Esami di Stato, ovvero come ti valorizzo il maturando. Lettera

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inviata da Pietro Cesare –  Da un punto di vista edificante e critico-costruttivo, si è avuta l’impressione che l’opportunità di costruire un nuovo sapere dai “saperi trasversali”, partendo dal contenuto di una busta estratta a sorte sia stata davvero innovativa.

Non è certo facile all’impronta ma, se si è allenati, lo può diventare. Umberto Eco sosteneva che lo studente colto non è colui che sa quando è nato Napoleone, ma colui che sa dove andare a cercare l’informazione nell’unico momento della sua vita in cui gli serve, e in due minuti.

Ecco, nel fondo del fondo, l’innovazione: essere allenati al pensiero critico, a quello laterale, divergente, a trovare soluzioni alternative, magari creative, al problem-solving, e via dicendo, per far emergere potenzialità e talenti dello studente, come i più recenti e validi approcci metodologico-didattici e costruttivisti (prima ancora che ministeriali) suggeriscono, nell’obiettivo così di proiettare la scuola davvero verso il futuro, dandole ulteriore senso.

C’è la partecipazione attiva dello studente in gioco, quindi una ratio maggiormente puerocentrica, di favore e migliorativa per il candidato che, in tal modo, senza entrare nello specifico, ha la possibilità di spaziare dai nuclei tematici delle materie, “toccandoli”, ai saperi impliciti che egli stesso può aver appreso anche da autodidatta, nel corso della vita extrascolastica. Si può sconfinare nel paradosso, certo, in forzature ed errori ma anche qui vengono in soccorso studi innovativi: quelli delle neuroscienze, ad individuare, con il dovuto metro confortante, il grado di immedesimazione, di passione e, quindi, di emozione, componente fondamentale del processo di apprendimento, come ricordato anche in diverse puntate di “Memex: Galileo” di Raiscuola. Ad esempio, nella n. 43 (min. 27’50’’), la conduttrice Anna Pancaldi rammenta che “Grandi geni della scienza si sono fissati per intuizioni sbagliate (ma sempre geni rimangono!).

In una battuta dell’Ulisse di James Joyce si legge: “un genio non sbaglia! I suoi errori sono cercati e sono l’anticamera delle scoperte”.

Resta da capire perché tante menti geniali si siano così irrimediabilmente abbarbicate ai loro errori contro ogni evidenza contraria. C’è una spiegazione concreta: le neuroscienze hanno mostrato che la corteccia orbito-frontale, una regione della corteccia cerebrale anteriore, integra le emozioni nel flusso del pensiero razionale. In altre parole, gli uomini non sono fatti per ragionare in modo completamente freddo, escludendo le emozioni. In poche parole, anche gli scienziati si fanno influenzare dalle passioni. E così… si fissano”.

Il tutto a vantaggio di una concezione del sapere che è già di per sé sempre più attuale ed inclusiva e cioè quella secondo cui il sapere è unico e che solo per semplicità e ordine espositivo e di studio viene declinato in diverse materie.

Attualmente, per di più, c’è il vantaggio che le nuove generazioni hanno la possibilità di ampliare esponenzialmente le loro conoscenze con opportune ricerche sul web. I vari link, i collegamenti multimediali, le “ricerche e le voci correlate”, le parole-chiave… sempre di più, fanno sì che il libro di testo sia, come si dice, un “cantiere aperto”, in alcuni casi da semplificare e ridurre, in altri da estendere ed ampliare sotto l’occhio vigile del docente – che insieme alla Commissione – conosce i fondamenti epistemologici della materia e sa fino a che punto una connessione concettuale, tra i vari nodi, sia valida o meno e se può aprire o no nuovi e inaspettati scenari.

In un’altra puntata del citato programma televisivo (la n. 41, min. 50’’), il noto fisico Valerio Rossi Albertini celebra il valore del procedimento analogico: “C’è un termine, un concetto che attiene al linguaggio, alla retorica ma che riguarda anche la ricerca scientifica: é analogia. Analogia vuol dire somiglianza o equivalenza di proporzioni, di caratteristiche, di funzioni, di forme, di struttura. La parola deriva dal greco: “ana” ossia uguale simile; e “logos”, discorso, parola, ragionamento, proporzione.

Pensare per analogie vuol dire abbandonare il processo logico che lega cause ed effetti secondo rigorose relazioni lineari e andarsene a spasso per l’universo delle possibilità in cerca di somiglianze. È un modo di pensare potente e fluido che può aprire nuove strade. È anche un modo di pensare creativo: molte intuizioni scientifiche, tecnologiche ed imprenditoriali nascono da analogie.

L’analogia è uno strumento potente di creatività scientifica proprio perché, esaltando il dato comune, ci permette di leggere un fenomeno ignoto alla luce di uno noto… e analogo.

Il matematico biologo Jacob Bronowski (1908-1974) scrive che le scoperte scientifiche non sono altro che esplorazioni, o meglio esplosioni di analogie nascoste; così, l’architetto romano Vitruvio (80 a. C.-15 a. C.) paragona il modo in cui il suono delle voci degli attori si espande in un anfiteatro al movimento delle onde concentriche che si creano sulla superficie dell’acqua a seguito di un urto e intuisce la dinamica, in questo modo, delle onde sonore.

