza delle proprie doti e dei propri limiti – sono competenze che si acquisiscono e che serviranno nel mondo universitario, nel mondo del lavoro, naturalmente anche nella propria impresa se qualcuno avrà preso questa strada, e in genere nella propria vita. Più sicuri di sé stessi. Più consapevoli di sé stessi e dei propri limiti”.

I ragazzi si dicono soddisfatti del percorso?

“Sì. Si sentono, non dico speciali, ma sono contenti perché hanno raggiunto un ottimo risultato. Ricordo quando, il primo anno, prima dell’iscrizione, erano intimiditi specie pensando al monte ore settimanale che avrebbero dovuto affrontare, con ore di scuola in più ogni giorno. Ma il monte ore è stato attutito dai tanti laboratori e quindi è complessivamente piaciuto. Abbiamo avuto una leggera flessione delle iscrizioni nel periodo del lockdown, perché le restrizioni impedivano gli aspetti più belli e più ludici del progetto”.

Era prevista una selezione in ingresso dopo la scuola secondaria di primo grado? Il bando ministeriale invitava le scuole interessate a creare dei criteri per la selezione

“Noi non abbiamo fatto nessuna selezione in ingresso. Ed è stato per mia decisione. Il ministero chiedeva che ogni scuola indicasse i criteri per la selezione al momento dell’iscrizione. Il nostro criterio è stato quello di lasciare la libertà alle famiglie e di non considerare il voto della scuola secondaria di primo grado”

Perché?

“Perché una metodologia didattica diversa, improntata più sul fare, avrebbe magari portato, secondo me, ragazzi più svogliati a studiare meglio in un contesto diverso , come questo, dove si usano mezzi e metodi più improntati sul fare oltre che sullo studio teorico”.

E questa sfida è stata vinta?

“Sì, devo dire che alcuni ragazzi, diciamo così più svogliati hanno lavorato bene. Erano arrivati dalla scuola media con un semplice sufficiente e si sono trovati bene. C’è da dire anche che non avevamo grossi numeri, gli alunni della classe sono in tutto 24. Qualcuno, in prima è passato al percorso quinquennale, in tutto sono stati due o tre alunni. Il voto più basso all’esame di Stato dei giorni scorsi è stato un 68 e abbiamo avuto una lode e tre 100”.

Lei sa che ci sono tante critiche verso i percorsi quadriennali, sia da parte di molti docenti, sia da parte di alcuni dirigenti scolastici. Che cosa risponde?

“Secondo me i percorsi quadriennali non possono essere la normalità. La normalità rimane la scuola superiore che dura 5 anni. Ma non vedo giusto frenare quei ragazzi che si vogliano impegnare e che invece di 32 ore settimanali vogliono farne di più di più e finire prima. Allora dovremmo contestare anche la possibilità introdotta di recente di iscriversi in due facoltà universitarie in contemporanea . Se uno vuole impegnarsi nello studio, cosa c’è di male? Da ragazzina io stessa quando avevo un solo impegno magari mi distraevo, invece nel momento in cui avevo tanti impegni mi organizzavo e riuscivo bene a fare tutto. Tanti colleghi miei sono contrari, lo so, e anche tanti docenti. Questa sperimentazione ci ha però dato la possibilità di mettere in campo metodologie diverse. Abbiamo sperimentato la co-docenza. Ad esempio con l’inglese: il docente oltre ad avere ore frontali è presente in contemporanea in varie lezioni di altre materie come matematica, economia aziendale e altre, e in questo caso gli insegnanti portano avanti un progetto con cui possono affrontare i temi propri della disciplina. sostenuti dall’inglese con il prof della lingua, un po’ come si fa con il Clil. O si pensi alla co-docenza del prof di informatica con il docente di economia aziendale. In quel caso, con l’uso di software adatti, i ragazzi imparano a usare quei programmi che sono utili in economia aziendale. E’ più difficile a dirsi che a farsi”.

Che cosa si sono persi i ragazzi perdendo un anno del percorso tradizionale quinquennale? Qualcosa si saranno persi. Non so, in diritto, in storia, in scienze motorie… Lo dica lei.

