Il Consiglio di Stato consolida l’Istruzione parentale nell’ordinamento della Repubblica
La sentenza 1491/2024, del Consiglio di Stato, pronunciata in sede giurisdizionale, sezione settima e pubblicata il 14-2-2024, sta suscitando reazioni opposte tendenzialmente non commisurate alla reale portata, sostanziale e giurisdizionale, della stessa.
Potrebbe essere utile premettere che la trattazione del Consiglio di Stato è rivolta ad una circostanza in cui non è tanto in discussione l’istituto istruzione parentale in se, bensì la pretesa da parte dei genitori di due minorenni in diritto di istruzione, di rinvenire nell’ordinamento scolastico una categoria specifica per la cosiddetta istruzione familiare (a cui loro dichiarano di aderire),distinta e diversa dalla prima.
“Le plurime censure rivolte da parte ricorrente alla risposta dell’Istituto scolastico del 27 ottobre 2021 traggono origine dalla convinzione, maturata dagli istanti, della presenza nel nostro ordinamento giuridico dell’istituto dell’Istruzione Familiare, quale istituto distinto dall’Istruzione Parentale e, come tale, avulso dal sistema scolastico e totalmente rimesso all’autonomia familiare”.
Da ciò, secondo i suddetti genitori deriverebbero due procedure affatto diverse di raccordo con le istituzioni. In estrema e non esaustiva sintesi, i genitori sostengono che l’istruzione familiare comporterebbe rapporti istituzionali solo ed esclusivamente con il Sindaco e per nulla con la scuola.
Il Consiglio di Stato si è espresso dunque su una particolare circostanza ascrivibile ad un fenomeno che anche per volontà dei genitori stessi rientrerebbe in una categoria, “l’istruzione familiare”, non assimilabile dai punti di vista ordinamentale ed amministrativo , alla categoria “istruzione domiciliare” e nemmeno a quella di“istruzione parentale”.
Il Consiglio di Stato nella sentenza succitata giunge alla conclusione che:
“Non può essere condivisa la tesi di parte appellante, relativamente alla configurazione dell’istituto dell’istruzione famigliare, che sarebbe distinto dalla istruzione parentale. I genitori possono, in tale cornice normativa, provvedere autonomamente all’istruzione del minore, fermo il potere-dovere in capo al Dirigente scolastico competente di verificare, mediante la sottoposizione dei minori all’esame di idoneità finale, l’effettivo assolvimento dell’obbligo di istruzione da parte dei genitori.”
L’istruzione parentale
L’ultima definizione, in ordine cronologico, di istruzione parentaleè quella che segue e, per non perdersi in sofismi di vario genere, potrebbe essere opportuno tenere questa come base concettuale.
Art. 1 comma 2, lettera f) D.M 5 del 8/2/2021
“Istruzione parentale: l’attività di istruzione svolta direttamente dai genitori ovvero dagli esercenti la responsabilità genitoriale o da persona a ciò delegata dagli stessi.”
Da tempo è chiaro, a chi si muove nell’alveo dell’istruzione parentale, che l’unica terminologia amministrativa riconosciuta è appunto istruzione parentale.
Quest’ultima si attua in vari modi, che nel tempo hanno assunto delle dizioni “correnti/informali” specifiche che rendono più chiari gli approcci praticati. Tale termini però non portano distinzioni, nell’inquadramento ordinamentale dell’istruzione. Si parla, più o meno appropriatamente, ad esempio, di scuola parentale, istruzione in famiglia, unschooling e altro, ma è chiaro che la categoria amministrativa è unica: istruzione parentale.
Questa è normata in maniera non sempre organica alla natura del fenomeno ma, ciò nonostante, alcuni passaggi principali sono sufficientemente chiari.
La comunicazione annuale
La sentenza del Consiglio di Stato riprende i passaggi in cui il TAR Lombardia (Sezione terza) ha sottolineato le specificità della comunicazione annuale di istruzione parentale.
Tra queste, il fatto che la comunicazione della decisione della famiglia di intraprendere istruzione parentale deve essere inoltrata al dirigente scolastico competente per territorio di residenza (art. 23 D.Lgs 62/2017 e circolari applicative). Il dato in genere non solleva perplessità di rilievo tra i genitori, salvo casi di contrarietà, che non possono mancare in un consesso sociale democratico, e che trovano però anche in questa sentenza un riscontro negativo.
Lo snodo concettuale della differenziazione risiede nell’effettivo riconoscimento, oppure no, della scuola come interlocutore per gli homeschooler.
