Il gioco del “Cucù” e la sua importanza nella crescita di un bambino

WhatsApp
Telegram

Tra le prime forme di interazione tra adulti e neonati si annovera il gioco del cucù, noto anche come bau sette. Consiste nel nascondere il volto con le mani per poi riapparire dopo pochi istanti. Questa sequenza, pur nella sua semplicità, rappresenta una forma strutturata di comunicazione che i più piccoli riconoscono e aspettano con entusiasmo.

Benché percepita come una modalità ludica elementare, questa attività contribuisce in maniera significativa alla formazione di competenze cognitive e affettive nei primi mesi di vita. Il gioco, infatti, agisce su più livelli dello sviluppo infantile, assumendo un ruolo educativo che va oltre il mero divertimento.

La costruzione della permanenza dell’oggetto

Secondo Aliza Pressman, psicologa dello sviluppo e docente alla Mount Sinai School of Medicine, il cucù (in inglese, Peekaboo) favorisce la costruzione della permanenza dell’oggetto. Questo concetto, introdotto da Jean Piaget, descrive la capacità del bambino di comprendere che oggetti e persone continuano a esistere anche quando non sono percepiti visivamente.

Nei primi mesi, il neonato interpreta la realtà esclusivamente attraverso ciò che vede. L’assenza visiva equivale, per lui, alla scomparsa reale. Attraverso l’esperienza ripetuta del gioco, il bambino inizia a sviluppare la consapevolezza che l’adulto che si nasconde tornerà, stabilendo così una connessione fra presenza e fiducia.

Le implicazioni sul piano relazionale ed emotivo

Tra i nove e gli undici mesi, secondo Pressman, questa capacità cognitiva matura, e il cucù diventa uno strumento concreto per rinforzare la percezione di affidabilità delle figure adulte. In particolare, la ripetizione della sequenza “scomparsa-ricomparsa” trasmette al bambino il messaggio che l’adulto si allontana, ma poi ritorna. Tale esperienza costruisce le basi per un senso di sicurezza interno e alimenta la fiducia nei legami affettivi.

“Quando mamme e papà fanno così”, ha osservato Pressman durante un episodio del podcast Great Company condotto da Jamie Laing, “I genitori stanno dicendo ‘Me ne sono andato, sono tornato, me ne sono andato, sono tornato. Torno sempre’”.

Watch. I’m gone. I’m back. I’m gone. I’m back. – dice la Dottoressa durante il Podcast – When you have a young child… they don’t have what’s called object permanence. Object permanence is your cognitive capacity to understand that things and people… exist even when they’re not with you… When my mom or dad goes like this. Peekaboo. They’re saying, I’m gone, I’m back, I’m gone, I’m back. I always come back. And they’re exercising that muscle.”

In questo schema ripetuto, si allena una funzione cognitiva fondamentale attraverso una dinamica relazionale emotivamente carica.

Il gioco come strumento educativo quotidiano

L’introduzione del cucù nella routine familiare non richiede strumenti specifici né ambienti strutturati. Basta dedicare attenzione e condividere lo spazio relazionale con il neonato per favorire un apprendimento profondo. Il gesto di coprire e scoprire il volto diventa così una forma essenziale di comunicazione preverbale, capace di contribuire al benessere emotivo.

L’attività svolge una funzione educativa che integra dimensione affettiva e sviluppo cognitivo, offrendo al bambino la possibilità di comprendere che le relazioni significative resistono all’assenza fisica. Il gioco del cucù, in questo senso, funziona come un ponte simbolico tra la presenza e la fiducia: una forma ludica che educa all’attesa e alla certezza del ritorno.

WhatsApp
Telegram

Interpelli per le supplenze, le scuole iniziano a pubblicare. Ti informiamo noi quando una scuola cerca un supplente e inviamo la tua candidatura. Il nuovo sistema di Interpelli Smart