Ianes: “Meno compiti a casa solo se cambia la didattica. Il digitale? A scuola va usato. No alle chat dei genitori”

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Dario Ianes, pedagogista fondatore della casa editrice Erikson, parla di scuola in un’intervista al quotidiano L’Adige, in cui affronta alcuni temi di stretta attualità.

Prima di tutto l’esperto si esprime sui compiti a casa: “secondo me c’è un strano mix tra giuste considerazioni di tipo pedagogico-didattico e un po’ di demagogia –  spiega l’esperto – . Sui compiti a casa la ricerca scientifica ci dice che scattano meccanismi di disuguaglianza e quindi è giusta la tendenza a ridurli. Sul tema della disconnessione pure. Sappiamo quali sono i danni. Questa direzione è positiva”.

Ianes aggiunge che “c’è dentro una vena di demagogia perché si mescolano considerazioni corrette pedagogicamente, ma questa è anche una strizzatina d’occhio alle famiglie sulla percezione di un carico eccessivo dei compiti”.

Secondo l’esperto, bisogna considerare che “sono cambiati i ragazzi, sono cambiati i genitori, che sono molto più partecipi e dobbiamo fare un altro ragionamento: dire che bisogna apprendere a scuola e che a casa si studia non è corretto. È come se ci fosse una scissione. Il discorso sui compiti però deve essere accompagnato da un cambio della didattica. A scuola si studia e nel tempo che ti rimane leggi, vai al cinema”.

E ancora: “i docenti tradizionali tendono a riempire la testa, invece serve una testa ben fatta, creativa. È più impegnativo e il docente deve mettersi a fianco. È una didattica più attiva e partecipativa. Ma dire “riduco i compiti” senza cambiare la didattica mattutina è una presa in giro”.

Sul digitale, Ianes spiega: “va usato di più a scuola. Le nuove generazioni sono lì. Va superata la vecchia mentalità. Invece vanno gettate le chat dei genitori, quel profluvio di informazioni che arriva fuori dall’orario di scuola“.

Il fondatore della casa editrice Erikson commenta anche l’iniziativa della Provincia di Trento del docente facilitatore:

C’è un dato da tenere presente: tutti gli studi ci dicono che dopo la pandemia il malessere è cresciuto tra gli studenti, ma anche tra i docenti, c’è il burn out, l’esaurimento. Quindi da questo punto di vista è assolutamente positivo. Dopodiché non ho ben chiaro che cosa deve fare questa figura. C’è anche un disagio da capire, anche tra i docenti, magari del precario mandato da Siracusa a Trento. A chi mi rivolgo?

E ancora: “Il malessere bisogna capire da dove viene. Innanzitutto li dovrei pagare un po’ di più. Questo “Faber”, questo fabbro, che cosa forgia? Vanno valorizzati i rapporti con i compagni di classe, la dimensione di gruppo, ma molti docenti, non lo consentono perché “sono indietro con il programma“.

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