Fusacchia: aumentiamo stipendio docenti del 50%, ma più selezione, valutazione e ruoli diversi. INTERVISTA
Alessandro Fusacchia è uno dei deputati più combattivi sul fronte della scuola. Un’esperienza al Ministero dell’Istruzione tra il 2014 e il 2016 (con l’allora ministra Stefania Giannini), poi l’elezione a deputato nell’attuale legislatura. Adesso è il segretario di Movimenta e nei giorni scorsi ha presentato una risoluzione, con altri venti deputati, per tornare a scuola il 1° settembre.
A Orizzonte Scuola, Fusacchia parla non solo della riapertura delle scuole, ma anche di assunzioni, didattica a distanza e concorso straordinario.
Onorevole Fusacchia, il ministro dell’Istruzione ha presentato le linee guida per la riapertura delle scuole a settembre a fine giugno. Troppo tardi? Quali sono le criticità che riscontra nel documento?
Diciamo che con la scuola non è mai troppo presto per programmare. Le linee guida hanno un buon impianto, perché valorizzano l’autonomia scolastica. Del resto, se non c’erano due scuole uguali prima del Covid-19, figuriamoci adesso: per trovare soluzioni su misura non si può rinunciare alla flessibilità. Detto questo, il ministero deve fornire subito tutti gli strumenti e le risorse che servono, altrimenti l’autonomia rischia di trasformarsi in abbandono. Abbiamo ancora in testa il miliardo in più promesso dal presidente Conte venerdì scorso, ma ricordo che il decreto Rilancio ha già stanziato un primo miliardo per la riapertura. La ministra Azzolina lo impegni subito e trasferisca risorse per venire incontro ai diversi bisogni delle scuole. Ci aggiungo altri due pezzi che non devono assolutamente essere sottovalutati
Il primo: servono deroghe e un’indicazione chiara ai dirigenti scolastici che potranno usare i margini di manovra concessi. Anche qui, serve un’ordinanza subito.
Secondo: il ministero deve accompagnare le scuole nel processo di maggiore autonomia. Non basta neppure, infatti, dare più risorse e deroghe, perché non tutti i dirigenti e gli insegnanti sono capaci allo stesso modo. Il ministero deve farsi garante che siano proprio le scuole con più difficoltà ad essere quelle maggiormente assistite.
Ha presentato una risoluzione per chiedere l’apertura delle scuole a settembre. Perché è davvero necessario riaprire subito gli istituti scolastici?
Nei giorni scorsi abbiamo presentato una risoluzione firmata da una ventina di colleghi di tutti i partiti di maggioranza per chiedere di tornare a scuola il primo settembre. Non mi convince l’argomento che dal primo settembre si riparta per chi deve recuperare e che tutti gli altri comincino solo due settimane dopo. Fa intendere che ci siano studentesse e studenti che dopo mesi di lockdown non hanno bisogno di “recuperare” nulla! Ma abbiamo capito che c’è un disagio sociale, psicologico ed emotivo diffuso che riguarda milioni di giovani? Come e quando ce ne facciamo carico? Ho capito da interlocuzioni informali che il Ministero non ritiene ci siano i tempi tecnici per completare le procedure di immissione in ruolo per poter riaprire il primo settembre. Chiediamo allora che si studino forme per cui il più alto numero di ragazze e ragazzi venga nuovamente preso in carico dalla comunità scolastica il prima possibile. Su questo faccio anche un appello a tutti i collegi docenti.
D’accordo sui test sierologici da effettuare a tutto il personale scolastico prima dell’inizio della scuola?
Sì, è un punto anche della nostra risoluzione. Chiaramente parliamo di test su base volontaria. Ci aggiungerei i tamponi per le zone più a rischio, la formazione di tutto il personale scolastico sulla gestione del contagio, e protocolli chiari su cosa fare in caso di insorgenza di nuovi focolai. Servirebbe poi un Piano di Emergenza immediatamente operativo. Se in autunno servirà richiudere le scuole, non basterà rifare solo quello che abbiamo fatto in primavera. La prima volta si fa quello che si può, la seconda quello che si deve.
3 miliardi per la scuola, bastano secondo lei?
Sembra la cifra magica della scuola. La prima volta questa somma fu stanziata con La Buona Scuola, che tanti a suo tempo osteggiarono e che oggi cominciamo a capire conteneva anche molte cose preziose, a partire proprio dal Piano Nazionale Scuola Digitale. Più di recente 3 miliardi sono stati chiesti dall’ex ministro Lorenzo Fioramonti. A suo tempo gli dissi che tuttavia non mi pareva avesse chiarito a sufficienza perché 3 miliardi. Intendo dire: perché 3 e non 2,5 o 5? Che servano più soldi, molti più soldi alla scuola, è evidente a tutti. Ma per quantificare serve capire cosa vogliamo farci con questi soldi in più. Posso dirlo? Se vogliamo ristrutturare per bene la scuola italiana 3 miliardi non bastano affatto. Uno dei nodi cruciali sta nel dimensionamento, e quindi nel numero di studenti per classe. Da lì si deve ripartire per ripensare la qualità della scuola. Andrebbe messo un tetto. Ipotizziamo 20, che sarebbe assolutamente ragionevole? Ecco, anche solo per fare classi di massimo 20 studenti servono svariati miliardi in più ogni anno. E poi ci sono gli arredi da cambiare per creare nuovi ambienti di apprendimento, il diritto alla connessione da garantire ad ogni minore del Paese, massicci piani di formazione dei docenti, esoneri per i collaboratori dei dirigenti scolastici, la costruzione di una vera carriera dei docenti, scambi per docenti e studenti con altri Paesi europei. E guardi, non le ho neppure citato l’edilizia scolastica e gli stipendi dei docenti. Arriveranno soldi dall’Europa: sostengo che il 20% di questi fondi vada alla scuola.
