“Esami di maturità? Abbiamo sostituito la meritocrazia con la mediocrità. Alunni più fragili che in passato? Non mi pare ci siano numeri a dimostrarlo”. INTERVISTA a Paolo Crepet

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Alunni più fragili che in passato? Che il ministero dell’Istruzione lo dimostri. “Se c’è una ricerca in merito, che io non conosco, sono contento. Ma a me non sembra che ci siano evidenze scientifiche su quanto afferma il ministro”.

Paolo Crepet ribatte con secca determinazione all’affermazione del ministro dell’Istruzione e del merito che, sottolineando una presunta fragilità dei nostri studenti degli ultimi anni immagina un esame di Stato, quello che si svolgerà la prossima settimana, che sia meno stressante, quasi una conversazione rassicurante. Ma gli studenti, verso i quali lo psichiatra non usa certo parole rincuoranti, non sono per lui degli psicolabili, né possono essere catalogati in un’unica classificazione monolitica.

La generazione Z, spesso dipinta come dipendente dai social media e influenzata dagli influencer, periodicamente sotto i riflettori a seguito della puntuale tragedia del giorno, è oggetto di uno studio approfondito nel libro bianco intitolato “Schermi futuri”. Questo libro, realizzato in collaborazione con Ipsos e diretto dallo psichiatra Paolo Crepet, esplora il tema del rapporto tra la generazione Z e i social media, analizzando i legami sociali e le nuove comunità che si sono sviluppate.

L’indagine coinvolgeva 1200 ragazzi attivi sui principali social media come TikTok, Instagram, Twitch, Facebook, YouTube e Twitter, e si concentrava sui loro comportamenti e sull’autopercezione di sé. Durante lo studio sono state identificate otto diverse comunità all’interno della generazione Z, ognuna con caratteristiche e atteggiamenti distinti. Tuttavia, secondo Crepet i nostri ragazzi e le nostre ragazze sono molto più complessi di come sono immaginati e descritti nella comunicazione pubblica, spesso a seguito di fatti di cronaca che l’attualità non manca di fornire. Il volume non poteva non occuparsi dell’educazione scolastica.

Sarebbe bene – Crepet è convinto di questo – che le scuole offrissero occasioni di socialità e di crescita, al di là delle discipline curriculari, come aiuto ai ragazzi per farli uscire dal disagio e anche come strumento per sviluppare un senso di appartenenza. Quindi, oltre a danza e teatro, le stesse tecnologie che non vanno necessariamente demonizzate, come invece spesso si fa, potrebbero essere usate come proficuo mezzo strumento di conoscenza e di creatività.

E gli adulti? E’ questo il vero tema. Sul banco degli imputati c’è l’evidente, eccessiva fratellizzazione genitoriale, che ha preso il posto del ruolo di guida che i genitori devono, dovrebbero sempre avere. Da tempo il mondo degli adulti, in primis quelli di riferimento dei minori, ma anche la società contemporanea in generale, sono sotto la lente di ingrandimento di Paolo Crepet, che sul tema ha dedicato articoli, libri, interventi pubblici, convegni sempre affollati e applauditi.

Se i ragazzi di oggi stanno vivendo dei problemi esistenziali, questi problemi non possono che avere origine dai comportamenti, privati e pubblici, degli adulti. La crisi della scuola e dell’università, la scomparsa dei classici centri di aggregazione classici, il ruolo della televisione, l’avvento dei mass media hanno certamente influito, ma ha influito soprattutto l’eccessiva protettività genitoriale verso bambini e ragazzi ai quali non si consente più di crescere attraverso esperienze e fatica, destinati per questo a sentirsi inadeguati per molto tempo della loro esistenza – “Tutto quello che è comodo è stupido, scrivetelo nella camera dei vostri ragazzi. E una scuola che non boccia è una scuola marcia”, e una scuola da lui ritenuta molto più facile di un tempo: “Una scuola che non boccia è una scuola marcia. Stiamo costruendo una società in cui gli adulti vogliono il male di coloro che hanno messo al mondo. La vera trasgressione oggi è studiare, fare le cose fatte bene”.

