Galimberti: “Eliminiamo la filosofia dalla scuola così la gente diventa più stupida e non si fa le domande”

Per una volta il professor Umberto Galimberti non ha parlato molto di scuola e non ha tuonato contro i professori, nella sua ultima, seguitissima uscita pubblica. Ma di studenti e di giovani sì, ha parlato. In Piazza dei Martiri a Carpi, nella giornata conclusiva del Festival della Filosofia di Modena, quest’anno dedicata alla parola, Galimberti ha parlato dei temi tanto cari a lui, con particolare riferimento allo strapotere della tecnica.
Il discorso di ieri di Galimberti si è imperniato attorno al contenuto del suo ultimo volume, intitolato “L’etica del viandante”, edito da Feltrinelli. “L’Occidente – si legge nel libro di Galimberti e questo concetto lo ha ribadito più volte ieri – ha due radici: il mondo greco e la tradizione giudaico-cristiana. Per quanto dischiudano orizzonti completamente diversi, entrambi descrivono un mondo dotato di ordine e stabilità. Ma noi viviamo nell’età della tecnica. È finito l’incanto del mondo tipico degli antichi. È finito anche il disincanto dei moderni, che ancora agivano secondo un orizzonte di senso e un fine. La tecnica non tende a uno scopo, non apre scenari di salvezza, non svela la verità: la tecnica funziona.
L’etica, come forma dell’agire in vista di fini, celebra la sua impotenza”. Il mondo è ora regolato dal fare come pura produzione di risultati. “L’unica etica possibile”, si legge nel libro di Galimberti, è quella del viandante”. Non si parla del viaggiatore, che ha in testa una meta, ma del viandante: “A differenza del viaggiatore – si precisa– il viandante non ha meta. Il suo percorso nomade, tutt’altro che un’anarchica erranza, si fa carico dell’assenza di uno scopo. Il viandante spinge avanti i suoi passi, ma non più con l’intenzione di trovare qualcosa, la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza. Cammina per non perdere le figure del paesaggio. E così scopre il vuoto della legge e il sonno della politica, ancora incuranti dell’unica condizione comune all’umanità: come l’Ulisse dantesco, tutti gli uomini sono uomini di frontiera”. Ma oggi? “Oggi l’uomo sa di non essere al centro. L’etica del viandante si oppone all’etica antropologica del dominio della Terra. Denuncia il nostro modello di civiltà e mette in evidenza che la sua diffusione in tutto il pianeta equivale alla fine della biosfera. L’umanesimo del dominio è un umanesimo senza futuro. Il viandante percorre invece la terra senza possederla, perché sa che la vita appartiene alla natura”.
Ma la tecnica ci domina e domina tutto, domina il presente e ipoteca il futuro. Non si preoccupa del cosa, si interessa del come. Mentre la politica e l’etica si interrogano e si preoccupano del se, la tecnica si interessa del come fare per. “Si pensi ai calcoli e ai professori a scuola”, ecco un accenno del filosofo alla scuola: “I professori devono applicare il programma scolastico, e se applicano il programma sono a posto. Se invece perdono un po’ di tempo per capire che cosa succede ai propri studenti nell’età dell’adolescenza allora vanno nei guai”. Un po’ come succede ai medici: se applicano un protocollo medico nessuno li contesta nel caso il paziente crepi, anche se si sapeva che c’erano poche probabilità, nel suo caso, di sopravvivere con quel protocollo, ha sintetizzato Galimberti, mentre se un medico cerca alternative a quel protocollo sono guai per lui.
Non c’è dunque speranza, nell’età della tecnica, che “non è più un mezzo ma un mondo”. E questo cosa significa? “Significa che la tecnica non apre scenari di salvezza, non dice la verità. La tecnica si preoccupa di funzionare, come detto. Ma noi, ecco un altro spunto per la scuola, “eliminiamo la filosofia dalla scuola così la gente diventa più stupida e non si fa le domande”. Poi, citando Hegel, ha un momento di sconforto guardando la platea immensa che ha davanti”: Non so, dice, “quanti sappiano chi sia Hegel visto il livello culturale in cui siamo arrivati”. E ancora, altra linfa per lo sconforto: “Si fa fatica ad aprire un libro. La morte dei libri è la morte della cultura. Una volta pochi sapevano leggere e scrivere, oggi tutti sanno leggere ma il 70 per cento delle persone sa leggere ma non capisce”.
Le critiche al sistema educativo sono sempre state oggetto del suo interesse e degli interventi del filosofo Galimberti. Durante una conferenza tenutasi a Merate lo scorso marzo, come abbiamo riferito nei giorni scorsi, ha esposto le sue vedute, generando un dibattito acceso. Nel corso della conferenza intitolata “Fragilità di un sistema educativo: genitori e insegnanti incapaci di trovare risposte”, Galimberti ha esplorato il crescente disagio che affligge i giovani italiani: una generazione vista come priva di direzione e ancorata a valori labili. Secondo lui, la causa principale risiede in un sistema educativo obsoleto che non risponde alle reali necessità dei giovani. Scuole e famiglie sembrano essere le principali colpevoli, generando un circolo di fallimenti che si riflettono direttamente sulla giovane generazione. Particolarmente sferzante è stato il suo giudizio sulla scuola media italiana, descrivendola come “la parte più disastrata” dell’intero sistema. Un dato choc: solo il 10 per cento dei docenti di questa fascia sarebbe realmente competente”. Galimberti dipinge un quadro di una scuola che, pur cercando di istruire, non riesce ad educare, con un corpo docente che appare demotivato. Per invertire questa tendenza, ha avanzato proposte audaci come l’introduzione di test di personalità per gli insegnanti e corsi di teatro per potenziare le loro competenze comunicative.
