Essere senza voce. Perché, in materia di scuola, non si ascoltano mai le ragioni, le istanze, le perplessità di chi vi lavora? Lettera

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Inviata da Ilaria Rizzini – Benché la decisione di scrivere queste righe sia scaturita dalle vicissitudini che hanno coinvolto l’IIS “Taramelli Foscolo” di Pavia nel corso dell’a.s. 2023/2024, la mia riflessione non si incentra sul destino di due licei di una piccola città lombarda: le micro-storie locali poco importano a chi non ne sia direttamente coinvolto, e la serie degli aneddoti inerenti alle disfunzioni della scuola italiana, se inanellati, sarebbe talmente lunga e drammatica da far risultare le vicende pavesi del tutto irrilevanti.

Molto di più mi preme assumere i fatti occorsi come riflesso di uno iato sostanziale tra due attori delle vicende scolastiche, il corpo docenti e la sfera dirigenziale (che sia provinciale, regionale o nazionale), di cui, il primo, attivo sul campo e impegnato nell’azione didattica (con tutte le difficoltà che ciò comporta, tanto note che è inutile elencarle in questa sede); la seconda, orientata esclusivamente all’espletamento di procedure burocratiche e al rispetto di diktat finanziari sempre più stringenti.

Anzi, vorrei alzare ulteriormente la posta: la nostra storia è emblematica, a mio parere, dell’assenza di consequenzialità tra la volontà del cittadino che, interpellato, si esprime, e la pubblica amministrazione, che agisce poi senza curarsi del parere pure sollecitato; dell’assenza di rispetto nei confronti del cittadino che, seguendo l’iter previsto, chiede appuntamento a un funzionario, e a cui non viene data alcuna risposta: non già affermativa, neppure negativa.

Semplicemente, il silenzio, come se tale richiesta non fosse mai stata inoltrata, né mai ricevuta. Dato che, tra le recenti imposizioni calate dall’alto, si annovera l’introduzione dell’Educazione civica come materia a sé stante, è di Educazione civica che qui intendo parlare: come insegnare il rispetto di istituzioni che, per prime, non rispettano? Credo che, di più frustrante dell’essere muti, ci sia solo il parlare con estrema chiarezza a qualcuno che, sistematicamente, non ascolti una singola parola.

Nel merito, le vicissitudini dell’IIS “Taramelli Foscolo” si possono riassumere in breve: tra ottobre e novembre del 2023, al Collegio Docenti è stato chiesto per ben due volte di esprimersi circa l’accorpamento con l’Istituto IPSIA “Cremona” di Pavia, procedura dettata da ragioni esclusivamente economiche, nell’ottica del cosiddetto dimensionamento.

Il Collegio docenti, e poi il Consiglio di Istituto, si sono espressi sempre, a schiacciante maggioranza, contro tale accorpamento, adducendo motivazioni didattiche (un liceo classico e uno scientifico presentano currricula del tutto diversi da quelli di un istituto professionale, e anche solo la progettazione di un comune Piano dell’offerta formativa porrebbe difficoltà notevoli). Si sa, però, che le esigenze della didattica e quelle finanziarie raramente (o quasi mai) sono compatibili, e che, ubi maiores, minores cessant.

Di lì a poco, nonostante la serie di pareri negativi richiesti e debitamente verbalizzati, l’accorpamento è stato deciso: a chi di noi chiedesse perché mai un diniego quasi unanime non fosse stato tenuto in alcuna considerazione, è stato risposto che l’iter giuridico prevede sì la consultazione degli organi suddetti, ma che l’esito di essa non è affatto vincolante.

Quale altro organo consultivo e deliberativo, in un sistema democratico, è chiamato a esprimersi venendo informato, a posteriori, che del suo parere non si terrà comunque conto, a meno che non coincida con quello dei “decisori”? Nel giro di pochi giorni, a cose fatte, la Corte dei Conti ha disposto il pensionamento della dirigente in carica (che tale accorpamento aveva fortemente voluto, e che non si era fatta latrice in alcuna sede dei pronunciamenti dei propri docenti).

La dirigente che, in quel difficile frangente, è stata scelta per assumere la reggenza dell’IIS “Taramelli Foscolo”, lungi dal limitarsi al disbrigo degli affari correnti, si è sobbarcata a un enorme carico di lavoro non solo per riallineare le due scuole su standard di liceità formale, ma anche per permetterne un funzionamento più efficiente, per cogliere occasioni irripetibili (come l’implementazione di progetti finanziati dal PNNR), per rilanciare i due licei sul piano della proposta didattica (sì, “didattica”: aggettivo/sostantivo che, a chi dirige la scuola italiana, spesso suona ignoto, o comunque irrilevante).