E invece? E invece “un professore universitario mi ha detto tempo fa che i libri di più di 400 pagine non devono passare. Vuol dire che abbiamo già detto ai nostri figli che non ce la faranno mai”, ha detto Crepet in occasione della presentazione del suo bel libro intitolato “Il coraggio”, edito tempo fa da Mondadori. Il coraggio è quello che tutti, genitori e insegnanti dovrebbero oggi avere, quello di credere in sé stessi, nei propri figli e nei propri allievi, il coraggio che devono insegnare loro per superare le difficoltà di ogni giorno fuori e dentro la scuola, per affermare le proprie idee e le proprie vocazioni, la propria libertà e autonomia, per non rinunciare ai propri sogni e costruire la giusta dose di autostima. Crepet si dice seriamente preoccupato. Basta andare indietro di una generazione e mezza: pensare al coraggio delle donne e degli uomini che sono riusciti a tirar su l’Italia e le aziende, “quando al mercato nero non c’erano nemmeno le patate. Ora che ci siamo riempiti lo stomaco di tortellini le cose sono cambiate”. Ricorda oggi chi ha ricostruito l’Italia e pensa a Giovanni Agnelli: “Frequentò il liceo classico, oggi i rampolli delle famiglie borghesi non studiano più, al massimo frequentano scuole private. Perché?”.

Forse oggi abbiamo tutto il necessario e questo ci fa sedere, anzi, ci spinge a essere contenti quando vediamo i nostri figli sdraiati sul divano invece che impegnati a gettare la spazzatura. Del resto – è l’autore di questa intervista che s’interroga sul punto – avete forse mai visto negli ultimi anni una ragazza o un ragazzo in strada con il sacchetto della spazzatura in mano? Lo faccio io, non ti stancare, la tua mamma. “A un certo punto – è il pensiero di Crepet – si è cominciato a pensare che andava bene cosi, che è meglio sdraiarsi e vedere sdraiati i figli sul divano, tanto abbiamo tutto il necessario”. E’ cambiata l’educazione. “Una volta c’erano i genitori inflessibili ed erano diffuse le sberle anche quelle preventive, io stesso ne presi una bella collezione, poi s’è fatta largo una melassa, un’educazione liquida basata sul fa’ come ti pare, sul se lo fai, bene, altrimenti è uguale”.

Gli interventi di Crepet su questi temi, terribili e al contempo decisivi, sono graditi, apprezzati e applauditi dalle folle, ma come mai non cambia nulla? I pazienti dello psichiatra lo ammettono: cambiare la mia vita è faticoso. E lui lo ricorda spesso ma pure aggiunge che “se voi sapete che ho ragione io e cioè che la Costituzione obbliga sì i genitori a mantenere in vita i figli ma non li obbliga certo a regalare tutte quelle cose che invece regalate a Natale, né li obbliga a dare i soldi al figliuolo per andare a Ibiza con gli amici mononeuronici come lui, o per ubbriacarsi di spritz la sera fino a finire al pronto soccorso, né la Costituzione vieta ai genitori di togliere il telefonino e internet quando non c’è reciprocità, e allora perché continuate a fare tutte queste cose? Io faccio una cosa per il ragazzo solo se il ragazzo fa qualcosa per sé”. Altrimenti, cari signori, ha più volte ribadito Crepet, “è come insegnare che nella vita tutto si può pretendere e nulla si deve dare. Se i vostri genitori vi hanno insegnato questo, per l’amor di Dio rispondete a questa domanda: come mai avete smesso di farlo con i vostri figli? Siete sul serio contenti di finanziare gli spritz e la marijuana ai vostri figli? Non sappiamo fare altro? Paghiamo perché camminino a quattro zampe, perché arrivino in coma etilico al pronto soccorso? Vogliamo questo?”

