Giudizi sintetici: “Cosa c’è di chiaro nel dire che un bambino ha preso ottimo? Un’etichetta che non contempla il reale livello di apprendimento”. INTERVISTA al pedagogista Mario Maviglia

La valutazione resta uno di quei dibattiti infiniti che riguardano il mondo della scuola. Figuriamoci se l’avvento dei giudizi sintetici alla scuola primaria o la riforma del voto in condotta non avessero prodotto una grande onda di commenti a favore o contro.
Il ritorno dei giudizi sintetici, nelle intenzioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha come obiettivo quello di segnare “un passo importante verso un sistema educativo più chiaro e trasparente, volto alla crescita formativa degli studenti. L’introduzione dei giudizi sintetici nelle Scuole primarie, molto più comprensibili dei precedenti livelli, permette infatti di tracciare con maggiore chiarezza il percorso formativo degli alunni, migliorando la comunicazione con le famiglie e al tempo stesso l’efficacia della valutazione”.
A decorrere dall’anno scolastico 2024/2025, nella Scuola primaria, la valutazione sarà dunque espressa attraverso giudizi sintetici, da “Ottimo” a “Non sufficiente”, correlati alla descrizione dei livelli di apprendimento raggiunti per ciascuna disciplina, compreso l’insegnamento dell’educazione civica.
Sulla questione abbiamo chiamato in causa il pedagogista Mario Maviglia, che analizza gli aspetti che in questi giorni sono al centro del dibattito scolastico.
Il Ministro Valditara ha detto a proposito dei giudizi sintetici, che in questo modo si avrà “un sistema educativo più chiaro e trasparente, volto alla crescita formativa degli studenti”. Si ritiene d’accordo?
Se bastassero i giudizi sintetici per avere una valutazione più chiara e trasparente, avremmo risolto gran parte dei problemi della valutazione! Cosa c’è di chiaro e trasparente nel dire che il livello di apprendimento di un bambino viene classificato come ottimo, oppure discreto ecc.? In realtà si sta semplicemente utilizzando una scala di distribuzione ordinale su sei livelli, da ottimo a non sufficiente, e se non si esplicita in modo preciso cosa si intende per “ottimo” o “discreto”, ovvero cosa si nasconde dietro il giudizio sintetico, si rimane a livello di etichetta che tutto dice e nulla dice. In parte l’OM tiene presente questa esigenza attraverso l’Allegato A che offre una “descrizione” – ancorché schematica – dei giudizi sintetici. Se non si fa riferimento a significati definiti e condivisi i giudizi sintetici non assumono maggiore chiarezza e trasparenza rispetto ai precedenti giudizi descrittivi. Anzi, rischiano di rimanere ancor più criptici, pur nella loro immediatezza comunicativa.
Perché c’è troppa enfasi sul voto?
Vi sono varie ragioni. Il voto, nella sua sinteticità e apoditticità, tende a racchiudere in una espressione secca (numerica o aggettivale) i risultati di apprendimento raggiunti dall’allievo che però derivano da un insieme di tanti elementi tra loro correlati, ovvero risultati conseguiti, impegno, perseveranza, autonomia nello studio. Da un punto di vista comunicativo è molto più semplice e comodo condensare in un voto un fenomeno che presenta molte più sfaccettature e dimensioni. Proprio per questa sua caratterizzazione di prêt-à-porter il voto esercita un fascino molto più forte che un giudizio descrittivo o un rapporto valutativo, che richiedono capacità molto più raffinate, sia per essere elaborate che per essere decodificate. E questo costa più fatica. Ma non solo.
Cosa?
Vi è anche la convinzione, ingenua e sbagliata, che il voto sia più “oggettivo” rispetto a una descrizione e dunque consente di fare delle comparazioni tra un prima e un dopo e tra gli stessi alunni. Ciò che viene spesso sacrificato sull’altare del voto è la passione verso la conoscenza: si va scuola non per fare esperienze interessanti e coinvolgenti, ma per prendere un bel voto. E tutto viene misurato e pesato sulla base del voto acquisito, del profitto tratto. Fondamentalmente è una visione neoliberista dell’apprendimento.
Anche il voto in condotta è al centro di una riforma. Era necessario secondo lei intervenire su questo?
