Fioramonti ha fatto bene a gettare la spugna, i soldi si trovano se si vogliono trovare. Lettera

Inviata da Sergio Mantovani – Non fosse altro per la coerenza con quanto in precedenza annunciato, le dimissioni del ministro Fioramonti appaiono un atto apprezzabile, certo assai più di altre posizioni assunte o espresse dall’ormai ex titolare del dicastero dell’Istruzione.
Nel contempo, esse offrono lo spunto per qualche riflessione. Giustamente il ministro chiedeva al governo più soldi per istruzione e ricerca e un aumento decoroso dello stipendio dei docenti: quel famoso aumento a tre cifre per il quale c’era stato non molti mesi or sono un preciso impegno da parte di chi l’aveva preceduto in Viale Trastevere. Un aumento che, in quell’entità, di per sé già molto modesta – si parlava di 100 euro lordi mensili, poco di più in un’ipotesi ottimistica – appare oggi come una chimera. Probabilmente non è necessario ricordare che la retribuzione dei docenti italiani si colloca sui valori minimi europei e ai minimi anche tra le categorie della pubblica amministrazione del nostro Paese; forse non è invece scontato ricordare, anche a questo governo, che l’avvicinamento dello stipendio alla media europea rappresenta, oltre che un dovuto riconoscimento del sempre più difficile lavoro svolto dai docenti, anche uno dei capisaldi sui quali si fonda il processo di restituzione alla categoria di quella dignità e di quel prestigio che da molto tempo ha perduti.
Bene ha fatto Fioramonti, dunque, a gettare la spugna, se la giusta battaglia appariva ormai come una battaglia persa per mancanza di volontà da parte del governo (tutti sappiamo che i quattrini si trovano se si vogliono trovare, si veda per esempio il reddito di cittadinanza).
Mi chiedo invece e nel contempo come vada interpretata, in questa battaglia, la funzione di chi sta per ruolo dall’altra parte della barricata, a pungolare politici e governi. Ancora una volta, se non mi sono perso qualcosa, mi pare che la voce dei sindacati – quelli “storici” soprattutto – sia stata finora troppo flebile, talvolta un sussurro quasi impercettibile.
Come su altri fronti, del resto. Appare per esempio grottesco che il primo scatto stipendiale rimanga ancora fermo a 9 anni dall’assunzione – si trovi un altro contratto collettivo con un’aberrazione del genere – ma anche in questo caso non pare che i sindacalisti si strappino i capelli. Non che si voglia a tutti i costi udire il clangore delle spade, ma è pur vero che il tono dei sindacati appare sovente così basso da non far minimamente percepire che vi sia in corso una battaglia aspra quanto può esserlo quella che vede al centro la rivendicazione della dignità di una categoria professionale di cruciale importanza per il Paese. E mentre si prepara un gennaio caldo di rinnovi contrattuali e di scioperi, nella scuola l’unica “agitazione” sembra essere quella di Fioramonti. Una situazione obiettivamente surreale.
I bancari, in una fase molto critica per il loro settore, sono appena riusciti a ottenere 190 euro medi mensili di aumento. In questo contesto la forbice retributiva tra gli insegnanti e le altre categorie – anche meno qualificate, sul piano dei titoli – non solo non appare destinata a ridursi ma, al contrario, sembra sulla via di allargarsi ulteriormente.
E’ comunque verosimile che se i docenti italiani occupano saldamente da molti lustri una posizione sull’ipotetico podio delle categorie professionali più bistrattate d’Italia – certamente è così nel rapporto tra la qualifica e la retribuzione – i sindacati abbiano una corresponsabilità importante. Una diversa ipotesi andrebbe a cozzare fragorosamente contro il buon senso, contro la storia del nostro Paese – quante categorie in Italia hanno ottenuto finanche più di quanto sarebbe stato giusto – e perfino contro la matematica, nella sua declinazione del calcolo delle probabilità.
L’impressione che si ha talvolta è che ai sindacati – ad alcuni senz’altro – interessi del resto e da tempo quasi solo la questione sempre viva della stabilizzazione, ad ogni costo, dei precari. Sottolineo “ad ogni costo” perché sul fatto che il precariato nella scuola sia un problema importante non vi sono dubbi, mentre ne sussistono riguardo alle modalità di risoluzione del problema stesso. Problema che troppo spesso in Italia è stato affrontato a colpi di sanatorie, talvolta e ancora recentemente presentate sotto mentite spoglie. E credo non vada sottaciuto che a quest’ultimo aspetto si ricollega anche quello retributivo, se è vero che una rigorosa selezione del personale – sempre, non a intermittenza – pone la prima pietra nel difficile processo di (ri)costruzione della credibilità e dell’autorevolezza dell’intera categoria, fondamentale anche e a maggior ragione quando si tratta di sedersi al tavolo negoziale per conferire allo stipendio del docente quantomeno il carattere del decoro.