Festività pasquali: come stanno trascorrendo questi giorni i nostri studenti? Lettera

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Inviata da Simone Billeci – In questi giorni di vacanza pasquale, mentre le aule restano vuote e gli studenti godono di una pausa apparentemente rigenerante, mi trovo — da docente — a osservare con crescente inquietudine ciò che accade fuori dalle mura scolastiche. Non parlo di chi sceglie il riposo, il tempo in famiglia, la riflessione.

Parlo di ciò che emerge in modo lampante e, direi, preoccupante, dai social: immagini di eccesso, di superficialità, di ostentazione. Giovani immersi in un’estetica del vuoto, catturati da una logica dell’apparenza che riduce ogni gesto a contenuto da condividere, ogni corpo a oggetto da esibire, ogni momento a spettacolo da monetizzare in consensi.

E davanti a tutto questo, mi interrogo con severità non tanto su ciò che fanno i ragazzi — che, in fondo, stanno cercando sé stessi, come ogni generazione prima di loro — ma su ciò che non sta facendo la scuola. Perché il punto è proprio questo: la scuola, oggi, tace troppo spesso. Assiste. Registra. A volte si scandalizza, ma quasi mai si assume fino in fondo la responsabilità educativa che le spetta.

Ci riempiamo la bocca con parole come “educazione civica”, “benessere”, “crescita integrale della persona”, ma nella pratica quotidiana sembriamo rassegnati a un ruolo marginale. Ci accontentiamo di trasmettere competenze, di correggere verifiche, di sopravvivere tra mille adempimenti burocratici, lasciando sempre meno spazio a ciò che dovrebbe essere il cuore del nostro mestiere: educare.

Come scuola, abbiamo smesso troppo spesso di interrogarci sul mondo che i nostri studenti abitano fuori. Siamo ancora convinti che basti una lezione di due ore sulla sicurezza online per contrastare anni di esposizione continua a modelli tossici? Crediamo davvero che qualche intervento sporadico sulla “gestione dei social” possa incidere in profondità su adolescenti che formano la loro identità davanti allo schermo, giorno dopo giorno, senza alcuna guida adulta stabile?

La verità è che la scuola, per troppo tempo, ha accettato di essere un contenitore neutro. Un luogo in cui si fa ciò che “serve” per gli esami, ma non ciò che conta per la vita. Abbiamo smarrito il coraggio di proporre valori, di offrire alternative, di fare resistenza culturale. Eppure sarebbe proprio compito nostro fornire strumenti per leggere criticamente la realtà, decodificare i messaggi, distinguere il necessario dal superfluo, il vero dal falso, il profondo dal superficiale.

Dunque no, non mi sorprende più di tanto ciò che vedo sui social in questi giorni. Mi colpisce, sì, ma non mi stupisce. È il frutto di un vuoto educativo che noi adulti, e la scuola in primis, abbiamo contribuito ad alimentare. Un vuoto che abbiamo lasciato riempire da altri: influencer, algoritmi, mode passeggere. Per troppo tempo abbiamo chiesto ai ragazzi di “fare attenzione”, senza però insegnare loro a cosa prestare attenzione. Abbiamo parlato di “libertà”, ma non abbiamo fornito una bussola etica. Abbiamo elogiato l’autonomia, ma li abbiamo lasciati soli nel mare aperto della rete.

È ora di svegliarci. La scuola non può più permettersi il lusso della timidezza educativa. Non possiamo limitarci a lavorare sulle discipline, pensando che il resto sia “compito delle famiglie” o “della società”. Perché intanto la società sta cedendo, e molte famiglie sono smarrite. Se non ci assumiamo noi la responsabilità di offrire visione, discernimento, resistenza al conformismo, chi lo farà?

Le immagini che scorrono sui social non sono solo uno “scandalo giovanile”, sono uno specchio doloroso del nostro fallimento. E se oggi ci troviamo a dire, con un misto di amarezza e frustrazione, che forse era meglio se fossero rimasti a scuola, dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che quella scuola, per essere davvero un’alternativa, deve prima di tutto cambiare sé stessa.

Servono docenti coraggiosi, dirigenti lucidi, programmi che non temano di toccare la complessità del presente. Serve una scuola che torni a essere luogo politico, nel senso più alto del termine: uno spazio dove si forma la coscienza, dove si costruisce l’umano, dove si insegna a stare nel mondo con consapevolezza.

Se vogliamo davvero essere presenti nella vita dei nostri studenti, dobbiamo smettere di essere semplici spettatori. Perché l’educazione non accade per inerzia. E non si fa solo in orario scolastico.

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