Serve coraggio. Il coraggio è sempre servito, ma oggi è cambiato il paradigma, dacché il coraggio, oggi, “è quello di togliere, non quello di aggiungere”. Togliere, il nuovo verbo di una possibile rivoluzione culturale e antropologica. “Se a un ragazzino dai tutto, gli hai fatto un danno gravissimo, gli hai tolto il desiderio. Come fai a desiderare quello che hai? Come fai a non crescere depresso? La vita va scoperta. I bambini e i ragazzi sono iperprotetti, e invece devono sperimentare il dolore, le cadute, le delusioni, le frustrazioni”. Quello che si diceva all’inizio, quando parlavamo di scuola, di esami, di promozioni facili e di bocciature sempre più improbabili, specie agli esami di Stato, che ogni anno vedono una percentuale di promossi vicina al 99 per cento. “Il 99 percento dei ragazzi agli esami di maturità sono promossi. Cosa puoi fare per essere bocciato? Qualcuno ha un’idea? Non studiare non basta. Ma una scuola che non boccia è una scuola marcia. La vera trasgressione è studiare. Fare le cose fatte bene”. E invece? E invece, lo psichiatra lo ha sottolineato altre volte, “non sopportiamo neppure che i nostri ragazzi possano avere il dolore. È importante la malinconia. La malinconia non è il dramma della vita. Quelli che ridono in continuazione semmai sono dei perfetti imbecilli”.

I nostri ragazzi e le nostre ragazza non sono imbecilli, anzi tutt’altro. Di certo non stanno vivendo nel migliore dei mondi e questo lo sanno e molti osservatori sottolineano la progressiva fragilità di una generazione, addebitando a quest’ultima la ragione di alcuni fenomeni diffusi quali ansia e autolesionismo.

Professor Paolo Crepet, c’è o non c’è una maggiore fragilità tra i nostri adolescenti molti dei quali si apprestano a sostenere un esame di Stato che proprio per questo si vorrebbe il meno stressante possibile? Lei sottolinea la necessità di evitare generalizzazioni e di basarsi su studi approfonditi.

“Prima di parlare di fragilità servono dei numeri. Se è stata fatta una ricerca, son contento, ma non mi pare”.

L’esame di Stato è da sempre visto come un test di crescita. E’ ancora così? Lei dice che sia stato convertito in una conversazione rassicurante e che gli studenti ormai quasi ventenni sono considerati quasi come degli psicolabili.

“Non esiste più. Non è più nulla, è un semplice passaggio burocratico, considerando anche che il ministro dell’Istruzione ha promesso che verterà su una conversazione rassicurante.

Insomma, dobbiamo tranquillizzare le famiglie per le ansie e le paure per questo esame. E chissà perché mai hanno tutta questa paura quando poi i loro figli saranno tutti promossi. Una volta l’esame di maturità aveva un significato, ora questo significato non c’è più”.

Perché?

“L’esame era un passaggio epocale della vita. Si diventava grandi. questo esame si è da tempo ridotto a un mero passaggio burocratico. Un tempo era un esame della maturità, non di maturità, e con quell’esame si diventava adulti. Oggi non è più così. L’esame assomiglia alla scuola che celebra. La scuola è in una situazione agonica e lo scrivo da anni”.

Come mai siamo arrivati a questo punto, secondo il suo punto di vista?