In questo caso si è tentato di porre un argine alle forme di comportamento non corretto tenuto dagli allievi adottando una misura punitiva come la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato per gli alunni della scuola secondaria di primo grado cui viene attribuito un voto di comportamento inferiore a sei decimi, come previsto dall’ordinanza del Ministro Valditara. Questi interventi fanno sicuramente presa sull’opinione pubblica in quanto forniscono una risposta immediata e semplice a problemi che presentano una loro oggettiva complessità. Gli allievi che agiscono comportamenti disfunzionali o inadeguati provengono generalmente da contesti socio-familiari degradati e a loro volta disfunzionali. Se gli interventi di natura scolastica, come il voto in condotta ad esempio, non vengono accompagnati da misure extra-scolastiche di sostegno sociale alle famiglie che mirino ad allestire ambienti ricchi di relazioni e stimoli sul piano socio-emotivo e cognitivo in modo da innalzare la qualità dello sviluppo infantile e della società nel suo insieme, sono destinati a fallire e a configurarsi come rimedi settoriali che non tentano di affrontare alla radice i problemi sottostanti.
Valditara lega queste iniziative ad un ripristino di valori come rispetto e autorevolezza dei docenti e dell’istituzione scuola…
Se si vuole davvero “ripristinare la cultura del rispetto, affermare l’autorevolezza dei docenti delle istituzioni scolastiche secondarie di primo e secondo grado, rimettere al centro il principio della responsabilità e restituire piena serenità al contesto lavorativo degli insegnanti e del personale scolastico, come recita la legge 150/2024, cominci lo stesso Ministero a mettere in pratica questi principi sacrosanti, ad esempio evitando di emanare ordinanze sulla valutazione ad anno scolastico ampiamente avviato non avendo alcun rispetto per il lavoro già impostato dei docenti, oppure garantendo agli insegnanti una retribuzione equiparata alla media dei Paesi UE più avanzati, o ancora allestendo forme di reclutamento più serie e incisive.
Una pedagogista intervistata da Orizzonte Scuola, parla di docenti troppo affaticati dalla burocrazia e dallo stress dei genitori. Fatica che compromette la relazione insegnante-alunni. Condivide il pensiero?
Questo è assolutamente vero e comprensibile. Però bisogna stare attenti a non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. La scuola ha un estremo bisogno di essere sburocratizzata. Nel corso di questi anni si è riversata sulla scuola e sugli insegnanti una quantità incredibile di incombenze burocratiche che con la didattica hanno poco a che fare. Tra problemi legati alla sicurezza, alla privacy, al PNRR, alla redazione di relazioni e compilazione di schede varie, alla partecipazione a riunioni spesso inutili, si sta perdendo di vista lo scopo essenziale per cui la scuola esiste: la promozione e la cura dei processi di apprendimento e di insegnamento. La preoccupazione principale dei docenti dovrebbe essere quella di monitorare continuamente se gli studenti apprendono e socializzano e come questo avviene. Tutto il resto dovrebbe essere a supporto di questo basilare scopo, e non viceversa.
Non è possibile secondo lei che, spesso, è proprio da rintracciare in questo quadro estremamente stressante, la scelta di volersi affidare ad un voto numerico “riassuntivo?” per fare “contenti” tutti?
La valutazione, sotto questo profilo, assume un ruolo fondamentale per le ragioni che ho esposto prima e pertanto non può essere sacrificata per lasciare spazio a problemi tangenziali rispetto alla centralità di tale missione. Non è un’operazione semplice perché le sollecitazioni cui è sottoposta la scuola, in modo particolare dal Ministero, vanno nella direzione di un appesantimento burocratico e non certo in un alleggerimento dello stesso. Però va detto che le scuole spesso ci mettono del loro producendo a loro volta montagne di carta ancorché in forma digitale che soffocano la didattica. Occorre avere il coraggio di fare pulizia della zavorra burocratica che oggi ingessa i docenti, limitandosi a produrre in forma molto sintetica e sobria ciò che le norme richiedono e dando invece il giusto spazio alle questioni inerenti la didattica. E allora forse si avrà più tempo e si sarà più motivati a esplicitare le ragioni e i criteri che stanno dietro un voto numerico “riassuntivo”.