Il Cun dice no al decreto sulla riforma delle classi di laurea. Buondonno (SI): “No al depotenziamento del valore legale della laurea”
“Il Cun, Consiglio Universitario Nazionale ha espresso parere negativo sul decreto del governo Draghi, in merito alla riforma delle classi di laurea (uno degli atti collaterali alla “Missione 4” del Pnrr). È una notizia importante e positiva, perché quel decreto, nella sostanza, secondo lo schema proposto dal governo, avrebbe un impatto fortemente negativo sull’unitarietà del sistema pubblico della formazione universitaria e contribuirebbe ad un depotenziamento, se non annullamento, del principio di validità legale del titolo di studio”
Lo afferma Sinistra Italiana con il responsabile nazionale scuola e università Giuseppe Buondonno.
“Le classi di corsi di studio (definite dal D.M. 22 ottobre 2004, n. 270) rappresentano un riferimento importante e unitario, sul piano nazionale, – prosegue l’esponente della segreteria nazionale di SI – che conferma e rafforza il principio del valore legale del titolo di studio, in base al principio che “i titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale”; ciò è assicurato dal processo di accreditamento dei corsi di studio, tramite il quale il Ministero assicura la qualità dei contenuti dei percorsi formativi e garantisce i necessari standard qualitativi.
Introducendo i Settori Concorsuali (SC) negli Ambiti Disciplinari delle classi di Corsi di Studio, si mina questa unitarietà e non si garantisce quella qualità omogenea determinata dalla presenza di discipline indispensabili. I SC non sono adatti a identificare discipline di insegnamento, anche perché possono essere costituiti da aggregati di più settori scientifico-disciplinari.
Il Cun, invece, in ottemperanza a quanto richiesto dall’Unione Europea, sollecita sì un intervento che favorisca l’innovazione dell’offerta didattica e la semplificazione dei processi di accreditamento, ma mantenendo la qualità e la dimensione unitaria del sistema universitario nazionale.
Se è necessario innovare e riqualificare l’offerta didattica, è bene, però, ricordare che la sua contrazione è frutto di un disinvestimento sul sistema, del blocco del turn over e del reclutamento che ha portato a una riduzione del numero di docenti e alla precarizzazione di molti di essi.
Appare evidente che questo intervento del governo – insiste l’esponente della sinistra – inserito surrettiziamente attraverso la spinta del PNRR – prosegue una tendenza a superare il carattere unitario del sistema universitario, di cui il valore legale delle lauree dei vari atenei è un caposaldo. Il modello – a cui ci opponiamo fermamente – di atenei di eccellenza e atenei di serie B (in un territorio nazionale segnato da grandi squilibri), con diverse valutazioni e, dunque,con diverso finanziamento ordinario dal centro e diverso valore dei titoli, inficerebbe gravemente l’esistenza di un sistema unitario di formazione e l’universalità del diritto allo studio.
Il parere negativo del C.U.N. rappresenta, quindi, – conclude Buondonno – un freno rilevante al tentativo del governo Draghi, di destrutturare e frammentare l’università pubblica; ma rende anche evidente come, prima l’elaborazione delle linee del PNRR e, poi, dei decreti di riforma correlati al piano, stia avvenendo del tutto al di fuori di un dibattito democratico, tanto nelle università, quanto nelle scuole, secondo rabberciate pretese tecnocratiche da dilettanti allo sbaraglio.
L’università italiana ha bisogno di ben altro; a cominciare da una nuova stagione di democrazia e partecipazione