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Il digitale a scuola è un bene o un male? L’Intelligenza artificiale? “Sia complice a supporto dell’attività professionale”. INTERVISTA a Pier Cesare Rivoltella

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Il digitale a scuola è un bene o un male? Ne abbiamo parlato con il Professor Pier Cesare Rivoltella, Professore ordinario di Didattica e Tecnologie dell’educazione presso l’Università di Bologna, Fondatore e attuale presidente della SIREM (Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale), direttore della rivista “REM – Research on Education and Media” e della rivista “EAS – Essere a Scuola”, condirettore di “Scholè. Rivista di educazione e studi culturali”. È il coordinatore del Dottorato di Interesse Nazionale in Learning Sciences and Digital Technologies e membro della Commissione Scuola dell’Accademia dei Lincei. 

Professor Rivoltella, quando si parla di scuola digitale lei fa una precisazione parlando di scuola al tempo del digitale. Ci spiega come cambia l’approccio al digitale nella scuola che lei propone?

Non amo l’espressione scuola digitale perché ritengo che non esista la scuola digitale, ma esiste la scuola che poi, evidentemente, si contestualizza all’interno di ambiti, epoche, periodi storici diversi e ciascuno con le sue caratteristiche.

La scuola al tempo della società dell’informazione è una scuola che evidentemente è caratterizzata dal confronto con il digitale e quindi i temi e i problemi della scuola continuano ad essere quelli di sempre, ovvero orientare i giovani, aiutarli ad individuare i loro desideri, trasmettere la cultura.

In quest’epoca segnata dal protagonismo culturale del digitale questi temi devono tenere in considerazione il digitale, ecco che la scuola al tempo del digitale ha la caratteristica di confrontarsi con le dimensioni del digitale a scuola e una di queste dimensioni è legata alla dematerializzazione dei processi, dei flussi documentali, degli spazi e degli ambiti di comunicazione; un secondo ambito del digitale è legato all’editoria elettronica, alle diverse forme di artefatti culturali che si affiancano alla forma libro che è la forma tradizionale.

Inoltre la scuola al tempo del digitale è una scuola che deve fare i conti con i dispositivi, con le tecnologie, con la cablatura, con la connessione, e questo evidentemente rappresenta un elemento di complessità da gestire da parte dell’insegnate, oltre che di opportunità dal punto di vista didattico. Poi c’è un quarto aspetto legato alla dimensione organizzativa dove il digitale costituisce anche un’opportunità affinché la scuola si possa ripensare nei suoi aspetti organizzativi e quindi il management scolastico diventa e-management scolastico con la “e” davanti a management.

Con il digitale la possibilità di diventare autore si allarga ad una vasta platea mentre prima era riservato solo a poche persone. Cambia la gestione dell’informazione nei contenuti ed è un aspetto cruciale soprattutto per i più giovani.

Questo naturalmente è un aspetto che riguarda le policy da tenere all’interno della scuola. I media digitali sono media autoriali e questo fa sì che ciascuno diventi autore, come lei sta suggerendo. Quindi non è più autore solo colui che viene riconosciuto tale dal sistema generale della cultura, gli Autori con la “A” maiuscola, diciamo così, ma diventano autori tutti coloro che hanno un dispositivo e che dispongono di una connessione. Quindi se ho un dispositivo, una connessione, produco un contenuto e lo metto in rete, sono un autore. Questo però richiama a delle responsabilità autoriali anche i più giovani e, nel caso dell’autorialità a scuola, richiama gli istituti a dotarsi di policy adeguate.

Media education ed education tecnology, cosa sono e come utilizzarli a scuola?

Sono i due grandi versanti del rapporto della scuola con le tecnologie. L’education tecnology ha a che fare con le tecnologie come strumenti ed ambienti che sono al servizio e a supporto della didattica delle discipline. In tal senso faccio education tecnology, ad esempio se sono referente di lettere, quando mi servo di un sistema di intelligenza artificiale generativo per coltivare la creatività nella scrittura dei miei studenti, faccio la stessa cosa se sono un insegnante di matematica e mi servo di un software dedicato a supporto dello studio di funzioni e via di questo passo, quindi le tecnologie come strumento e ambiente per la didattica.

La media education è l’altro versante, diciamo che è il versante di riflessione critica e di sviluppo di una sensibilità etica nei confronti della tecnologia. Facendo una sintesi possiamo dire che sul versante dell’education tecnology della tecnologia mi servo, mentre sul versante della media education sulla tecnologia rifletto.

È una riflessione che sostanzialmente va in due direzioni, che poi sono i due obiettivi della media education, di cui il primo è quello di sviluppare il pensiero critico degli studenti, quindi attrezzarli, ad esempio, a non pensare che tutto quello che trovano in rete o che tutto quello che un’intelligenza artificiale restituisce alle loro domande sia per forza vera, occorre far sviluppare ai ragazzi tecniche di sensibilità di analisi critica delle forme culturali; l’altro obiettivo ha a che fare con quello che lei diceva prima riguardo la dimensione autoriale, siccome tutti siamo diventati autori per il semplice fatto di disporre di uno strumento e di una connessione, non basta sviluppare il pensiero critico, ma occorre sviluppare anche responsabilità, che è la capacità di distinguere tra quel che posso e quel che non posso pubblicare, ad esempio responsabilità è farei i conti con le conseguenze che quello che pubblico può avere su altri.

