Fare il genitore oggi non è semplice, non si possono più imitare i modelli dei nostri padri. Genitori avvocati e la scuola che si chiude a riccio

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Le parole di Paolo Crepet, nell’intervista rilasciata a Orizzonte Scuola (leggi qui), hanno acceso nuovamente il dibattito su una carenza educativa puntando il dito in particolare verso i genitori e mettendo in risalto che la famiglia è un soggetto che sempre più spesso abdica al proprio ruolo trovando, di frequente, punti di scontro con le altre istituzioni educative, a cominciare dalla scuola. I genitori, almeno in molti casi, non sono più in grado di porre il limite, di mettere quei paletti che delimitano la strada che i propri figli devono percorrere, e si tende ad essere troppo protettivi verso di loro dimenticando che si cresce nella relazione, nel confronto e nell’imparare a gestire i propri comportamenti.

Ma in una società che diviene progressivamente più complessa, il ruolo dei soggetti coinvolti nell’educazione dei più piccoli diventa sempre più importante, tanto da parlare di “comunità educante” proprio per far comprendere la vastità dei soggetti coinvolti. Se facciamo un’attenta analisi, partendo in particolare dagli ultimi 15/20 anni, noteremo come ad essere in crisi sia innanzitutto l’alleanza scuola-famiglia, quella che dovrebbe essere il perno sul quale costruire la comunità educante. Allora cosa fare?

La fragilità dei ragazzi di oggi.

Fare il genitore oggi non è semplice, non è più sufficiente replicare il copione educativo ereditato dai propri genitori perché oggi si è aggiunto il mondo digitale ed è un mondo che viviamo quotidianamente e che stiamo scoprendo solo ora, ma l’assenza delle figure genitoriali ha delle serie conseguenze sui propri figli. È un dato evidente che oggi i ragazzi siano più fragili, il fenomeno dei NEET, ovvero dei ragazzi che non studiano, non lavorano e non ricevono formazione, è costantemente in crescita, per non parlare delle varie fragilità psicologiche. Il Professor Galimberti parla di un disagio dei giovani nell’età del nichilismo, di un futuro senza prospettiva che è scarsamente motivante. Manca il fine, manca la risposta al perché e questo disorienta i ragazzi nelle scelte. A cosa serve studiare? Quale sarà il mio futuro dove non vi è più nessuna certezza? Non è facile comprenderlo per chi viene da una società dove la fine degli studi universitari coincideva quasi sempre con un percorso lavorativo. La mancanza di certezze, invece, la stiamo sperimentando un po’ tutti, anche i più adulti, con il rischio di trovarsi esclusi da un mondo che cambia in maniera sempre più repentina, in quella che Bauman definisce società liquida. Non esistono ricette magiche, ma strategie adattive sì, ed è questo oggi il compito educativo, più che protezione bisogna fornire ai ragazzi una “cassetta degli attrezzi” che gli permetta di sapersi adattare agli sviluppi futuri, che sono imprevedibili, e avere il giusto equilibrio cognitivo ed emotivo per affrontare queste sfide. Oggi l’educazione andrebbe ristrutturata soprattutto sulla crescita emotiva, da sempre trascurata a vantaggio di una crescita cognitiva privilegiata negli ambienti scolastici. Si tratta di promuovere nei ragazzi lo sviluppo di una coscienza critica, che gli permetta di prendere le proprie decisioni in autonomia, consapevoli delle proprie responsabilità nel bene o nel male. Comprendere che il gesto che si è appena compiuto sia buono o cattivo oggi non è più così scontato proprio perché manca una risonanza cognitiva ed emotiva.

Cosa evitare: La scuola che si chiude a riccio e i genitori “avvocati”.

Per far ripartire l’alleanza tra scuola e famiglia è necessario superare alcune criticità che sono alla base della situazione attuale. I principali comportamenti da evitare sono la chiusura a riccio della scuola e la difesa a prescindere dei genitori nei confronti dei propri figli. La continua sensazione di sfiducia da parte dei genitori porta sempre più spesso dirigenti scolastici e professori a cercare di difendersi dal confronto con loro, in particolare con quelli più aggressivi, rifiutando il dialogo e trincerandosi dietro barricate che non permettono una sana discussione. Di certo la crisi pandemica legata al Covid-19 non ha aiutato in questo senso, anzi ha acuito la distanza tra scuola e famiglia che, in questo caso per ragioni sanitarie, non si sono più incontrati vis a vis. Di contro i genitori nel tempo sono diventati sempre più difensori a prescindere dei propri figli, mettendo in discussione il ruolo dei docenti. Questi atteggiamenti sono deleteri per la formazione e la crescita degli alunni, in particolare dei bambini. Lo scontro tra genitori e docenti, soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella primaria, crea nei bambini una crisi di fiducia nelle figure di attaccamento, infatti dopo i genitori la prima figura affettiva ed educativa a cui si attaccano i bambini sono proprio le maestre, è qui che i bambini hanno la prima divaricazione dell’affettività. Ce lo spiega bene il Professor Galimberti quando dice che se un genitore parla male della maestra si inserisce in quella disarticolazione mettendola in contraddizione e creando nel bambino una crisi non sapendo di chi si deve fidare, in pratica mettiamo in crisi la prima socializzazione, la prima diversificazione affettiva dei bambini. Ma il Professor Galimberti va oltre affermando che quando si spacca l’affettività poi questo può portare anche a malesseri importanti come la schizofrenia, perché i mali affettivi non si correggono come i mali mentali.