“Guardi, per scienze motorie, hanno fatto delle ore in piu, 3 o 4 invece che 2. Inoltre, uscivano da scuola alle 15 invece che alle 13. Di storia normalmente negli istituti tecnici si fanno 2 ore, noi invece ne abbiamo previste 3. Oltre alla storia dei popoli e degli Stati, loro hanno curato anche le storie di grandi personaggi, non solo imprenditori, dello sport e della musica, oltre che dell’industria. Ma anche di uomini illustri e che sono stati importanti o che sono tuttora importanti”

Faccia qualche esempio

“Penso a Brunello Cucinelli, nato geometra e con una vocazione familiare diversa da quella sua attuale. Ha incontrato i ragazzi in teatro, ha raccontato loro i suoi fallimenti scolastici e come ha saputo risalire la china. Ha dato così speranza ai ragazzi sul fatto che tutti ce la possono fare. Insomma, un’iniezione di fiducia di cui abbiamo bisogno”. E ancora: l’ex presidente del Lecce Calcio, René De Picciotto. Ha fatto capire ai ragazzi che si cresce anche dalle difficoltà e dai fallimenti che hanno costellato la propria vita”.

Veniamo all’orientamento in uscita. Cosa faranno questi nuovi diplomati? Come utilizzeranno la propria formazione scolastica appena acquisita in questo percorso autoimprenditoriale?

“Molti, circa il 90 per cento, faranno l’università e studieranno Economia, Giurisprudenza, Informatica. Alcuni, due, hanno invece trovato il lavoro anche se vorrebbero continuare gli studi universitari. Hanno avuto due buone offerte di lavoro e vedranno se riusciranno a conciliare studio e lavoro e in questo caso resterebbero all’Università del Salento, qui a Lecce”.

Lei punta sul concetto che bisogna imparare dagli errori. In che modo questo percorso ha insegnato agli studenti a crescere con maggiore consapevolezza?

“I ragazzi devono comprendere che dagli errori si capisce chi siamo, spesso in gioventù si pensa di avere il mondo in mano e quando ci si trova di fronte a un fallimento arrivano le grandi crisi. Invece serve riuscire a capire presto che dalle esperienze negative si può capire che la strada che si sta percorrendo non va e si può ripartire. Nei percorsi tradizionali si arriva in quinta classe a porsi delle domande pratiche sul proprio futuro. Non abbiamo la bacchetta magica né la presunzione di pensare che il liceo quadriennale sia meglio di quello quinquennale, ma per alcuni può essere una opportunità in più. Non tutti vogliono affrontare un percorso che prevede 40 ore settimanali invece che 32. Noi abbiamo 64 classi con tanti percorsi. Solo un percorso è quadriennale, non è che gli altri percorsi siano inferiori. E’ che alcuni che hanno voglia di finire prima hanno visto in questa possibilità di finire prima un’opportunità. Le linee guida ministeriali sono state rispettate. I metodi sono stati diversi. La didattica laboratoriale è stata la cifra di questa metodologia”.

Avrete pure incontrato qualche difficoltà durante il percorso. O no?

“La difficoltà che abbiamo incontrato negli anni è stata l’assegnazione dei docenti alle classi. Per esigenze organizzative, non sempre siamo riusciti a assegnare a queste classi – ne possiamo istituire una ogni anno – docenti che sceglievano di insegnare nella sperimentazione. Io non ho potuto chiedere: chi vuole insegnare allo sperimentale? Come si fa invece con i corsi in carcere. Qui però ho mantenuto il grosso dei docenti che hanno condiviso con me il progetto fin dall’inizio a cui si sono aggiunti gli altri. Le difficoltà non erano di tipo “ideologico” , erano legate soprattutto all’orario. Per il resto il percorso quadriennale piaceva ai docenti. Poi c’è stato di mezzo il lockdown, che ha bloccato la formazione intensiva dei docenti, che invece io avrei gradito”

La nuova creatura, la prima classe della sua scuola ad essersi diplomata in quattro anni, lascia la scuola assieme a lei. A settembre lei andrà in pensione. Un po’ le dispiace?

“Sì, mi dispiace. Mi dispiace lasciare i ragazzi, il personale, la scuola. Ma bisogna saper voltare pagina. Ora largo ai giovani”.

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