Con il passare dei mesi, la reggente non solo ha lavorato senza posa (continuando ovviamente a dirigere anche la scuola di titolarità), ma ha creato con noi docenti un rapporto improntato alla chiarezza, alla correttezza, alla trasparenza, rendendoci partecipi di processi decisionali ove le delibere assunte trovavano attuazione nelle scelte operate, e restituendoci la sensazione di essere parte attiva di processi decisionali non solo formalmente espletati, ma anche concretamente agiti. In questo clima di rinnovata fiducia e, per molti di noi, di nuovo slancio, anche i più disincantati (tra cui annovero me stessa) hanno cominciato a pensare che il timone della scuola fosse finito in mani davvero adeguate: quelle di una persona integerrima, competente, capace di rendere meno difficile anche l’attuazione dell’accorpamento tanto paventato.

Una persona che ascoltava e capiva e parlava anche la lingua della didattica, e che non intendeva sacrificare questa sfera (per noi centrale) a mere procedure burocratiche. Una persona che trovava normale che chi lavori venga retribuito in tempi non biblici (mi limito a una piccola parentesi: le ore aggiuntive a qualsiasi titolo prestate, e le attività ascrivibili ai capitoli “progetti” o “Fondo integrativo di Istituto”, negli ultimi anni, dal nostro DSGA sono state liquidate mediamente con nove mesi di ritardo sui tempi normalmente previsti).

Nulla di più naturale, dunque, che, con l’appressarsi del tempo in cui si sarebbe stabilito a chi conferire l’incarico di dirigente del neonato istituto “Taramelli Foscolo Cremona”, a noi tutti sembrasse che la scelta dovesse cadere sulla reggente in carica: sapevamo che ella non era in scadenza di mandato, ma dalla normativa in materia di mobilità dei dirigenti e, in particolare, da una nota ad hoc emanata dall’USR Lombardia avevamo evinto che il margine di discrezionalità del Direttore generale, e la situazione particolarmente delicata e critica vissuta dal nostro istituto, avrebbero permesso la nomina dell’attuale reggente senza violare alcuna norma.

Forti di questa speranza, la quasi totalità di noi ha sottoscritto una richiesta in tal senso all’ufficio regionale competente, chiedendo contestualmente un appuntamento al funzionario incaricato, per illustrare ulteriormente le ragioni di tale richiesta. La concessione di tale appuntamento, sollecitata anche telefonicamente, non è mai arrivata.

Ciò che è arrivato è stata la nomina di un’altra dirigente, senza alcuna esperienza di scuola superiore. Ancora una volta, ci siamo sentiti mortificati: non ascoltati, anche se avevamo argomentato con chiarezza le nostre istanze; non ricevuti, pur avendo chiesto più volte un appuntamento; non ritenuti degni nemmeno di una risposta: ripeto, anche negativa.

Questa la frustrazione a cui do voce: chi, come me, ha sempre avuto grande fiducia nelle istituzioni e ne ha sempre promosso il rispetto, non pretende che a esse tocchi accogliere querimonie e capricci, e men che meno soddisfare interessi particolari. Ma ci si chiede perché, in materia di scuola, non si ascoltino mai le ragioni, le istanze, le perplessità di chi vi lavora.

Ci si chiede perché ciò che poteva essere fatto legittimamente (confermare chi già aveva dato prova eccellente di sé, e dimostrato di essere in grado di sobbarcarsi a un compito difficile e ingrato) non sia stato tradotto in atto, e perché si sia preferito bloccare un processo faticosamente avviato, da riavviare da capo.

Ci si chiede perché di tale decisione nessuno si assuma la responsabilità né renda conto a cittadini e professionisti che vorrebbero, se non essere ascoltati, almeno essere trattati con il rispetto dovuto a chiunque, nonché poter lavorare nelle condizioni che ritenevano migliori, o, al più, sapere perché ciò non sia accaduto, pur essendo possibile.

Chiudo con una precisazione: il fatto che, da parte nostra, vi sia, ovviamente, la disponibilità a collaborare con la medesima dedizione e la medesima serietà con qualunque dirigente ci sia assegnato, attiene alla nostra deontologia professionale, ma non va scambiato per supina acquiescenza dinnanzi a una decisione che continuiamo a non capire e di cui continueremo e chiedere conto, e a un comportamento che ci offende.

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