L’interlocuzione, di norma, avviene in due fasi principali: la comunicazione e l’accertamento/esame.
Il giovane e la famiglia in istruzione parentale sono incardinati nel sistema dell’istruzione italiano e nel suo apparato amministrativo attraverso lo strumento dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti (ANS), la quale è gestita dalla scuola. La stessa tiene aggiornata la posizione di ogni ragazzo/a in età di obbligo di istruzione e/o formazione.
Le/i giovani che godono del diritto all’istruzione attraverso la frequenza scolastica risultano iscritti nei registri di una scuola e identificati con il suo codice meccanografico. Quelli che procedono in istruzione parentale non risultano abbinati al codice meccanografico della scuola, o nei registri della medesima, ma quest’ultima cura l’inserimento dei giovani nella categoria “in istruzione parentale” nell’Anagrafe Nazionale degli Studenti.
In tal modo chi ha il compito di verificare l’ottemperanza del diritto-dovere di istruzione (dirigente scolastico, sindaco e altri che hanno accesso all’ANS) possono svolgere le loro funzioni.
Su questa piattaforma vengono aggiornati i dati delle ulteriori comunicazioni annuali e delle risultanze degli accertamenti/esami che gli homeschooler andranno a sostenere.
Il ritiro da scuola (la disiscrizione)
L’avvio del percorso di istruzione parentale può avere inizio con l’apertura del periodo dell’obbligo di istruzione, ma può avvenire anche in fasi successive. Per cui, se il/la giovane erano dei frequentanti devono essere ritirati da tale condizione e passare in quella di non frequentanti in istruzione parentale.
Tale passaggio si può ben chiamare disiscrizione dalla scuola (termine presente nel testo della sentenza in oggetto), ma non significa affatto che ogni rapporto, anche amministrativo, con essa venga annullato. Come visto restano ben vive relazioni significative tra famiglia ed istituzione scolastica.
Non teme confutazioni l’affermazione che frequenza ed iscrizione nei registri scolastici/codice meccanografico sono alternativi all’istruzione parentale.
Per i frequentanti si può dire appropriatamente che sia cogente l’obbligo scolastico, ovvero l’adesione all’insieme di regole e procedure che sostanziano la scuola come entità che fornisce l’istruzione obbligatoria. Chi è in istruzione parentale non può, anche materialmente, essere inteso come un soggetto tenuto all’obbligo scolastico.
Ad ulteriore sostegno di tale differenziazione si può citare la procedura di iscrizione a scuola. Quest’ultima avviene esclusivamente per via telematica, diversamente di quanto succede in istruzione parentale, dove deve essere fatta la comunicazionein forma cartacea al dirigente scolastico.
Si annota tangenzialmente, come si parli, per norma, di comunicazione al dirigente, non di richiesta.
In istruzione parentale, quando si utilizza il termine disiscrizione, sia nelle intenzioni che agli effetti pratici, non si intente eliminazione di ogni rapporto con la scuola, ma si mette in atto un necessario adeguamento amministrativo, derivante dal cambio di status: il/la giovane non è più un/a frequentante, ma è in istruzione parentale. L’istituzione scolastica produrrà di conseguenza il trattamento previsto in questo caso.
Dovere-diritto all’istruzione e istruzione parentale
I giovani ed i loro genitori sono tenuti a garantire il superiore diritto/dovere dell’educazione e dell’istruzione.
In altri termini, rimanendo in tema, la finalità, l’orizzonte cui tendere, nel nostro sistema di rapporti etico-sociali (Parte prima, Titolo secondo – Costituzione) è quello dell’istruzione e dell’educazione; l’istruzione parentale e la scuola sono gli strumenti ammessi al loro perseguimento, né l’uno né l’altro sono il fine.
La locuzione obbligo scolastico è da intendere nel suo significato relativo, non potendo vantare, alla luce del dettato costituzionale e delle leggi derivate, un valore assoluto.
Talvolta in alcuni brani normativi, obbligo scolastico viene usato come sinonimo di dovere/diritto di istruzione, ma è più un accorgimento narrativo che una sovrapposizione sostanziale.
Non si trovano infatti sviluppi argomentativi che partono, si sostanziano e si chiudono sul concetto di obbligo scolastico, che sempre viene utilizzato in termini marginali e/o strumentali, rispetto al discorso sul dovere di istruzione.