Antoine Lavoisier (1743-1794), il padre della chimica, nel 1700 ipotizza che la respirazione sia analoga alla combustione e scopre che l’ossigeno svolge un ruolo importante in entrambi i casi.

Lo stesso Charles Darwin (1809-1882) mette a punto la teoria dell’evoluzione individuando analogie tra le strutture anatomiche dei fossili di animali estinti e quelli delle specie ancora viventi e anche tra quelle di una specie e un’altra specie.

Kevin Denver, della McGill University a Montreal in Canada, studia il modo di procedere degli scienziati e scopre che usano le analogie quando non trovano risposte immediate al quesito che si stanno ponendo; che lo fanno sia per esprimere concetti sia per trovare modelli interpretativi e che, inoltre, gli scienziati più produttivi sono quelli che usano più analogie quando discutono del loro lavoro. L’analogia è una forma di creatività. Esattamente come la scienza. Sono… analoghe”.

Senza, appunto, volerne fare un panegirico, un elogio a tutti i costi, si tratta magari solo di affinarlo, questo neonato meccanismo, per salutare i maturandi con quella “tenerezza di un padre” avvertita da Adso da Melk nel momento del distacco dal suo mentore. E forse occorre la volontà di un’intera comunità educante di mettersi in gioco verso un più ampio orizzonte formativo, esposto a nuove esigenze educative, frutti del tempo in cui viviamo.

In una delle “Bustina di Minerva” più note, intitolata “A che serve il professore”, ancora l’illustre professore e semiologo sottolinea proprio che se da una parte Internet offre agli studenti molte più informazioni che la scuola, dall’altra c’è poi bisogno di qualcuno che li aiuti a cercare, selezionare, filtrare: “A immagazzinare nuove informazioni, purché si abbia buona memoria, sono capaci tutti. Ma decidere quali vadano ricordate e quali no è arte sottile. Questo fa la differenza tra chi ha fatto un corso di studi regolari (anche male) e un autodidatta (anche se geniale)”.

Occorre “mettere quotidianamente in scena lo sforzo per riorganizzare in sistema ciò che Internet gli trasmette in ordine alfabetico, dicendo che esistono Tamerlano e i Monocotiledoni ma non quale sia il rapporto sistematico tra queste due nozioni. Il senso di questi rapporti può darlo solo la scuola, e se non sa farlo dovrà attrezzarsi per farlo. Altrimenti le tre I di Internet, Inglese e Impresa rimarranno soltanto la prima parte di un raglio d’asino che non sale in cielo”.

In conclusione, buona parte della popolazione mondiale, se non tutta, oggi, conosce la storia cinematografica di Jack e Rose raccontata da James Cameron nel suo pluripremiato Titanic: la loro relazione contrastata, la brevità della stessa (4 giorni), la drammatica fine di lui… Altrettanto celebre è la battuta dell’anziana Rose nei confronti di chi le sta spiegando tecnicamente, freddamente, con distacco la tragica dinamica dell’affondamento dello sfortunato transatlantico: “… la ringrazio per la sua ottima analisi forense signor Bodine. Naturalmente, vivere quell’esperienza… è stato un pochino diverso!”.

Ebbene, nell’avvicendarsi del pensiero logico-formale e quello creativo e le varie intelligenze gardneriane, non ultima quella “goleman-emotiva”, Cameron, il regista “visionario”, a proposito del suo colossal, in tutta modestia ebbe a dire, di non aver fatto altro che… portare Giulietta e Romeo sul Titanic: una suggestione, un’analogia, appunto, che gli ha consentito non solo di creare un’originale storia verosimile ma anche di narrare, sviscerare e divulgare massicciamente un episodio storico minuziosamente, nei minimi dettagli, con una partecipazione emotiva unica e senza precedenti nei pur numerosi e precedenti rifacimenti (anche e/o soprattutto negli spettatori).

Questo andava verificato e valutato: non già la semplice associazione di idee, alla stregua della risoluzione di bersagli enigmistici, ma la capacità e la forza – di analogia in analogia, di contrapposizione in contrapposizione, di errore in errore, con le conoscenze e le competenze acquisite e maturate nel corso dei cinque anni – di spiegare, dimostrare, costruire il sapere, imboccando nuovi percorsi e alternativi (di certo non obbligatoriamente), oltre a quelli preconfezionati che si potevano – e/o si possono – trovare alla fine di un capitolo o del libro: quelli che si potevano – e/o si possono – costruire con un percorso tutto personale… con l’aiuto, all’occorrenza, dei docenti. Tra passione per lo studio e collaborazione, ragionamento e ingegno, tra fantasia e creatività perché, come sosteneva anche Einstein, se la logica ti porta da A a B, l’immaginazione ti porta ovunque.

Link:

http://www.raiscuola.rai.it/programma-unita/memex-galileo-pt-43/301/41362/default.aspx

http://www.raiscuola.rai.it/programma-unita/memex-galileo-pt-41/301/41307/default.aspx

http://espresso.repubblica.it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2007/04/17/news/a-che-serve-il-professore-1.3250

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