Fuori i genitori dalla scuola?

Sono diversi ed autorevoli gli esperti che suggeriscono una scuola senza genitori, ma cosa ha portato a questa posizione? Per il Professor Galimberti i genitori, soprattutto per la scuola secondaria di secondo grado, non dovrebbero proprio stare nella scuola, più interessati al voto che alla reale educazione dei propri figli. Sulla stessa linea il Professor Crepet che parla di una scuola basata su un sano confronto tra gli studenti ed i docenti. partendo dalle affermazioni di Crepet e Galimberti potremmo affermare che è proprio l’approccio sbagliato dei genitori ad amplificare la fragilità dei ragazzi. Se viene valorizzato solo il risultato finale della performance scolastica decade tutto il processo pedagogico che ne è alla base. Conta solo il voto, ma non si tiene conto di tutto il processo cognitivo ed emozionale che c’è alla base ed ecco che cresce nei ragazzi un disagio da ansia da prestazione, soprattutto negli alunni con un buon rendimento scolastico, per i quali un brutto voto rappresenta un fallimento e non un punto di partenza. Ma l’errore è un elemento fondamentale durante la crescita e la formazione, l’errore ha un importante valore educativo che permette di comprendere come procede l’apprendimento e dove porre le eventuali azioni correttive, se non si può sbagliare a scuola, dove si va per imparare, che senso hanno la scuola come istituzione e gli insegnanti nel loro ruolo educante?

Una scuola in crisi.

Ma se è vero che i genitori hanno le proprie responsabilità di questa crisi, anche la scuola deve assumersi la responsabilità delle proprie mancanze. Il nostro modello educativo è ancora grosso modo basato su quello del ‘900, un modello che sta dimostrando tutti i suoi limiti e che possiamo considerare ampiamente superato. È necessario ripensare ad una scuola più moderna, legata alle nuove esigenze di una società in continua mutazione. Abbiamo bisogno di una scuola capace di leggere i cambiamenti e costruire un’educazione efficace che permetta una crescita equilibrata dei propri allievi, sia sugli aspetti cognitivi che emotivi. I recenti episodi di cronaca denotano ragazzi con una sempre minore risonanza emotiva, incapaci di dare un significato reale delle proprie azioni. Proprio per questi motivi è necessario che la scuola educhi e non che si limiti ad istruire. Per fare ciò è necessaria una costante formazione dei docenti, sempre più chiamati a dare un senso ai cambiamenti della società. Ovviamente ci sarebbero tanti altri aspetti da analizzare del perché di una scuola in crisi, a cominciare dalle classi troppo numerose, ma che richiederebbe a parte un’ampia riflessione e analisi.

Ricostruire l’alleanza tra scuola e famiglia come punto di partenza.

Sono molti gli episodi che registrano un crescente conflitto tra docenti, genitori e alunni con questi ultimi che si spingono fino ad atti di aggressione veri e propri nei confronti dei docenti, per non parlare dei ricorsi alla magistratura amministrativa nei casi di bocciatura. Questi episodi denotano una crescente sfiducia della famiglia nei confronti della scuola e di insegnanti che sempre più spesso prendono decisioni di carattere educativo con il fine principalmente di tutelarsi, e non incorrere in questi spiacevoli episodi, che non spinti da ragioni di carattere pedagogico. Ma non bisogna far di tutta l’erba un fascio, se è vero che sono sempre più frequenti episodi negativi nei confronti dei docenti, è anche vero che c’è una maggioranza silenziosa di alunni e genitori che si relazionano quotidianamente con i docenti e cercano la costruzione della relazione educativa, di una collaborazione che porti ad una sana crescita degli studenti, anche se non è sempre facile. Il confronto porta in sé il doversi aprire ad un dialogo, se non si è disposti a modificare la propria posizione difficilmente si arriverà ad una sintesi che porti ad una corretta azione educativa. I genitori devono tornare a ricoprire un ruolo educativo che ad oggi hanno abdicato a favore di altre istituzioni, a cominciare dalla scuola, e devono riporre fiducia nelle istituzioni a cui affidano i propri figli. Se non torniamo ad una sana alleanza tra scuola e famiglia difficilmente si potrà realizzare il sogno di costruire una comunità educante, dove tutti contribuiscono alla crescita delle nuove generazioni. In fondo sarebbe il realizzarsi di quanto già ipotizzato in un antico proverbio africano nel quale si afferma che “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”.

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