Giudici confermano licenziamento docente, non è un modello educativo positivo. Aveva falsificato certificati medici ma era stata prosciolta

Una docente veniva destituita dall’incarico di insegnante presso un liceo, in quanto aveva falsificato dei certificati medici. In sede penale viene prosciolta per prescrizione, quindi adisce la giustizia per vedersi revocare la sanzione disciplinare della destituzione che, al contrario, viene confermata: la Corte di Cassazione (Sezione Lavoro Civile, Sentenza 04 maggio 2021, n. 11634) ha evidenziato il dolo e l’uso di mezzi fraudolenti per ingannare il datore di lavoro, con comportamento ritenuto tale da compromettere la funzione di modello educativo che la figura del docente deve assumere verso gli alunni e nel contesto della comunità scolastica, oltre che inadeguato a chi svolga una pubblica funzione.
La falsificazione di certificati medici da parte della docente
Una docente di liceo era stata destinataria della sanzione disciplinare della destituzione. In sede penale era stato accertato, attraverso perizia grafica, che i certificati medici apparentemente rilasciati da un medico erano stati di fatto formati dalla docente, la quale era stata trovata in possesso di timbri e di numerose certificazioni sanitarie attestanti la necessità di periodi di riposo, predisposte su fogli scritti a mano.
La destituzione
Il Decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), all’articolo 498 disciplina la “Destituzione”
“1. La destituzione, che consiste nella cessazione dal rapporto d’impiego, è inflitta:
- per atti che siano in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione;
- per attività dolosa che abbia portato grave pregiudizio alla scuola, alla pubblica amministrazione, agli alunni, alle famiglie;
- per illecito uso o distrazione dei beni della scuola o di somme amministrate o tenute in deposito, o per concorso negli stessi fatti o per tolleranza di tali atti commessi da altri operatori della medesima scuola o ufficio, sui quali, in relazione alla funzione, si abbiano compiti di vigilanza;
- per gravi atti di inottemperanza a disposizioni legittime commessi pubblicamente nell’esercizio delle funzioni, o per concorso negli stessi;
- per richieste o accettazione di compensi o benefici in relazione ad affari trattati per ragioni di servizio;
- per gravi abusi di autorità”.
L’asserita mancanza di proporzionalità della destituzione rispetto al fatto
Nei primi due gradi di giudizio di merito, intrapreso dalla docente contro il MIUR, la stessa soccombe. Adisce quindi la Corte di Cassazione che rigetta tutte le doglianze. La donna, tra gli altri motivi, ha lamentato la mancanza di proporzionalità della sanzione, sottolineando l’assenza di vincoli derivanti dagli accertamenti penali, stante il sopravvenire della sentenza di proscioglimento per prescrizione. Per i giudici della Corte della Cassazione tale doglianza è inammissibile. Già la Corte d’Appello aveva ritenuto la fondatezza dell’addebito, sulla base della perizia del processo penale da cui emergeva la falsificazione delle firme e del sequestro dei timbri apposti sui certificati presso l’abitazione della ricorrente e della sorella. Su tale base, ha quindi evidenziato il dolo e l’uso di mezzi fraudolenti per ingannare il datore di lavoro, con comportamento ritenuto tale da compromettere la funzione di modello educativo che la figura del docente deve assumere verso gli alunni e nel contesto della comunità scolastica, oltre che inadeguato a chi svolga una pubblica funzione.
La compromissione della fiducia datoriale
Tali argomentazioni, in sé idonee sia ad integrare i generici presupposti di compromissione della fiducia datoriale, sono risultate coerenti con la previsione di cui all’art. 498 d.lgs. 297/1994 (lettera a: grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione; lettera b) attività dolosa che abbia portato grave pregiudizio – qui da intendersi come morale – alla scuola, alla pubblica amministrazione, agli alunni, alle famiglie) e sulla base di esse la Corte d’Appello aveva escluso che potesse avere rilievo la condotta tenuta successivamente alla cessazione della sospensione cautelare. A fronte di tale completa valutazione, la doglianza della docente è risultata infondata, insistendo sull’eccessività, sui comportamenti successivi e sul periodo di sospensione cautelare senza stipendio sopportato, con ciò mostrando di risultare essenzialmente finalizzato ad una rilettura del merito, sicuramente inammissibile in sede di legittimità.