Graduatorie docenti: l’illegittimità dell’inserimento in coda e la differenza tra integrazione e aggiornamento

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Quale la differenza tra integrazione e aggiornamento della graduatoria? La sentenza del TAR Lazio del 29 novembre 2019 richiama un suo pregresso orientamento, quale la sentenza 7946/2018, che ribadisce un importante orientamento in materia.

La normativa sulle graduatorie permanenti

L’articolo 401 del T.U della scuola afferma che le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, sono trasformate in graduatorie permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo. Dette graduatorie sono periodicamente integrate con l’inserimento dei docenti che hanno superato le prove dell’ultimo concorso regionale per titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia. Contemporaneamente all’inserimento dei nuovi aspiranti e’ effettuato l’aggiornamento delle posizioni di graduatoria di coloro che sono gia’ compresi nella graduatoria permanente.

La differenza tra integrazione ed aggiornamento e l’illegittimità dell’inserimento in coda

Con la sentenza 7946/2018 si afferma, richiamando a sua volta un precedente del 2011, la sentenza 2799, che essendo in realtà le graduatorie permanenti di cui all’art. 401 del testo unico un’unica graduatoria “permanente”, necessariamente suscettibile nel corso del tempo di “integrazione” (la quale si attua con l’inserimento nella graduatoria dei soli candidati che hanno superato le prove dell’ultimo concorso regionale per titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto di insegnamento, nonché dei docenti che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia) e di “aggiornamenti” (con ciò intendendosi la situazione di coloro che sono già compresi nella graduatoria, i quali hanno interesse a fare valere i titoli precedentemente non valutati ovvero i nuovi titoli nel frattempo conseguiti per migliorare la loro posizione) – l’inserimento dei nuovi iscritti “in coda” deve ritenersi lesivo del principio del merito.

L’unico criterio di graduazione è quello che deriva dalla valutazione dei titoli

I Giudici rilevano che una volta acquisito il requisito di ammissione, “l’unico criterio di graduazione è quello che discende dalla valutazione dei titoli al fine di individuare i più capaci e meritevoli, non essendo il momento di conseguimento dei requisiti di ammissione utile a individuare i soggetti più capaci e meritevoli”. In tale contesto, “considerato che i requisiti per accedere all’insegnamento sono costituiti soltanto dal titolo di studio specificatamente richiesto e dal titolo di abilitazione allo specifico insegnamento, avendo il possesso di ogni altro titolo soltanto valore al fine di determinare il maggiore o minor merito, è evidente che la collocazione dei soggetti, che hanno conseguito i requisiti di accesso successivamente, in posizione comunque deteriore, quali che siano i titoli valutati, rispetto ai soggetti che li hanno conseguito precedentemente, viola il principio costituzionale che garantisce l’accesso ai pubblici uffici a tutti coloro che ne hanno titolo, indipendentemente dal momento in cui l’hanno conseguito. Di conseguenza non si poteva distinguere la graduatoria in fasce e non potevano porsi in posizione deteriore soggetti aventi maggior punteggio rispetto a soggetti che con un punteggio inferiore sono stati collocati in fasce precedenti, sia perché non è disposto dalla L. 124/99, che così viene ad essere violata, sia perché in contrasto con i principi costituzionali di cui all’art. 3 comma 1° (eguaglianza), 97, comma 1° (imparzialità della P.A.) e 51 comma 1° (accesso agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza) della Costituzione”(cfr. sentenza citata). Alle stesse conclusioni, sempre in materia di graduatorie permanenti, giunge la Corte Costituzionale nella sentenza n.41 del 9 febbraio 2011, evidenziando che la disciplina normativa posta alla sua attenzione comporta “il totale sacrificio del principio del merito posto a fondamento della procedura di reclutamento dei docenti e con la correlata esigenza di assicurare, per quanto più possibile, la migliore formazione scolastica.

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