“Gli insegnanti possono salvare la scuola diventata ormai un dispositivo burocratico”. La riflessione di Recalcati

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In occasione della rientro in classe Massimo Recalcati su La Stampa riflette su alcuni punti importanti che riguardano l’importanza della scuola e degli insegnanti.

La riapertura delle scuole appartiene ad un rituale sociale di cui tendiamo ad ignorare l’importanza assimilandolo a un fenomeno della natura come fosse il ciclo inesorabile delle stagioni. A rafforzare questa assimilazione è la dimensione della Scuola come un dispositivo burocratico sempre più lontano dalla vita vera. Le norme grigie che strutturano il tempo scolastico (calendari, riunioni, programmi, valutazioni, ecc.) favoriscono la sua rappresentazione come una istituzione condannata a una ripetizione senza sorpresa. Un peso al collo o una condanna nel vissuto di molti studenti. Una incombenza necessaria in quello di molti insegnanti“, scrive lo psicanalista.

Secondo Recalcati, “dal lato degli allievi e degli insegnanti troviamo egualmente apatia, delusione, noia, frustrazione. A conferma che il sapere scolastico è un sapere separato dal mondo reale, un cumulo di informazioni astratte, fine a se stesse, una passione triste. Questa riduzione del sapere a un sapere morto scoraggia l’entusiasmo dell’apprendimento e ribadisce la sua separazione dalla vita. A cosa serve apprendere, studiare, sapere se poi l’impatto con la vita ne rivelerebbe fatalmente l’inutilità? La formazione scolastica sarebbe allora una perdita di tempo, un ritardare inutilmente l’inizio dell’attività lavorativa, come sostengono anche noti imprenditori del nostro paese?

Invece, secondo Recalcati, “l’esperienza della Scuola non è solo esperienza di una routine mortifera, ma anche della luce del sapere: il sapere non è un libro morto, ma un libro vivo, non è una passione triste ma una passione erotica. Ma questa luce deve essere testimoniata da chi insegna. Il che dovrebbe significare che non c’è separazione tra gli effetti educativi di una formazione e quelli cognitivi di una istruzione, che educazione e istruzione, nella pratica didattica, sono due facce della stessa medaglia”.

Ecco perchè “il lavoro dell’insegnante dovrebbe essere quello di mantenere il sapere strettamente legato
alla vita. Perché, come ricordava Wittgenstein, sono i limiti del mio linguaggio a significare i limiti del mio mondo”.

C’è poi, secondo lo psicanalista il problema “che le nuove generazioni tendono ad allontanarsi dalla pratica della lettura e dallo sforzo che comporta uno studio sistematico. La distrazione non è solo una qualità psicologica sempre più diffusa tra gli allievi, ma una tendenza più generale che esprime una cifra di fondo del nostro tempo”.

E ancora: “Ecco la testimonianza difficile a cui sono tenuti i nostri insegnanti. Dare prova di una concentrazione che non sia una forma ottusa del rigore, ma una cura. Essere concentrati sulla propria pratica è, del resto, la sola salvezza possibile per non cadere in una ripetizione scolastica del sapere che stroncherebbe anche gli spiriti più nobili“.

È la solitudine inevitabile che accompagna ogni insegnante: restare concentrati sul proprio lavoro, restare prossimi alla cosa, non lasciarsi distrarre dai rumori del mondo“, conclude.

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