Ecco, proprio sugli stipendi, la ministra Azzolina ha parlato di un aumento per i docenti di circa 80 euro già da luglio. Secondo lei lo stipendio degli insegnanti è davvero commisurato all’impegno che svolgono?
Credo che il patto storico del dopoguerra tra Stato e docenti – che riassumerei in “ti pago poco, pretendo poco” – vada ripensato alla radice. A me piacerebbe dare ad ogni docente anche il 50% in più di quello che guadagna oggi, altro che 80 euro. Ma ripensando completamente ruolo e funzione docente, e stabilendo criteri chiari di selezione all’ingresso attraverso concorsi ben costruiti, che non sono le prove a crocette ma nemmeno le prove previste dai concorsi ordinari – ma qui c’è un tema generale più ampio sull’obsolescenza dei concorsi pubblici in Italia – e attraverso una valutazione lungo tutta la carriera. Costruita non sulla competizione tra docenti, ma sul miglioramento nel tempo di ciascun docente rispetto a se stesso. Senza queste trasformazioni profonde, non cambierà mai niente. Allora, però, smettiamola di dire che la priorità sono gli studenti.
La situazione dei supplenti a settembre rischia davvero di esplodere. Quale sarebbe la soluzione da attuare in tempi brevi?
Non esistono bacchette magiche. Soprattutto non esistono al primo luglio. Bisogna accelerare con le graduatorie provinciali e l’informatizzazione delle procedure e studiare misure che consentano di velocizzare le fasi più lente. La soluzione in generale sta sempre lì: più programmazione e più tecnologia. Di certo un problema del ministero è anche la mancanza di personale. Gli uffici scolastici regionali sono allo stremo in tempi normali, si immagini adesso. Anche in questo caso si tratta di un problema generale della Pubblica amministrazione italiana: c’è bisogno di più personale, giovane e innovativo, capace di studiare soluzioni nuove a problemi antichi. Personale fresco, formatosi nel Paese vero e in giro per il mondo, che entri nella PA non per fare le task force o da consulente, ma per assumere posti di comando nell’amministrazione. Ce l’abbiamo una classe politica capace di promuovere questa “rivoluzione da dentro”? Le assicuro: è l’unica conquista che cambierebbe davvero il Paese. Tutto il resto è solletico.
Come giudica l’esperienza della didattica a distanza? Docenti, studenti e famiglie hanno superato l’esame?
E se la chiamassimo didattica della quarantena? Perché vede, mi pare sia scattato un diffuso senso di repulsione verso la DAD e che il rischio adesso sia la nostalgia per la “scuola di un tempo”: una scuola idealizzata che nella realtà era piena di contraddizioni. La DAD ha avuto tanti limiti, ma è stata decisamente meglio di niente. Ce lo ricordiamo vero che per mesi l’alternativa non è stata tra DAD e scuola in presenza, ma tra DAD e niente? Adesso serve una ricognizione e valutazione di com’è andata, scuola per scuola, classe per classe. Ci teniamo a chi è rimasto indietro? Bene! Allora serve fare una ricognizione capillare per capire dove la DAD ha funzionato e dove no, così da intervenire in maniera puntuale. Per il resto, lo shock da Covid-19 ha costretto tutti a farsi qualche domanda sul proprio analfabetismo digitale: chissà che non sapremo trasformare una gigantesca crisi in una bella opportunità.
Concorso straordinario, lei si è detto contrario ad una selezione solo per titoli e servizi. Continua ad essere di questo avviso anche dopo l’accordo tra le forze della maggioranza?
Non mi risulta che la maggioranza abbia deciso di fare un concorso solo per titoli e servizi. Ha deciso di rimandare a dopo l’avvio del prossimo anno scolastico e di modificare la prova scritta. Continuo a pensare che il servizio svolto sia fondamentale e vada riconosciuto, e che l’esperienza nell’insegnamento – come in tutto nella vita – faccia la differenza. Credo pure, però, che da solo il servizio non basti. Sto dicendo che si misura il merito con test a crocette? Certamente no. Ma ricordo che la prova computer-base a risposte multiple era stata pensata in questo modo come facilitazione rispetto al concorso ordinario. Poi per carità, le ripeto: i concorsi, anche quelli ordinari, vanno ripensati in profondità, perché valutino chi è davvero capace di insegnare a ragazze e ragazzi che dovranno crescere in un mondo molto complesso e insidioso come quello di oggi.