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“Il corpo è docente”, quando ci rivolgiamo ai nostri studenti non comunichiamo solo con le parole. Ne parliamo col regista Luca Vullo

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Comunicare in maniera efficace è un aspetto fondamentale nell’educazione, comprendere che quando ci rivolgiamo ai nostri studenti non comunichiamo solo con le parole, ma con tutto il corpo è un aspetto fondamentale che deve essere approfondito. Verbale, para verbale e non verbale sono i tre aspetti della comunicazione e riuscire ad utilizzarli al meglio ci permetterà di avere un’azione didattica più incisiva ed efficace.

Ne abbiamo parlato con Luca Vullo, autore e regista cinematografico e teatrale, ambasciatore della gestualità italiana nel mondo, coautore del libro “Il Corpo è docente. Sguardo, ascolto, gesti, contatto: la comunicazione non verbale a scuola”, pubblicato dalla Erickson, nato da una sinergica collaborazione con la Professoressa Daniela Lucangeli, ordinaria di psicologia dello sviluppo, prorettrice dell’università di Padova, presidente del CNIS e membro dello IARLD.

Dottor Vullo, come nasce l’esigenza di scrivere questo libro e quali obiettivi vi siete prefissati.

Riteniamo che comunicare in modo efficace sia uno degli aspetti fondamentali per una società sana ed in particolare per chi ha scelto come professione quella di aiutare le persone a crescere veicolando sapere, emozioni e valori. Nell’era ipertecnologica nella quale ci troviamo e dopo quasi due anni di pandemia, con conseguente smart working, distanziamento sociale e uso delle mascherine, diventa necessario ritrovare la comunicazione autentica dando voce al nostro corpo per continuare ad essere umani. Riappropriarsi di tutte le nostre abilità per entrare in contatto vero e profondo con gli altri tramite gli occhi, le mani, la presenza, il contatto, le posture, l’ascolto e l’uso corretto della voce, ci sembra quindi una priorità, in particolare in ambito educativo. Penso che per essere un vero maestro non sia indispensabile avere una conoscenza sconfinata, ma riuscire a comunicare tutto quello che sa nel modo migliore possibile, entusiasmando con il linguaggio del corpo chi lo ascolta. Gli approfondimenti scientifici di Daniela Lucangeli e le suggestive tavole di Francesco Chiacchio, accompagnano il lettore in un meraviglioso viaggio alla riscoperta del linguaggio del corpo per tornare a padroneggiare espressioni del viso, gestualità, tono e timbro della voce e migliorare la relazione con alunni e colleghi e ottenere quindi più facilmente ascolto e riconoscimento. Questo libro lo abbiamo pensato come un manuale pratico sull’importanza della comunicazione non verbale a scuola, ricco di esercizi, suggerimenti e aneddoti raccolti da concrete esperienze sul campo e che grazie al suo originale formato, può essere letto comodamente in qualsiasi contesto.

Rieducare alla comunicazione non verbale riscoprendo i nostri sensi. Saper ascoltare, vedere, trasmettere informazioni in maniera consapevole con i gesti sono strumenti utili per chi si occupa di formazione della persona. Come possiamo acquisire queste competenze?

Il linguaggio del corpo e l’intelligenza emotiva sono abilità che posso essere apprese e potenziate, anche perché in parte sono innate e albergano in ognuno di noi, ma spesso, travolti dagli eventi della vita, non siamo più in grado di gestirle e controllarle. Utilizzare gli strumenti che vengono dal teatro e quindi dai laboratori pratici e interattivi per lavorare sul corpo e sul corretto utilizzo di questo meraviglioso strumento di comunicazione, riteniamo che sia una buona strada da seguire. Abbandonare la fatidica frase: “Abbiamo sempre fatto così” per mettersi in gioco e in discussione veramente, per potenziare i punti di forza e colmare le lacune che ognuno di noi ha, mettendo sul tavolo una buona dose di consapevolezza e di umiltà, sono i presupposti di base per lavorare bene su se stessi.

