Graduatorie: vale il punteggio per il servizio militare e civile. Perché la Cassazione lo ha riconosciuto

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Commento tecnico dell’Avv. Nicola Zampieri: la Cassazione con la sentenza 35380 del 18 novembre è intervenuta nuovamente nella complessa tematica della computabilità del servizio militare, del servizio civile sostitutivo e del servizio civile volontario, chiarendo in via definitiva che gli stessi devono essere sempre valutati, anche se non prestati in costanza di rapporto di impiego.

Come noto il comma 7 dell’articolo 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sancisce espressamente che «il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti».

Il ministero dell’Istruzione, peraltro, ha recentemente posto in dubbio la computabilità del servizio militare, qualora non svolto in costanza di nomina, appellandosi al fatto che l’articolo 2268, comma 1, del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), entrato in vigore nel 2010, ha espressamente abrogato l’art. 20 della Legge del 24/12/1986, n. 958, il quale prevedeva che «1. il periodo di servizio militare è valido a tutti gli effetti per l’inquadramento economico e per la determinazione della anzianità lavorativa ai fini del trattamento previdenziale del settore pubblico”.

Il Ministero pretendeva infatti di desumere da tale abrogazione la volontà del legislatore di valutare solo il periodo trascorso in qualità di militare di leva in pendenza di rapporto di lavoro, richiamando a sostegno dell’affermazione l’art. 2050 del D.Lgs. 66/2010, così come interpretato dal TAR Lazio (Sezione Terza Bis) nelle recenti sentenze nn. 8576 e 8578 del 19/07/2021. Secondo il Ministero infatti l’art. 485 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 andrebbe interpretato nel senso che il periodo di servizio militare potrebbe essere valutato solo se prestato, al pari degli altri servizi contemplati dalla norma, in costanza di nomina.

Tale assunto sarebbe avvallato dal fatto che l’art. 2050 del d.lgs. n. 66/2010, al comma 2, prevede che: «Ai fini dell’ammissibilità e della valutazione dei titoli nei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni è da considerarsi a tutti gli effetti il periodo di tempo trascorso come militare di leva o richiamato, in pendenza di rapporto di lavoro». Sempre secondo il Ministero tale disposizione costituirebbe un principio di portata generale in quanto successivo comma 3 del medesimo arto 2050 prevede che: «Le norme del presente articolo sono applicabili ai concorsi banditi dalle amministrazioni dello Stato, comprese le aziende autonome, e dagli altri enti pubblici, regionali, provinciali e comunali per l’assunzione e l’immissione di personale esterno in tutte le qualifiche, carriere, fasce o categorie funzionali previste dai rispettivi ordinamenti organici».

In estrema sintesi secondo il Ministero e il TAR Lazio potrebbe essere computato solo il servizio prestato in costanza di nomina poiché l’esigenza di tutelare coloro che hanno prestato servizio nell’interesse della Nazione sussisterebbe solo qualora il dipendente, già nominato, sia pure solo con contratto a tempo determinato, sia chiamato svolgere il servizio militare o il servizio civile sostitutivo.

La Corte di Cassazione, sconfessando la tesi ministeriale, ha invece aderito alla posizione sostenuta dagli avv.ti Walter Miceli e Fabio Ganci (recepita dalla Corte di Appello di Palermo nella sentenza impugnata dal Ministero in Cassazione), confermando il diritto al riconoscimento del punteggio previsto per il servizio di leva prestato, alla sola condizione che lo stesso sia stato svolto dopo il conseguimento del titolo di studio necessario per l’accesso all’insegnamento.

La Cassazione ha infatti chiarito che sia prima che dopo l’entrata in vigore dell’art. 2050 del d.lvo n. 66/2010 i dipendenti del Ministero dell’istruzione hanno sempre diritto a vedersi computare il servizio militare svolto in quanto è necessario effettuare una lettura integrata dei primi due commi dell’art. 2050, alla stregua della quale il comma 2 non si pone in contrapposizione al comma 1, limitandone la portata, bensì ne costituisce una mera specificazione, nel senso che anche i servizi di leva svolti in pendenza di un rapporto di lavoro sono valutabili a fini concorsuali. Secondo la Cassazione infatti una contrapposizione tra quei due commi sarebbe non solo del tutto illogica (non comprendendosi per quale ragione il comma 1 si esprimerebbe con un principio di ampia portata, se poi il comma 2 ne svuotasse significativamente il contenuto), ma anche in contrasto con la razionalità che è intrinseca nella previsione, coerente altresì con il principio di cui all’art. 52 della Cost., comma 2, per cui chi sia chiamato ad un servizio (obbligatorio) nell’interesse della nazione non deve essere parimenti costretto a tollerare la perdita dell’utile valutazione di esso a fini concorsuali o selettivi.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione pertanto una corretta interpretazione dell’assetto normativo impone di ritenere che il citato art. 2050 non contrasti con l’art. 485, comma 7, del TU. n. 297/94, per cui il servizio di leva obbligatorio e il servizio civile ad esso equiparato devono essere sempre utilmente valutabili, sia ai fini della carriera che dell’accesso ai ruoli, in ogni settore ed anche se non prestati in costanza di rapporto di lavoro.

L’interpretazione costituzionalmente orientata della Cassazione risulta pienamente condivisibile in quanto la Corte Costituzionale ha costantemente rimarcato che «il concetto di posizione di lavoro non deve essere considerato equivalente a quello di posto di lavoro, così da attribuire alla norma costituzionale il solo significato di garanzia di conservazione dell’occupazione; è un concetto molto più ampio, che comprende senza dubbio anche il diritto alla indennità di anzianità, quale che sia la natura o la funzione di tale indennità, e la sua misura.

Di conseguenza, una disposizione di legge ordinaria … implicante la limitazione di un diritto del prestatore d’opera in conseguenza della prestazione del servizio militare per gli obblighi di leva, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima» (così Corte Costituzionale, 16/02/1963, n. 8).

La Corte di Cassazione ha pertanto correttamente applicato il principio secondo cui deve essere privilegiata una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa atteso che, in base all’art. 52 comma 2, secondo periodo, della Cost., la prestazione del servizio militare obbligatorio non deve pregiudicare la posizione di lavoro del cittadino, in quanto diversamente opinando, ossia se il dipendente non fosse tenuto indenne dalla preclusione all’accesso agli incarichi di insegnamento, oltre che agli effetti sull’acquisizione di punteggio utile alla graduazione per futuri incarichi, l’assetto normativo di riferimento sarebbe di dubbia costituzionalità in quanto l’adempimento di doverose prestazioni verso la nazione si tradurrebbe in uno svantaggio nelle procedure pubbliche selettive.”

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