Fedeli, più soldi ai docenti. Anief, non ci sono neppure gli 85 euro promessi

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Anief – Al sindacato piace quando la Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli parla da sindacalista e dice che occorre “rimotivare” gli insegnanti con buste paga adeguate, perché “quella dei docenti non può essere la professionalità meno pagata nel pubblico impiego”.

Aggiungendo che “il riconoscimento deve essere anche economico. E noi su questo ci impegneremo”. Sarebbe il giusto riconoscimento a una delle professioni più penalizzate negli ultimi decenni. Tra le intenzioni della Ministra e la realtà, tuttavia, ce ne passa: lo sanno bene gli addetti ai lavori, tanto che oggi Orizzonte Scuola scrive che “le somme in campo, cioè l’aumento di 85 euro lordi in media, più il bonus 500 euro e l’eventuale bonus merito, sembrano essere sempre quelle. Somme che non sembrano soddisfare il personale della scuola”.

Ma c’è di più. Perché, a dire la verità, sarebbero a rischio anche gli 85 euro su cui organizzazioni sindacali rappresentative e Ministero della Funzione Pubblica hanno trovato l’accordo quasi un anno fa a Palazzo Vidoni. A dirlo, senza troppi eufemismi, è stato il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, ammettendo che per la Legge di Bilancio 2018 “le risorse sono pochissime dati i vincoli di bilancio. Il Pil è migliorato ma non in modo tale da allentarli in modo significativo”.

“Ora, a fronte di prospettive così modeste a livello di risorse finanziare da inserire nella Legge di Bilancio – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – viene da chiedersi per quale motivo si continua a dire che ai docenti va dato un riconoscimento economico adeguato. I nostri insegnanti della scuola pubblica non hanno bisogno di auspici impossibili da portare a termine: sanno già molto bene che guadagnano meno di tutti in Europa dopo i colleghi di Grecia e Slovenia. Questi non sono, del resto, semplici opinioni ma dati statistici purtroppo ufficiali, emessi da organismi super partes”.

“Noi, abbiamo calcolato che per adeguare gli stipendi all’inflazione e praticare un aumento minimo soddisfacente, il Governo deve trovare 12 miliardi di euro. Invece, ammesso che si trovino, si arriverà nel migliore dei casi a 2,7-2,8 miliardi complessivi. Di questi, tra l’altro, manca anche una terza tranche, la più corposa, pari a 1,5-1,6 miliardi, sui cui cominciano a esserci seri dubbi di stanziamento, confermati dalle parole di Padoan. A tutt’oggi, quindi, i fondi già disponibili arriverebbero a coprire appena 36-37 euro lordi: dire che è una miseria, dopo nove anni di blocco contrattuale, è poco. A queste condizioni – conclude Pacifico – è evidente che non bisogna accettare la proposta ma andare di corsa in tribunale, per chiedere pure gli arretrati”.

Anief-Cisal ricordano che gli arretrati vanno conferiti ai dipendenti pubblici dal mese di settembre 2015, come confermato dalla Corte Costituzionale. In pratica, va recuperato immediatamente il 7% dello stipendio rispetto al 14% perso negli ultimi decenni. Si tratta del valore percentuale dell’inflazione certificata, aumentato dal 2008, anno di blocco del contratto, e il 2015, anno del possibile sblocco. Si tratta non di spiccioli, ma di cifre importanti: 105 euro in media mensili che potrebbero percepire proprio se si sbloccasse quell’indennità, più altrettante legate al rinnovo vero e proprio del contratto vita natural durante. L’incremento netto in busta paga dovrebbe attestarsi, quindi, tra le 210 e le 220 euro.

È sempre possibile inviare formale diffida al Miur oppure aderire direttamente al ricorso al giudice del lavoro, in modo da recuperare almeno il 7% degli ultimi due anni di quell’indennità di vacanza contrattuale sottratta in modo illegittimo e interrompendone anche i termini di prescrizione.

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