Ad esempio la lettura dell’art. 34 della Costituzione i questo senso è chiarificatrice:
“La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”
La scuola è aperta, disponibile, a tutti in quanto diritto di ogni persona, ed innumerevoli sono i benefici per la società, derivati da questa affermazione e dalla sua attuazione.
Ma è l’istruzione ad essereobbligatoria.
I capaci e meritevoli nello studio hanno diritto di raggiungere i gradi più alti. Studio e scuola possono avere molti punti di intersezione, ma lo studio, gli studi, possono avvenire con grande qualità anche fuori dai contesti scolastici. Tant’è che non si dice: gli alunni capaci e meritevoli. I soggetti capaci e meritevoli possono sviluppare i loro talenti ed i loro studi senza frequentazioni scolastiche.
Questo articolo costituzionale non dà sostegno all’ipotesi di obbligo scolastico o, quanto meno, non conduce in maniera diretta ed univoca a questa conclusione. In una certa misura vi allude ma almeno in pari modo apre al superiore valore dello studio sganciato dalla scolarizzazione, che viene evidenziata come opportunità democratica di cui la Repubblica si è dotata.
Di non banale significato è anche l’ultimo capoverso, in cui si dispone che i capaci e meritevoli siano sostenuti con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso. Si pone cioè la famiglia e la persona in quanto agente di studi suscettibili di essere aiutate nel procedere verso livelli ulteriormente elevati. Si parla di capaci e meritevoli da mettere alla prova in concorrenza con altri. Non si specifica che devono essere scolari o studenti frequentanti. Possono essere giovani capaci e meritevoli in istruzione parentale che concorrono con altri che hanno fatto percorsi di scolarizzazione.
Una lettura sistemica dell’art. 34 con l’art. 30, induce ulteriormente a valorizzare la concezione sia del diritto scolastico come pure del diritto all’istruzione parentale.
Primo comma art. 30: “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. …”
I genitori hanno il dovere di istruire ed educare i figli, ma viene loro attribuito anche il diritto di farlo, ovvero viene loro riconosciuta la piena facoltà di scelta tra le modalità legalmente possibili.
La scelta e la responsabilità sono in capo ai genitori, non ad entità altre, salvo che non siano in condizioni di incapacità genitoriale. In tal caso la decisione di come esercitare il diritto di scelta non spetta più a loro ma ad altri che la legge ha individuato. Questi potranno decidere per la scolarizzazione o per l’istruzione parentale dominando sulle intenzioni genitoriali surrogando in tal modo i compiti di questi!
Al di fuori di questa casistica, non si intravvede alcuna ragione logica e giuridica che possa superare in un balzo il principio etico-sociale costituzionalmente sancito, della triade dovere-diritto-responsabilità, dei genitori in merito alla scelta di istruzione ed educazione dei figli.
Non si rinviene nell’articolazione normativa un costrutto logico che porti a prospettare un regime autorizzativo per l’istruzione parentale.
Coerentemente le norme e le note attuative, parlano sempre di comunicazione di istruzione parentale non di richiesta da sottoporre al dirigente scolastico. La prassi oltretutto conferma ampiamente e pacificamente (tranne sporadici casi) questo meccanismo.
L’ultima circolare ministeriale che interviene sul tema, anzi, sottolinea che il dirigente, verificata la veridicità delle autocertificazioni (n.d.r), prende atto della comunicazione.
Istruzione bene comune
Questo significa che la famiglia mette in cantiere l’emancipazione dall’ordinamento dell’istruzione, ed una incuria “di un preciso interesse pubblico alla cui tutela è preordinata sia la disciplina dell’istruzione in generale sia, a fortiori, quella dell’istruzione inferiore…”?
No!
In primo luogo perché l’istruzione parentale è pienamente e costituzionalmente parte del sistema, quindi in quanto tale partecipa e condivide la considerazione della valenza di un preciso interesse pubblico per l’istruzione e l’educazione.
Chi pratica istruzione parentale secondo i principi fondamentali condivisi, è ben conscio della caratura di bene comune che le categorie etico-sociali dell’educazione e dell’istruzione portano in sè; lo è a tal punto da indurre a fare una scelta di straordinario impegno educativo.
I genitori in istruzione parentale danno riscontro in tal modo alla necessità di un cambio di passo nell’assunzione delle proprie responsabilità, in questo ambito. Un’esortazione in tal senso proviene dalle più alte cariche della Repubblica e da altre Autorità di riferimento. Perché i loro richiami non entrino da un orecchio e se ne escano dall’altro i genitori in istruzione parentale riversano maggiore impegno nell’educazione dei figli.
