Gli studenti al premier Conte: “Necessaria una riforma dei cicli di istruzione, mesi di DaD sono una ferita profonda”

“Pensiamo che i milioni di ragazze e ragazzi, di studentesse e studenti siano il futuro del nostro Paese. In questo momento di eccezionale difficoltà per tutto il Paese, la nostra generazione sta pagando un prezzo altissimo. I mesi di didattica a distanza sono stati una ferita profonda in termini non solo di qualità della didattica, ma anche di socialità e di relazione”.
Questo l’incipit della lettera inviata oggi al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in occasione della Giornata Internazionale dello Studente, dagli studenti.
La lettera è firmata da Federico Allegretti, Coordinatore Nazionale della Rete degli Studenti Medi e da Enrico Gulluni, Coordinatore Nazionale Unione degli Universitari.
“Dopo mesi e mesi dallo scoppio della pandemia, la riapertura delle scuole si è svolta con evidenti lacune nell’organizzazione, che hanno portato a chiudere di nuovo dopo poco più di un mese. Similmente l’università – continua la lettera – è stata marginalizzata fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, in un contesto che già appariva parecchio confusionario e con una strada tutt’altro che ben tracciata e omogenea sul territorio nazionale”.
“Oggi siamo di fronte alla seconda ondata: il rischio che siano i più vulnerabili, tra cui studentesse e studenti, a pagare il prezzo più alto ci preoccupa molto. Stiamo parlando di giovani lavoratori e lavoratrici rimasti da un giorno all’altro senza sostentamento, di ragazze e ragazzi di tutte le età che subiscono le inevitabili conseguenze della chiusura di scuole e atenei, – prosegue ancora – non tutti in grado di accedere in modo omogeneo ed efficace alla didattica a distanza. Il Covid-19 ha fatto emergere quelli che sono i limiti strutturali del nostro sistema d’istruzione e universitario: se c’è qualcosa che possiamo e dobbiamo imparare dalla crisi in corso, è che non sarà possibile superarla come se niente fosse, tornando in maniera in dolore alla normalità, perché quella normalità era in molti casi il problema”.