Graduatorie supplenze: più punti a chi ha il dottorato. Sentenza su ricorso Ordine degli Psicologi

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Il giudice amministrativo non può sindacare la scelta dell’amministrazione scolastica di valutare in maniera differente i titoli di accesso nelle graduatorie provinciali per le supplenze (Gps) e in quelle d’istituto (Gi). Il Consiglio Nazione dell’Ordine degli Psicologi aveva infatti lamentato l’illegittimità dell’Ordinanza n. 60/2020 che le regolamenta, nella parte in cui si attribuisce al titolo di specializzazione 2 punti, a fronte dei 12 punti assegnati al dottorato di ricerca, e di 1 punto, fino a un massimo di 3 punti, per ogni master universitario. Non è illogica, né irrazionale, né discriminatoria, la scelta dell’amministrazione di privilegiare gli aspiranti supplenti in possesso del titolo di dottorato di ricerca, che rappresenta il più alto grado nella formazione accademica. Lo ha affermato il Tar Lazio (Sezione III bis, Sentenza n. 8127 del 08 luglio 2021).

L’asserita disparità di trattamento

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha richiesto l’annullamento dell’Ordinanza del Ministero dell’Istruzione n. 60/2020, lamentando l’illegittimità delle tabelle di valutazione dei titoli per la formazione delle graduatorie provinciali per le supplenze (GPS) e delle graduatorie d’istituto (GI) allegate all’Ordinanza medesima, nella parte in cui si attribuiscono al titolo di specializzazione in psicoterapia 2 punti a fronte dei 12 punti assegnati al dottorato di ricerca e di 1 punto per ogni master universitario (fino ad un massimo di 3 punti). Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi sostiene la palese disparità di trattamento e la illogicità della scelta dell’Amministrazione di attribuire solo 2 punti agli aspiranti in possesso di tale diploma di specializzazione, rispetto ai 12 punti assegnati per il possesso di un dottorato di ricerca della durata di tre anni accademici e di 1 punto assegnato per un master universitario la cui durata è di solo un anno, evidenziando come tale illogicità fosse già presente in passato, sia pure in maniera meno eclatante, in quanto per il triennio 2017-2020 i medesimi titoli venivano valutati con 6 punti (scuole di specializzazione, tra cui quella in psicoterapia), a fronte dei 12 punti attribuiti al dottorato e dei 3 punti attribuiti ai titoli di master.

La regolarità dell’operato del Ministero Istruzione

Nel rigettare il ricorso, il Tar ha evidenziato che il Ministero ha adottato criteri trasparenti ed intellegibili, in linea con la finalità perseguita dalla legge che ha legittimato l’adozione dell’ordinanza n. 60, ovvero la possibilità di garantire, anche in situazione di emergenza epidemiologica, “la regolare conclusione o l’ordinato avvio dell’anno scolastico” provvedendo ad una nuova e autonoma procedura per la formazione delle graduatorie che si presenta svincolata dalle precedenti. Non è apparsa illogica, nè irrazionale, né discriminatoria, la scelta dell’Amministrazione di effettuare tale selezione “privilegiando” gli aspiranti in possesso di titoli (dottorato di ricerca e diplomi di perfezionamento equiparati) che costituiscono il più alto grado nella formazione accademica, la cui eccellenza non può essere messa in discussione e, soprattutto, ai quali si accede solo a seguito di procedure concorsuali.

La valenza del dottorato di ricerca

Per il TAR è un titolo di cultura, più che un titolo professionalizzante (come è la specializzazione), che viene conseguito all’esito di corsi accademici post lauream che hanno l’obiettivo di far acquisire una corretta metodologia per la ricerca scientifica avanzata, con metodologie di studio innovative, impiegando nuove tecnologie e prevedendo, tra l’altro, anche stage all’estero (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 maggio 2017, n. 617). Dalla legislazione di settore emerge, infatti, che lo scopo fondamentale del dottorato di ricerca inerisce all’esercizio “di attività di ricerca di alta qualificazione” e “la relativa formazione risponde alla primaria finalità di saggiare la capacità di ricerca in un determinato ambito scientifico” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III bis, 7 gennaio 2019, n. 153). In conclusione, la maggiore selettività nell’accesso al dottorato di ricerca e l’ontologica eterogeneità della specializzazione rispetto al dottorato di ricerca costituiscono ragioni a supporto della scelta dell’Amministrazione, che quindi non può dirsi illogica, irrazionale o discriminatoria nell’aver maggiormente valorizzato in sede di punteggi il possesso del titolo di dottore di ricerca.

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