Nello svolgere considerazioni riguardo a questa sentenza del Consiglio di Stato, è utile ripetere che l’oggetto della trattazione, è un fenomeno che amministrativamente non esiste: l’istruzione familiare.
Infatti quando fa la seguente affermazione:
”Il TAR ha pertanto ritenuto che nessuna delle norme richiamate da parte ricorrente autorizza l’interprete a ritenere che l’adempimento dell’obbligo scolastico possa essere rimesso all’autonomia privata familiare, relegando l’istruzione dei figli ad “affare privato” di cui l’Istituzione scolastica dovrebbe disinteressarsi”,
indirizza un chiaro ed inequivocabile riferimento ad una specifica condizione di una famiglia che vorrebbe veder affermata una propria specifica percezione del ruolo genitoriale in questo campo, che appunto si concretizzerebbe in una categoria, “istruzione familiare”,che nell’ordinamento non ha collocazione ne definizione.
La categoria istruzione parentale ha una sistematica connessione con l’Istituzione scolastica.
Non tutte le componenti di questo meccanismo di raccordo hanno una forma ottimale ed organica alla natura del fenomeno, ma questa condizione è suscettibile di positivi sviluppi e comunque non pone in discussione che in istruzione parentale, i soggetti che entrano in scena con dei ruoli definiti sono: la famiglia, l’Istituzione scolastica, l’Istituzione civica.
“L’istruzione parentale” riconosciuta dall’ordinamento, e in verità in larghissima misura praticata, si struttura su alcune fondamenta di grande solidità civile.
Qui se ne richiama una, quella rappresentata dall’art. 33 della Costituzione:
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato…”
L’adesione e l’osservanza dei primi due paragrafi dà la necessaria e piena legittimità della scelta di procedere in istruzione parentale.
Talvolta accade che le istituzioni scolastiche si concentrino ed amplino a dismisura la seconda frase, ignorando quasi la prima. Per contro, gli homeschooler in taluni casi si concentrano sulla prima affermazione, cadendo nello stesso inciampo, ma di segno opposto.
Questi due enunciati esprimono una visione di grande civiltà e significano con grande rilievo lo iato storico-culturale che le madri e i padri costituenti, hanno voluto praticare rispetto al passato che ancora avevano a ridosso.
La prima frase si manifesta felicemente senza possibilità di fraintendimenti, dando respiro ad un afflato di libertà in un ambito nel quale quest’ultima era ed è in pericolo.
La concatenazione di significati rinvenibili negli artt. 29, 30, 31, 33 della Costituzione, dispone una condizione di forte solidità anche dell’istituto istruzione parentale.
L’enunciato “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione” è il luogo concettuale nel quale la cultura del nostro Paese, le istituzioni che lo sostanziano ed i cittadini, le persone che lo abitano trovano il raccordo necessario e sufficiente per il riconoscimento e la costituzione di un patrimonio comune.
La Repubblica ha elaborato delle linee guida che il sistema dell’istruzione nel suo complesso istituzionale (scuole e istruzione parentale) deve tenere ad orizzonte. In dette linee guida la Repubblica italiana ha recepito le indicazioni dell’Unione Europea che individua le 8 competenze-chiave che un cittadino nazionale/internazionale/comunitario/globale, deve poter gestire con sufficiente capacità per essere libero e consapevole.
Il paradigma è cambiato. Non si parla più di programmi ministeriali o statali, bensì di contesti dei saperi e delle competenze che ogni agente dell’istruzione (scuole, genitori) è chiamato a declinare secondo due criteri principali: la personalizzazione, per la valorizzazione della soggettività e la organicità delle discipline non più frammentate e scisse in materie distinte, ma colte nella dinamica delle relazioni che le legano tra di loro.
Le scuole sono chiamate a declinare le linee generali in nome dell’autonomia di cui godono; i genitori e le famiglie, nel caso dell’istruzione parentale, sono tenuti al medesimo atteggiamento.
Entrambi gli approcci dovrebbero dar conto di fronte alla Repubblica del rispetto dei presupposti sopra richiamati: personalizzazione e riferimento al quadro d’insieme; la prima categoria ha a che fare con il primo paragrafo dell’art. 33, la seconda con il successivo ( La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione…).
Gli operatori del sistema dell’istruzione a cui stiamo facendo riferimento (scuola e genitori) dovrebbero operare a tutti gli effetti e nella prassi attuativa, in tal senso.
