Esplosione di diagnosi nella scuola? “Non è necessariamente un elemento negativo. Dall’Integrazione, all’inclusione, oggi forse meglio parlare di partecipazione”. INTERVISTA a Giusi Antonia Toto

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Docenti e formazione emozionale, a che punto siamo? Ne abbiamo parlato con la Professoressa Giusi Antonia Toto, Docente ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Foggia, coordinatrice del Learning Science hub.

Professoressa Toto, negli ultimi mesi abbiamo assistito a frequenti esternazioni di politici e personaggi illustri che di fatto attaccano il modello inclusivo, come le parole del presidente Trump sull‘incidente di Washington e i disabili oppure, più di recente, le affermazioni del Professor Galimberti sull’eccesso di diagnosi per alunni nella scuola italiana. Lei che è una grande sostenitrice dell’inclusione, tanto da avere creato anche l’inclusion fest, cosa ne pensa di questa deriva inclusioscettica?

Penso che siamo indietro, perché parlare di inclusione oggi è fuori contesto. In realtà siamo passati dall’integrazione all’inclusione e stiamo vivendo una nuova fase che è quella della partecipazione, dove le persone con disabilità reclamano diritti. Personalmente sono stata anche contestata, giustamente, durante l’Inclusion Fest da associazioni e persone con disabilità perché questo termine ormai sta stretto a tutti, perché significa includere in una maggioranza e questo l’abbiamo già raggiunto, l’abbiamo già superato.

Oggi bisogna parlare di partecipazione, quindi tornare indietro rispetto a un modello inclusivo è veramente fuori contesto e fuori epoca, non si può più parlare di questa tipologia di sistemi, chi lo fa probabilmente non conosce la storia dell’inclusione, che in Italia, ma anche in Europa e tutto il resto del mondo, ha almeno 60 anni di tradizione. Parlare nello specifico di un’esplosione di diagnosi nella scuola non è necessariamente un elemento negativo, anzi questo significa che abbiamo maggiore attenzione a tutte le difficoltà degli studenti, perché il nostro obiettivo, di fatto, è la personalizzazione e l’individualizzazione dell’apprendimento.

Questo per dire che non si fanno diagnosi fine a se stesse, non siamo una clinica psichiatrica, come dice Galimberti, e mi includo perché mi sento ancora parte della scuola pur insegnando oggi all’università, ma siamo un’agenzia educativa che deve permettere il successo formativo di tutti e questo lo puoi fare conoscendo i tuoi studenti, conoscendo quelle che sono le caratteristiche di funzionamento, quali sono gli stili, i tempi, le scelte, le preferenze educative, quindi è necessario conoscere le persone che sono all’interno della classe, perché si è passati da un modello centrato sul docente a un modello centrato solo sullo studente, ed oggi si parla di un modello congiunto che è legato alla relazione docente-studente e la relazione si fa tra persone, dobbiamo conoscere appunto gli alunni che abbiamo di fronte.

Uso una parola forse errata, perché continuo ancora a chiamarla inclusione, per cui le chiedo cosa vuol dire fare inclusione oggi e quanto è importante riuscire a trasferire questo approccio nei vari ambiti della società?

Non è errato parlare di inclusione perché come vede addirittura eminenti personalità hanno ancora bisogno di ricordare questa fase dello sviluppo degli studenti, nella scuola deve esistere e quindi dobbiamo ancora parlarne. Non è errato parlarne e non cambierò ancora il termine Inclusion Fest in Partecipazione Festival o qualcosa del genere, però dobbiamo capire che è una fase di transizione e che il nostro obiettivo è la partecipazione. Fare inclusione oggi significa creare contesti in cui tutte le persone, indipendentemente da caratteristiche personali, background culturali, orientamento sessuale, abilità o condizioni socioeconomiche, possano sentirsi accolte, valorizzate e messe nelle stesse condizioni di esprimere il proprio potenziale.