Quando un insegnate parla ai propri alunni non trasmette solo informazioni, ma anche emozioni. Quanto è importante questo aspetto per una comunicazione efficace e come possiamo migliorarne la consapevolezza.

L’educazione alle emozioni è fondamentale per gli insegnanti, non semplicemente per se stessi ma anche e soprattutto perché possano trasmetterla agli studenti: un docente che sa riconoscere le proprie emozioni saprà più facilmente insegnare a un bambino a farlo. Ma perché è importante insegnare ai bambini le emozioni? L’alfabetizzazione emozionale potenzia la capacità di apprendimento e migliora i risultati scolastici. Aiutare i bimbi e i ragazzi ad affrontare i propri turbamenti emotivi e a tenere a bada i loro impulsi, stimolarli ad ascoltare meglio e a concentrarsi di più inevitabilmente avrà ricadute importantissime sulle prestazioni e il rendimento in classe.
Gli insegnanti sanno molto bene, infatti, quanto le alterazioni emotive interferiscano con la vita mentale. L’alfabetizzazione emozionale muta anche il ruolo sociale della scuola, che s’impegna a impartire agli allievi lezioni essenziali per la loro vita. Ecco che l’insegnante ritorna al ruolo classico dell’educatore che, oltre ad essere un mediatore culturale, diventa un mediatore emotivo.

Nei vari capitoli cercate di affrontare le diverse problematiche che si possono incontrare a scuola. Un capitolo in particolare è dedicato a come interagire all’interno della classe, oggi sempre più eterogenee, dove spesso gli insegnati si trovano a lavorare con alunni con bisogni educativi speciali. Ci dà qualche suggerimento per gestire il gruppo e interagire al meglio anche con i soggetti più fragili?

In un momento in cui molte delle nostre certezze sono messe in discussione, bisogna lavorare sodo proprio su noi stessi per ricostruire le fondamenta dell’autostima e dare un nuovo significato alla nostra professione. Le responsabilità e la mole di lavoro di un insegnante sono notevoli di per sé, ma negli ultimi anni è innegabile che il livello di complessità sia aumentato a dismisura, indirizzando al corpo docente una serie di richieste sempre più difficili da fronteggiare. I dati confermano che gli studenti con BES — ovvero con un bisogno educativo speciale — hanno avuto negli ultimi anni un incremento sbalorditivo. Educare, in una classe insieme ad altri compagni, uno o più bambini con BES è cognitivamente ed emotivamente complesso. La chiave però è dentro di noi. Per aiutarli a diventare gli uomini e le donne della società di domani, il comportamento più importante da controllare è proprio il nostro. Dobbiamo riuscire a gestire con grande umanità le nostre reazioni, anche di fronte ad atteggiamenti oppositivi e problematici. Tenerci informati e aggiornati costantemente sui temi del neurosviluppo e della neurodiversità, avere un continuo scambio di informazioni e comunicazione con le famiglie per stabilire criteri e percorsi scolastici il più possibile adatti per il bambino/ragazzo, dedicare tempo alla nostra formazione. Tutto questo ci consentirà di uscire dalla nostra zona di comfort per acquisire nuove competenze, utili a fare realmente la differenza per le persone che stiamo educando. Non a caso, abbiamo chiamato il capitolo del libro dedicato a questo argomento: “Gli alunni non sono degli alieni venuti sulla terra per distruggervi” dove troverete suggerimenti e consigli specifici.

Per raggiungere una maggiore interazione con gli alunni è importante mettersi in gioco ed imparare il linguaggio delle nuove generazioni. Ci dice come possiamo fare?