Le norme generali sull’istruzione sono espresse nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione 2012 Decreto n.254 del 16/11”2012 e successivi aggiornamenti.
La valenza di tale provvedimento normativo è esplicitata in particolar modo nei suoi allegati.
L’adesione a tale articolazione concettuale e di ruoli solleva da ogni censura l’istruzione parentale, la quale non può essere intesa come destinataria delle osservazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato perché inviate chiaramente ad altro indirizzo1.
Infatti, quando si parla di adempimento dell’obbligo scolastico, anche solo per le osservazioni sopra accennate, ci si riferisce alla condizione di scolarizzazione rispetto alla quale l’autonomia privata familiare ha una sua naturale limitazione nelle norme che la regolano.
Il tema dell’obbligo scolastico in istruzione parentale, non è trattabile in quanto l’ambito sostanziale è il diritto/dovere dell’istruzione. Il primo è uno dei campi da gioco possibili, come lo è quello dell’istruzione parentale, il secondo è quello sul quale sia un soggetto che l’altro devono giocarsela rispetto ai presupposti costituzionali e, si potrebbe anche dire, concreti.
Nei termini anche solo fino qui accennati, diventa quanto meno scarsissimamente persuasivo per “l’istruzione parentale”, parlare di “affare privato”, locuzione già di per se problematica, in questo contesto.
Un ulteriore elemento per la comprensione del rapporto, esistente e forte, tra istituzione scolastica e famiglia in istruzione parentale è il Progetto Didattico Educativo, strumento di raccordo tra le due istituzioni nella fase di verifica (esame/accertamento) del dovere/diritto all’istruzione, introdotto con il D.M. n° 5 del 8 febbraio 2021.
In questa circostanza la famiglia deve produrre ed esibire questo documento, il quale in prima battuta verrà validato in relazione alle Indicazioni Nazionali per il Curricolo (del cui senso si è accennato sopra) e che diventerà poi il riferimento per lo svolgimento delle prove/accertamento/esame, al quale la commissione dovrà attenersi.
Appare chiaro come, anche e fortemente, in questo passaggio si inveri un rapporto significativo, portante e potenzialmente corretto, tra istituzioni scolastiche e famiglia, per cui ancor più non si può parlare di “affare privato” per chi pratica istruzione parentale.
Conclusioni
La sentenza induce a sottolineare lo scarto pratico e concettuale tra istruzione parentale e istruzione familiare. Se quest’ultima viene nominata per attribuire una certa connotazione ad un percorso educativo-didattico, non pare possibile far derivare da ciò una categorizzazione amministrativa particolare e specifica diversa da quella con la quale è incardinata all’ordinamento “l’istruzione parentale”.
In questa sentenza sembrano delinearsi i medesimi tratti riscontrabili nella recente pronunciamento della Corte di Cassazione, ordinanza 23802/2023 del 4/08/2023
Intervenendo su una questione dove anche in quel caso uno snodo caratterizzante era costituito dalla mancata volontà dei genitori di sottoporsi ad uno dei momenti di raccordo con l’istituzione scolastica, l’accertamento/esame annuale, e verificato che nel frattempo tale determinazione era stata superata dai genitori che avevano proceduto secondo le indicazioni normative, la Corte ha concluso che:
RAGIONI DELLA DECISIONE punto 3
“In tema di esercizio della responsabilità sui figli minori, la legge consente ai genitori di scegliere di provvedere direttamente alla loro istruzione, senza che i medesimi frequentino istituti scolastici, ma sotto il controllo delle autorità competenti, e nell’effettivo rispetto delle regole stabilite che, quando sono assicurate, non tollerano misure limitative della responsabilità genitoriale (nella specie il monitoraggio dei servizi sociali e la prescrizione rivolta ai genitori, di collaborare con questi ultimi) giustificate solo all’esito dell’accertamento del rischio di pregiudizio per il minore, che non può essere dato dalla sola scelta di procedere all’istruzione parentale, in sé pienamente legittima e costituente, anzi, espressione di un diritto costituzionalmente garantito”.
Sergio Leali, presidente LAIF a.p.s. www.laifitalia.it
1“Il TAR ha pertanto ritenuto che nessuna delle norme richiamate da parte ricorrente autorizza l’interprete a ritenere che l’adempimento dell’obbligo scolastico possa essere rimesso all’autonomia privata familiare, relegando l’istruzione dei figli ad “affare privato”