Non si tratta solo di garantire pari opportunità a tutti, ma di promuovere un cambiamento culturale che riconosca la diversità come un valore aggiunto. È importante trasferire questi approcci che nella scuola esistono, quindi non dobbiamo inventarci nulla e non dobbiamo costruire nulla di nuovo perché esiste già, anche negli altri ambiti e contesti della società, in quanto ci stiamo accorgendo che invece sono carenti, perché questo travaso è fondamentale per costruire comunità più innovative e più resilienti. Non dimentichiamo che la presenza di persone con disabilità in diversi settori è importante e ci permette di fare molte più cose che altrimenti non riusciremo mai a fare, per esempio nel mondo della musica ci sono alcuni cantanti con disabilità che hanno delle voci splendide e devono partecipare, appunto, a questo ambito del sapere.

Nel mondo del lavoro la ricerca ha dimostrato che ambienti inclusivi migliorano la produttività e la soddisfazione dei dipendenti. Tornando al sistema educativo, come sa l’Index for Inclusion, che è un esempio, esiste dal 2000, ma sono passati 25 anni e ancora dobbiamo parlare di indice di inclusione a scuola. Tutto questo è importante perché favorisce il successo scolastico e sociale degli studenti, inoltre parlarne ci permette di portare all’esterno questo discorso, ad esempio nei media, nella comunicazione, nella rappresentazione sociale e in quella politica per rompere gli stereotipi, che dobbiamo ancora provare a ridurre, e cercare di raggiungere in maniera più eticamente corretta quella che è la reale inclusione all’interno della scuola.

Per i docenti è sempre più complicato riuscire a gestire l’inclusione tra classi troppo numerose e un crescente numero di alunni con difficoltà, sia certificati che non. Cosa suggerisce per migliorare la gestione della classe e favorire una vera inclusione?

Esistono diverse strategie efficaci per creare ambienti di apprendimento inclusivi e collaborativi, che ci permettono di valorizzare le differenze e di rispondere ai bisogni di tutti. Un aspetto fondamentale, lo abbiamo già accennato quando abbiamo parlato appunto del senso dell’inclusione, è una didattica differenziata e personalizzata. Strategie con apprendimento collaborativo, per esempio, ci permettono di favorire il dialogo fra gli studenti, di farli supportare a vicenda e sviluppare anche competenze trasversali.

Personalmente ho portato l’esperienza che ho maturato nell’ambito scolastico, nei dieci anni che ho insegnato a scuola, anche all’università. Infatti, a tal proposito, creeremo delle sessioni di studio in silenzio dove permetteremo agli studenti di studiare in silenzio rispetto a dei contenuti universitari e studieranno insieme in modo da potersi supportare successivamente nei testi e possono farlo in presenza, online, a distanza, quindi utilizzando anche tutti gli strumenti delle tecnologie. Questa idea mi è nata nel contesto della scuola e la porterò all’università, però ho visto anche tante case editrici che la stanno utilizzando organizzando momenti di lettura collaborativa o momenti di lettura in silenzio. Quindi, questo approccio ha successo quando mettiamo insieme gli studenti a fare delle attività che producono cultura e significato. Ma esistono tanti altri approcci, per esempio l’IBL (Inquiry Based Learning), che utilizziamo per l’apprendimento delle scienze, o l’UDL (Universal Design for Learning).

Tutte queste modalità ci permettono di diversificare l’insegnamento, ma anche la valutazione, per rendere l’apprendimento più accessibile agli stili di tutti e anche ai loro livelli di abilità. La tecnologia, dal mio punto di vista, rappresenta un valido alleato, perché noi possiamo utilizzare, nell’approccio all’inclusione, audiolibri, mappe concettuali digitali, software per la scrittura facilitata e tutta un’altra serie di strumentazioni che ci permettono di personalizzare l’apprendimento e di raggiungere i bisogni di ogni studente. Però, oltre agli strumenti didattici, è fondamentale anche un clima di classe positivo e inclusivo, perché, come sappiamo, maggiormente è sereno l’ambiente scolastico e più facilmente si può costruire un rapporto di benessere e di apprendimento efficace fra gli studenti.