Anche se lavoriamo a scuola da diversi anni e abbiamo una buona esperienza, non è detto che ci stiamo adattando con flessibilità a tutti i cambiamenti e le trasformazioni che la vita e il presente ci presentano. Per fare la scuola basta un maestro. Un buon maestro si adatta a ogni situazione pur di raggiungere il suo scopo: insegnare. Educare è dare amore agli altri. Amore è tutto ciò che combatte la perdita dell’altro e presuppone la disponibilità e la forza di gettare il cuore aldilà dell’ostacolo. Si può fare in tante situazioni reali, anche con la tecnologia. Non dimentichiamo che siamo tutti interconnessi: io-tu-noi… siamo sistemi viventi e ciascuno dei nostri self non esisterebbe se le nostre cellule non fossero connesse tra loro. L’umanità dunque rappresenta la sua conoscenza grazie al sistema reticolare, quindi non dovremmo focalizzare la nostra attenzione su quello che ostacola il nostro modo di operare, piuttosto dovremmo concentrarci su come ottenere la più autentica connessione con l’umano. A qualunque costo e con qualunque mezzo. Il problema quindi è relazionale, non tecnologico. Bisogna comprendere l’evoluzione di internet: non è la tecnologia che motiva i ragazzi, semmai è il modo con cui i docenti si relazionano con loro, anche quando utilizzano mezzi e sistemi «freddi» per definizione. La tecnologia è il loro ambiente sicuro, ma non è esattamente il nostro, che abbiamo qualche annetto in più. Certo, dobbiamo imparare a padroneggiarla meglio, ma non troppo: è anche vero, infatti, che il modo peggiore di usarla è per fare in modo diverso le cose che si possono benissimo fare anche senza. Conoscere il mezzo e usare nel modo corretto e con padronanza il computer e la telecamera ci permette di acquisire maggior carisma (e ci evita di essere trasformati in un meme che circola nelle chat WhatAapp dei ragazzini…). Bisogna essere consapevoli che per entrare in vera connessione con le nuove generazioni bisogna parlare la stessa lingua.

Un’ultima domanda. Lei ha realizzato diverse opere teatrali, in particolare “Io al posto tuo” è un lavoro che ha portato in giro per le scuole per parlare di intelligenza sociale e a breve uscirà un’altra opera che si intitola “Senza freni”, uno spettacolo per parlare di ADHD. Ci racconta questo teatro didattico-educativo, che concilia arte e scienza, e cosa lascia ad insegnanti e alunni?

Ho iniziato a fare i miei spettacoli teatrali proprio partendo dalla didattica, con il mio spettacolo “La voce del corpo” sulla gestualità italiana a confronto con quella di altri paesi, uno show che mi ha lanciato su uno scenario internazionale rivolgendomi a studenti di diverse nazionalità. Infatti ho collaborato con prestigiose università in diverse parti del mondo, Istituti Italiani di Cultura all’estero e Ambasciate italiane spesso come ospite della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, l’evento organizzato dall’Accademia della Crusca in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri. In questo spettacolo ho coinvolto anche mia madre Angela Gabriele perché viene affrontata l’importanza dell’intelligenza emotiva nella famiglia e il ruolo decisivo della figura materna. Dopo aver conosciuto Daniela Lucangeli, sono entrato nel meraviglioso mondo della didattica e proprio ad un convegno del CNIS nazionale, dove ero stato invitato per parlare dell’importanza della comunicazione non verbale e paraverbale a scuola, un gruppo di signore, fondatrici della Rete Genitori DSA di Cuneo, mi hanno ingaggiato per realizzare uno spettacolo didattico formativo tratto dal loro fumetto ” IO AL POSTO TUO” per parlare in modo diverso dei Disturbi Specifici dell’apprendimento, sia a scuola che nella società civile. Il tour di eventi in varie scuole e teatri del paese è stato un grande successo al punto che l’associazione ADHD, sempre di Cuneo, mi ha proposto subito di realizzarne un altro, questa volta però su questo specifico tema. Credo che si tratti di esperienze molto utili, educative e necessarie in vari contesti come la scuola dove si parla tanto di inclusione e ancora oggi ci sono troppi casi di bullismo, o nelle famiglie dove molto spesso si pensa di sapere tutto sull’argomento, mentre invece ancora si conosce molto poco e la vergogna rischia di trasformare il tutto in un tabù, che di certo non fa bene ai bambini e ai ragazzi.

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