I giovani e la lotta alle mafie. Intervista
Intervista al prof. Vincenzo Musacchio, giurista e direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise
Professore secondo lei i giovani hanno combattuto le mafie?
La risposta è assolutamente affermativa! Basti pensare a Peppino Impastato e a Giancarlo Siani tanto per citarne due piuttosto noti alla gente comune. Loro non si sono arresi e l’hanno combattuta, fino alla morte. La criminalità organizzata italiana ha fatto del male a tanti giovani. Ha ucciso molti studenti e ragazzi che avevano scelto di impegnarsi e di uscire a volto scoperto lottando per un paese migliore e per un futuro più giusto e tutt’ora continua ad uccidere il futuro di tantissimi altri giovani.
Forse i più giovani non lo conoscono ci dice chi era Peppino Impastato?
Era una persona che voleva una vita diversa: un militante del Partito Comunista Italiano e credeva nella giustizia, allora insieme con altri amici, giovani come lui, fondò una radio libera. Radio Aut, durante i programmi prendeva in giro in maniera molto sarcastica e molto dura i boss mafiosi della città, tutti i potenti di Cinisi fino al sindaco, che favorivano sfacciatamente gli interessi della mafia sicula. Si candidò perfino alle elezioni del suo comune con una lista di estrema sinistra, ma la mafia lo andò a prendere e lo uccise il 9 maggio del 1978 a soli trent’anni.
Chi era invece Giancarlo Siani?
Era un giornalista precario che fu barbaramente assassinato quando aveva soltanto ventisei anni. Lavorava al Mattino di Napoli. Seguiva con passione e serietà gli affari loschi della Camorra nella zona di Torre Annunziata. Aveva per la precisione scoperto che il boss locale stava per essere spodestato e fatto arrestare da alcune famiglie rivali nell’ambito delle guerre di mafia, e proprio per questo ne fu decisa l’eliminazione. Giancarlo lavorava con serietà e rigore alle sue inchieste e questo non poteva essere perdonato. Sono tante altre le vittime della mafia, giovanissime, che nulla avevano a che fare con le mafie se non il fatto di trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato.
Professore ma secondo lei i giovani potranno sconfiggere la criminalità organizzata?
Io sono fermamente convinto di si! Giovanni Falcone diceva che la mafia è un fatto umano e quindi, se ha avuto un inizio, avrà anche una fine. Paolo Borsellino riteneva che un ruolo importantissimo lo rivestisse la scuola: i giudici, diceva Borsellino, possono fare solo una parte della lotta alla mafia. E’ compito della scuola rovesciare questo percorso, fornendo cultura dello Stato e delle istituzioni. Ognuno di noi può fare una parte di questa lotta, riflettendo sulle vittime di mafia, o magari pensando di passare una parte del nostro tempo lottando contro le mafie, ognuno come può.
Cosa ci hanno insegnato Peppino Impastato e Giancarlo Siani, due giovani senza macchia e senza paura?
Un insegnamento fondamentale: che alla sottocultura mafiosa si risponde con la cultura dell’impegno e della coscienza. Ci hanno fatto comprendere che la conoscenza e l’informazione siano i presupposti per impedire l’attecchire delle mafie. Prima ancora che un fenomeno criminale, le mafie sono fenomeni culturali. E alla sottocultura mafiosa si risponde con la cultura dell’impegno e della consapevolezza. Questo è stato il loro messaggio e questo dobbiamo trasmettere ai giovani noi che operiamo nel settore socio-culturale.