Secondo me una delle pratiche importanti che va valorizzata nella scuola è l’educazione socio emotiva, modello introdotto da tempo che ha avuto un periodo in cui andava molto di moda la cui attenzione è un po’ diminuita, che ci permette di sviluppare empatia e capacità relazionali tra gli studenti, ma anche di ridurre i conflitti e favorire la partecipazione attiva alle varie condizioni di classe. Inoltre l’inclusione non è solo un compito della scuola, ma deve coinvolgere l’intera comunità educante, quindi docenti, famiglie, territorio, e anche dall’esterno voci autorevoli, che siano del mondo della politica, della letteratura, della filosofia, della storia, ci devono avvantaggiare in questo discorso, non devono diventare un ostacolo o far regredire un sistema che invece sta progredendo verso la partecipazione.

Un’ultima domanda, sappiamo che il sistema del sostegno è in crisi, le chiedo come andrebbe modificato per migliorare l’inclusione a scuola e coinvolgere maggiormente anche i docenti curricolari?

Domanda difficile. Vorrei soffermarmi sull’aspetto del migliorare, perché si tratta di questo, e dobbiamo ricordarci che l’inclusione scolastica italiana è invidiata in tutto il mondo. Certo non è perfetta, tutto è perfettibile, e quindi il livello del discorso si deve basare sul miglioramento. Per migliorare l’inclusione scolastica e favorire un maggior coinvolgimento dei docenti curriculari, perché i docenti di sostegno spesso denunciano questo elemento, cioè il poco coinvolgimento nelle attività di sostegno dei docenti curriculari, forse dovrebbe essere ripensata la formazione iniziale degli insegnanti in un’ottica più collaborativa e integrata, quindi superando il modello attuale che delega la gestione degli alunni con bisogni educativi speciali tutto ed esclusivamente al docente di sostegno. L’inclusione non può dipendere solo dall’insegnante di sostegno, questo è ovvio, anche perché l’insegnante di sostegno, lo diciamo sempre, è docente di tutta la classe.

È essenziale che il docente curriculare sia coinvolto sempre più attivamente nel percorso educativo di tutti gli studenti, anche degli studenti con disabilità. Un modello efficace potrebbe essere il co-teaching, che in diversi paesi viene già adottato e prevede una collaborazione continua tra i due docenti, che permette di progettare e gestire la classe e le attività didattiche interscambiandosi e non evidenziando troppo la separazione tra studenti con e senza disabilità all’interno della classe. Questa idea, che può essere funzionale da un punto di vista didattico, a volte per chi reclama diritti può apparire una diminutio, perché sembra quasi privare lo studente con disabilità della figura dell’insegnante di sostegno, ma non è questo, l’insegnante di sostegno ci deve essere, perché lo studente con disabilità ha dei bisogni specifici, ma se dobbiamo parlare di inclusione, e ancora di più di partecipazione, è necessario, come diceva Vygotskij, sottolineare sempre meno quelle che sono le disabilità degli studenti.

Altri due problemi principali nel sistema attuale, dal mio punto di vista, che potrà apparire scontato ma è una realtà che va affrontata, è l’alta percentuale di docenti di sostegno precari o senza formazione specifica e i continui cambiamenti che rendono difficile garantire una continuità educativa. Detto ciò, nel cercare soluzioni a questi problemi dobbiamo stare attenti a non trovarne di temporanee che abbassino il livello della formazione iniziale degli insegnanti, perché non si risolve la situazione aumentando solo numericamente gli insegnanti di sostegno, ma devono essere preparati e formati, e anche loro devono avere una certa sicurezza nell’entrare in classe, altrimenti li lanciamo in un contesto scolastico che non conoscono e non sanno nemmeno in che modo gestirlo.

Tuttavia ritengo sia importante un sistema un po’ più flessibile dell’orario scolastico e del curriculum, legato alle esigenze specifiche della classe, quindi non parlo più solo del soggetto con disabilità perché bisogna ragionare per contesti, quindi il sostegno deve evolversi verso un modello integrato, perché deve riflettere ciò che vogliamo fuori dalla scuola, che è un sistema inclusivo, collaborativo e cooperativo fra le persone e questo deve nascere all’interno della scuola, che è un ambiente tutelato e protetto, e poi trasferito anche all’esterno.

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