I no in famiglia aiutano a crescere. Lettera

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Fernando Mazzeo – Il fenomeno della caduta progressiva della cultura dell’osservanza delle regole tra i giovani studenti  richiede una attenta riflessione sui dati e su alcuni elementi significativi, per conoscere e valutare a fondo l’ entità e la pericolosità del livello di trasgressioni delle più comuni  norme  di convivenza civile.

In particolare, di fronte al diffondersi a scuola, in famiglia e nella comunità civile di fenomeni di violenza inaudita, talvolta odiosi, intollerabili, connotati da disvalori  e da  una  gravità tale da ingenerare un elevato allarme sociale, occorre rispondere con fermezza ed autorevolezza per ripristinare  la cultura della legalità intesa come rispetto della persona umana e delle regole poste a fondamento della convivenza sociale.

Ogni episodio violento che si registra a scuola, ma anche in famiglia, è un danno e un problema per tutta la società. Per questo, la comunità educante esasperata e delegittimata nel suo ruolo e nei suoi poteri, nonostante il Dipartimento per l’istruzione, a causa del diffondersi della violenza nelle comunità scolastiche, con una Nota del 31 luglio 2008, avesse già cercato di  dotare le scuole di adeguati strumenti educativi e punitivi, si è rivolta  al capo dello Stato e, con   la sottoscrizione di sessantamila firme, ha chiesto maggiori poteri disciplinari e una maggiore severità sanzionatoria.

Alcuni segnali non vanno sottovalutati e, al di là di ogni tentativo di introdurre maggiore  rigore, severità e potere sanzionatorio, occorre un aggiustamento del tiro educativo in funzione di un adeguato processo di  professionalizzazione e responsabilizzazione dell’arte educativa genitoriale.

I genitori devono ritornare ad occupare il posto centrale che avevano prima, devono aiutare i figli ad interiorizzare il senso dei confini e dei limiti, devono ricordar loro  le regole e  far metabolizzare le prediche sui rischi di atteggiamenti e comportamenti esagerati, riluttanti ad ogni norma e lesivi della dignità e del rispetto della persona umana.

Nell’ambito della riflessione pedagogica, tutti concordano nel parlare di responsabilità ed assenza di vigilanza della famiglia che ha, ormai,  abdicato al proprio ruolo, che difende sempre e comunque i propri figli  rendendo  difficili e conflittuali i rapporti con la scuola,  che  fa sempre più fatica a diffondere la cultura del  dovere ed   a rispondere   ai bisogni sempre più complessi di ragazzi che non riescono a condividere regole e percorsi comuni di crescita umana e civile.

Per vincere le sfide che dovranno affrontare e superare nel corso della vita, i ragazzi devono imparare ad assumersi impegni  e responsabilità e  assorbire quei meravigliosi principi educativi che possono  renderlo  tranquillo tra i tumulti,  contento e disponibile fra le miserie, onesto in mezzo agli scandali.

La soluzione risiede, pertanto,  nella ripresa  del ruolo sociale della famiglia che, necessariamente,   deve riappropriarsi della funzione che le compete, perché solo  l’autorevolezza dei genitori può creare interesse e  stimolare la nascita di buone pratiche educative e  ridurre il numero di situazioni di violenza e di disagio che si registrano a scuola e in famiglia.

Sostanzialmente, è  in atto un mutamento della pedagogia scolastica e della pedagogia familiare,  che  sta provocando una  alterazione di alcune ben radicate regolarità comportamentali  e ben consolidati primati educativi, per cui la scuola ignorata, attaccata, non amata, sminuita, deperisce, decade e muore. Al centro sta, dunque,  la perdita della supremazia indiscussa della scuola che non può  e non deve essere una bandiera  da agitare, né tantomeno un muro da abbattere, ma un fondamentale  strumento formativo in grado di generare una diffusa convivialità  relazionale intessuta di linguaggi culturali, affettivi ed emotivi.

Molto è cambiato in questi ultimi anni e non mancano motivi di preoccupazione. Il ritratto della famiglia appare sempre più complesso nei suoi risvolti problematici, è attraversata da una profonda crisi antropologica ed esistenziale e denota una carenza di centralità che non consente di identificare tra genitori e figli chi possa essere assunto come finalità del processo educativo. Bisogna porre maggiore attenzione ai vuoti che la crisi di valori   sta  provocando   al suo interno, occorre rilanciare nuovi quadri concettuali per  dare senso al valore della famiglia ed ordinare la vita familiare secondo il principio pedagogico del magister che sa farsi minister (servo, guida, inserviente), che sa  prendersi cura dell’altro e accompagnarlo verso l’autopromozione.

I genitori devono imparare a concrescere con i figli e camminare su terreni dove è possibile maturare come genitori, figli e famiglia. Purtroppo, molti adolescenti sono abituati a vedere sempre più depotenziata la dimensione propositiva e orientativa dei genitori, vivono in famiglia uno stato di falsa indipendenza e di pseudo maturità, hanno grande difficoltà ad accettare un rifiuto, un rimprovero e  non trovano facile sentirsi dire un “no” che  non hanno mai udito.

Dire no significa essenzialmente stabilire la distanza tra un desiderio e la sua soddisfazione e portare in primo piano la questione dei limiti. La riluttanza a definire dei confini, dei limiti,  porta il ragazzo a considerare l’educazione come uno spazio proibito, un terreno nel quale è vietato entrare. Solo nei fondali dei rifiuti e delle sconfitte può veramente  comprendere  il senso della parola educazione, che è un evento che trasforma,  e cominciare a guardare con fiducia nello specchio del proprio tempo.

Insistere sull’ inasprimento delle pene lascia, quindi,  un po’ perplessi perché riproduce posizioni già vissute il cui esito non sempre è stato soddisfacente. Piuttosto, bisognerebbe progettare un nuovo cammino che dia spazio  alla cultura del no,  del saper tacere, del saper obbedire per cogliere e amare la bontà e la diversità di chi ci accompagna e ci guida per compiere il salto di qualità e tener conto solo dei concetti buoni.

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