Quindi pensiero critico e responsabilità diventano un po’ i due grandi temi, i due grandi obiettivi, di una riflessione media educativa sui media. Nella scuola al tempo del digitale le tecnologie vanno pensate su questi due versanti appena descritti: da una parte strumenti e ambienti a supporto delle discipline, dall’altra forme culturali su cui sviluppare pensiero critico e responsabilità.

L’intelligenza artificiale è sbarcata a scuola e molte sono le proposte del suo utilizzo nella didattica. Ci aiuta a capire come può un insegnante sfruttare al meglio questa opportunità?

L’intelligenza artificiale rappresenta una straordinaria opportunità per gli insegnati. Da una parte l’insegnante può utilizzare l’intelligenza artificiale sostanzialmente come strumento professionale, dall’altra parte come supporto alla sua didattica e agli apprendimenti dei suoi studenti.

L’IA è usata come strumento professionale quando, ad esempio, grazie ad uno strumento come ChatGPT può sviluppare la progettazione di una lezione, o facendosi aiutare a costruire il piano curricolare annuale e via di questo passo.

Quindi da insegnate posso cercare nell’intelligenza artificiale una complicità a supporto delle mie attività professionali, ma tutto questo non si traduce mai in una delega in bianco, non si tratta di farsi sostituire dall’IA, ma si tratta di utilizzarla in maniera co-autoriale, in maniera interattiva, dove c’è sempre da parte dell’insegnate lo spunto di partenza e il ritorno critico su quello che l’intelligenza artificiale produce, quindi una prospettiva assolutamente complementare.

Sull’altro versante l’intelligenza artificiale mi supporta nella strutturazione della mia didattica e nel supporto degli apprendimenti dei miei studenti, con l’IA posso fare attività di correzione e di misurazione delle prove degli studenti, posso restituire dei feedback personalizzati a ciascuno di essi, posso personalizzare gli apprendimenti, ad esempio ci sono dei chat bot che interagiscono con lo studente e da questa interazione imparano a conoscere sempre meglio i suoi livelli di apprendimento e i suoi stili di apprendimento e più il chat bot conosce il profilo dello studente, meglio riesce a restituirgli contenuti secondo i suoi livelli di linguaggio e le sue competenze al momento attuale. Quindi c’è veramente una molteplicità e una incredibile ricchezza di applicativi e di soluzioni con delle opportunità interessantissime da sfruttare da parte degli insegnanti.

Un’ultima domanda, in una realtà sempre più ibrida tra reale e digitale, come cambia la concezione del corpo in questo spazio?

Il tema del corpo è un grande tema, perché noi sappiamo che la comprensione delle forme simboliche dello sviluppo del linguaggio non può accadere se non a partire dal corpo e all’interno di un contesto. Senza un corpo in un contesto non c’è linguaggio e potremmo dire che quasi non c’è apprendimento.

Quindi il tema diventa interessante perché in una situazione tecnologica in cui il corpo fosse completamente rimosso, sicuramente noi perderemmo il mediatore fondamentale per la formazione del nostro linguaggio e per la comprensione delle forme culturali che ci circondano. Di qui la necessità di allestire ambienti ibridi, dove l’ambiente ibrido è l’ambiente che ci consente di sfruttare tutti i vantaggi della distanza, e il vantaggio principale è che abolisce il vincolo dello spazio.

Ad esempio se non avessero inventato il telefono io e lei non potremmo palare, quindi l’abolizione del vincolo dello spazio, reso possibile dalla tecnologia, ci consente di comunicare, ma in questo momento io e lei siamo solo voci e non siamo corpo, quindi questa comunicazione che è stata preparata dal fatto che lei mi ha già mandato un foglio con delle domande e dal fatto che sono precedute delle altre conversazioni tra di noi, ci consente di farci considerare sufficiente alla comunicazione questa situazione.

Ma sarebbe molto difficile immaginarsi che una comunicazione, soprattutto una comunicazione funzionale all’apprendimento, possa svolgersi solo e semplicemente tra voci, cioè senza corpo e senza un contesto all’interno del quale i corpi possono entrare in relazione. Di qui la necessità di immaginare delle soluzioni ibride, cioè delle soluzioni che da una parte ricorrano alla distanza, e quindi all’abolizione del vincolo dello spazio, dall’altra parte ribadiscano tutta l’importanza dello sguardo, perché poi alla fine noi non siamo solo cognizione, ma siamo anche emozioni e per la dimensione emozionale, affettiva, sociale il corpo è oltremodo importante.

Lo abbiamo capito benissimo di rientro dalla pandemia, quando ci siamo accorti di quanto l’assenza del corpo avesse sottratto ai nostri ragazzi, da quel punto di vista le stiamo misurando ancora adesso le conseguenze della pandemia. Quindi l’attenzione è a bilanciare i vantaggi che arrivano grazie alla tecnologia, dall’abolizione dello spazio, con quel che però si perde abolendo completamente il corpo, che però non va mai abolito completamente.

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