Tuttavia, la scuola non è l’unico bersaglio delle sue critiche. Il filosofo, come abbiamo riportato in un precedente servizio relativo a una bella conferenza tenuta sempre a Modena, i cui temi sono stati poi rilanciati più volte da giornali e sono tuttora ripresi sui social, ha evidenziato un profondo scollamento tra genitori e figli, con i primi spesso più concentrati a colmare un vuoto materiale piuttosto che emotivo e formativo.
Ma i genitori, aveva tuonato Galimberti, “devono difendere sempre gli insegnanti altrimenti minano la sfera dell’affettività e dunque la crescita dei loro figli. Alle maestre occorrerebbe dare lo stipendio dei professori universitari perché fanno un lavoro pazzesco. Occorrono insegnanti affascinanti ma oggi il ragazzo si deve ritenere fortunato se su nove docenti ne ha due carismatici”. “Occorrono insegnanti affascinanti ma non è così. Oggi il ragazzo si deve ritenere fortunato se su nove docenti ne ha due carismatici, e questo è un grosso problema. Prima di essere mandati in cattedra, gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità, per comprendere se hanno la passione dell’insegnamento, ma da parte loro i genitori devono mettersi in testa che i docenti devono essere difesi. Sempre”. “Le maestre vanno difese, sempre”, aveva insistito. “Quando i bambini vanno a scuola sviluppano nuovi binari di affettività, soprattutto quello bambino-maestra”. Altro che aggredire gli insegnanti con pugni e calci, magari davanti a loro. “Se i genitori parlano male delle maestre devono sapere che stanno violentando la sfera dell’affettività del bambino. Una delle prime manifestazioni della schizofrenia, che notiamo alla fine dell’adolescenza, è la scissione dell’affettività. Non diventano tutti schizofrenici ma certo questa cosa non contribuisce alla sfera armonica dell’affettività. Se uno parla male dell’altro, poi il bambino non ci si fida di nessuno, ma poi non ci meravigliamo che da più grandi combina dei guai e lo troviamo a lanciare sassi dai cavalcavia o a fare il bullo. I genitori devono mettersi in testa che devono difendere le maestre, sempre. Fanno un lavoro pazzesco, io darei lo stipendio da professori universitari alle maestre e quello delle maestre ai professori universitari”. Bisogna stare sempre dalla parte delle maestre, dunque, “e anzi espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge. E alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a scuola senza protezioni, lo scenario è diverso, devono imparare a vedere che cosa sanno fare senza protezione. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell’indolenza che vediamo in età adulta. E la si finisca con l’alternanza scuola lavoro, a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? E’ folle. Guardiamo sui treni: mentre in altri Paesi i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole? Non si pensa o si pensa poco se non si hanno le parole”.
La scuola è pensata per i bambini, per i ragazzi, per i giovani. Il futuro stesso è pensato per i giovani. Ma che futuro hanno i giovani di fronte allo scenario che ha appena descritto e con una tecnica scollata dalla politica e dall’etica? “Il futuro? I giovani non hanno nessun futuro”, sentenzia Galimberti al termine della conferenza di Carpi davanti alle telecamere di Modena in diretta. “E sono convinto – conclude il filosofo – che i giovani bevono e si drogano non tanto per il piacere che possono dare questi fattori, quanto piuttosto come anestetico, per anestetizzarsi cioè dall’angoscia che provano quando porgono lo sguardo sul futuro e allora vivono ventiquattro ore su ventiquattro in presa diretta sull’assoluto presente”
Sullo sfondo immaginario e pratico scorrono intanto e impetuose le preoccupazioni e le ansie per lo stato comatoso del pianeta e per i processi migratori sempre più pressanti e incontrollabili. Processi che rappresentano per molti un’emergenza. “Le migrazioni – obietta Galimberti – vengono a raccontarci quello che ci nascondono da sempre. Le migrazioni sono la storia eterna dell’essere umano, non l’emergenza”. D’altra parte, per quanto riguarda la crisi climatica, “occorre un capovolgimento del paradigma passando dall’antropocentrismo al biocentrismo, alla difesa della Terra”. Dobbiamo difendere la Terra, non la nazione dal nemico che sta oltre il confine, dice Galimberti. Il nemico non è l’altro, non è lo straniero: “Oggi l’umanità ha davanti a sé una sfida che non ha mai conosciuto, deve difendersi da se stessa e la difesa può venire solo dalla difesa della Terra, non dalla difesa della patria nativa. Per realizzarla occorre costruire un’etica cosmopolita”. “I ragazzi lo urlano – ed ecco nel finale uno scatto positivo: che bisogna salvare la Terra”.