Falsa attestazione di presenza a lavoro, condannato a 5mila euro e licenziamento. C’è danno all’immagine della Pubblica Amministrazione? Cosa dice la Corte dei Conti

Il caso in commento, che interessa tutti i dipendenti pubblici per i principi affermati, riguarda un fatto con il quale la Procura regionale ha convenuto in giudizio il dipendente di un Comune per sentirlo condannare, a titolo di responsabilità dolosa, al risarcimento del danno asseritamente cagionato al predetto ente locale, nell’ammontare di 5mila euro in relazione ad un licenziamento avvenuto per falsa attestazione di presenza in servizio. Si pronuncia la Sezione Giurisdizionale Liguria della Corte dei Conti, con sentenza n. 45/2022.
Il danno all’immagine nel caso di accertata dolosa o colposa inadempienza lavorativa
In termini generali, in giurisprudenza si è affermato che in presenza di accertata dolosa o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa il danno è quanto meno pari alla spesa sostenuta dalla P.A. datrice di lavoro per la retribuzione complessivamente erogata a favore del dipendente, fatti salvi gli ulteriori eventuali danni che possono essere stati causati, a motivo della assenza ingiustificata, nella gestione dei servizi ai quali il predetto dipendente era addetto (ex aliis, Sez. Toscana, n. 314/2020). La fattispecie di danno in questione è stata inoltre espressamente riconosciuta dal legislatore che, nel tipizzare la stessa, ha stabilito che il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione (art. 55-quinquies, c. 1-2, d.lgs. n. 165/2001).
Ma il danno all’immagine può essere riconosciuto solo in casi specifici
Osserva la Corte che nella giurisprudenza del giudice costituzionale è stato posto il principio per cui la risarcibilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione è circoscritta a casi specifici (Corte cost., n. 191/2019). Da siffatta limitazione -che è il frutto di una scelta legislativa discrezionale, spettando al legislatore conformare, anche sotto il profilo processuale, le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui ritiene di dover fare fronte (Corte cost., n. 355/2010)- discende che compito dell’interprete è essenzialmente quello di individuare i casi specifici in cui sia ammessa la risarcibilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione.
Il danno all’immagine nel caso di false attestazioni di servizio
Nelle fattispecie di false attestazioni di servizio dei dipendenti pubblici, è il legislatore ad avere tipizzato la risarcibilità del danno all’immagine. A mente dell’art. 55-quinques, c. 2, del d.lgs. n. 165/2001, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, è obbligato a risarcire tanto il danno patrimoniale, quanto il danno d’immagine di cui all’articolo 55-quater, c. 3-quater del medesimo decreto.
Quest’ultima disposizione normativa, nella parte in cui prevede (va) una nuova fattispecie di natura sostanziale, comprendente anche le modalità di stima e quantificazione del danno all’immagine, intrinsecamente collegata con l’avvio, la prosecuzione e la conclusione dell’azione di responsabilità da parte del procuratore contabile, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per eccesso di delega (Corte cost., n. 61/2020). Per effetto di tale pronuncia della Corte delle leggi, il danno reputazionale conseguente a false attestazioni in servizio dei dipendenti pubblici è stato attratto nell’alveo della disciplina generale del pregiudizio all’immagine della pubblica amministrazione, pur mantenendo il carattere speciale e pertanto sganciato dal previo giudicato penale di condanna (ex aliis, Sez. Calabria, n. 265/2020; Sez. III appello, n. 161/2018).
A tale stregua, in punto di quantificazione del danno, non può non trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 1, c. 1-sexies, della legge n. 20/1994, e dunque la presunzione legale che, salvo prova contraria, delimita il danno al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.
Si deve considerare infondato il danno all’immagine se incentrato solo sul licenziamento
Nel caso di specie è stato ritenuto pertanto affermato che è da considerarsi infondato il danno all’immagine nel caso specifico incentrato sull’avvenuto licenziamento del dipendente, in quanto la risarcibilità del danno all’immagine è circoscritta a casi specifici (Corte cost. 191/2019). La procura invece sosteneva che a nulla rileverebbe che della vicenda non si sarebbe occupata la stampa, in quanto il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione deriverebbe dal comportamento illecito del dipendente, e non dalla negativa eco che del medesimo comportamento abbia dato la stampa.