“Da trenta, trentacinque anni, abbiamo deciso di togliere risorse alla scuola da tutti i punti di vista, non solo da quello finanziario. E non solo non l’abbiamo riformata – se l’avessimo fatto, oggi saremmo un’altra cosa nel mondo e invece non lo siamo – ma abbiamo perso autorevolezza nel paese perché non abbiamo una classe dirigente e questo perché i sistemi di istruzione sono caduti in una sorta di bonaccia dove non succede niente. Se lei va a vedere la storia di chi ha fatto il paese, se ne accorgerà. Si pensi a Gianni Agnelli, frequentò il liceo classico. Ora perché i figli della borghesia non studiano per niente o hanno scelto istituti privati? Perché pensano che tanto la reggenza dei nostri beni industriali possa avvenire come come la nobiltà, insomma per un patto di sangue e non per bravura. E infatti il finale di questa tragedia è quello che dicono i ragazzi: dicono che la meritocrazia è un male assoluto e che occorra fare di tutto per combatterla, la meritocrazia. Uno però dovrebbe chiedersi che cosa mettere al posto della meritocrazia”.

Lo dica lei

“Che cosa ci mettiamo: la mediocrità? Davvero c’è qualcuno in questo paese che pensa che ci si possa basare sulla mediocrità? Io sono uno dei pochi che parla chiaro: c’è stato Galli Della Loggia che ha proferito alcune parole su questi argomenti. Per il resto, tra gli intellettuali di varia natura nessuno parla di questa cose”

Perché non se ne parla?

“Intanto perché non frega nulla agli intellettuali. E poi perché a occuparsi di scuola si perdono elettori. Se parli di scuola sei un cialtrone, se parli di scuola fai la figura del maestro. Guardi i ragazzi: dicono che chi prende lo stipendio è uno sfigato. Ma hanno ragione: quanto guadagna un commesso parlamentare? Credo dalle tre alle quattro volte rispetto allo stipendio di un insegnante e allora mi si dica perché, visto che sono entrambi dipendenti dello Stato, un commesso parlamentare debba guadagnare più che un insegnante. Non è che l’altro faccia delle cose migliori o più importanti, anzi, spesso non fa granché. Quindi c’è la dimostrazione evidente che queste persone siano ritenute da noi di una professionalità importante e il che vuol dire che l’insegnante invece non svolge una professione importante”.

Lei sostiene anche che l’aumento dell’offerta scolastica, con l’avvento e la diffusione delle scuole private, ha diminuito il valore dell’istruzione, come succede con la legge di mercato, più offerta c’è, più basso è il prezzo del bene offerto”

“Sarebbe interessante scrivere la storia della scuola privata in Italia. Si capirebbe tutto. Una volta c’era la scuola serale che era un’istituzione di grandissima dignità. Gli operai e i contadini potevano accedere all’istruzione. Tutto questo ebbe un incremento quando si passò al diploma di quinta elementare e poi a quello di terza media. Questi passaggi già di per sè permisero a tante persone di entrare in banche e altre aziende ma per questo diploma era previsto un minimo di impegno. C’erano tra gli insegnanti tanti grandi intellettuali, quella scuola non era certo un’agenzia di ultimo livello. Poi arrivò la Scuola Radio Elettra che contribuì a dare a tanti una mano e un diploma di elettricista, di tecnico radiofonico, e fin qui di siamo. Poi quella scuola fallì… E così, quello che era una volta la scuola che ho rammentato, una scuola cioè per chi non aveva avuto una opportunità e per persone che ambivano a un diploma, è stato spazzato spazzata via ed è diventato una sorta di rifugium peccatorum per la borghesia italiana che ha cominciato ad annoverare rampolli che non studiavano. Con agevolazioni di legge hanno infine avuto la possibilità di dare diplomi equipollenti. Poi ci fu chi si chiese: ma la qualità è davvero equipollente a quella di una scuola pubblica? Chi fa la selezione degli insegnanti in queste scuole? Tutto questo ha portato a una diffusione delle scuole ma la cultura invece si è abbassata. Si è via via abbassata la qualità della scuola, fino ad arrivare alla denigrazione del professore”.

Come vede la nostra scuola nel panorama internazionale?

“Noi siamo passati dall’essere esempio per il mondo. Poi tutto questo è venuto meno”

Perché?

“Perché abbiamo cessato di confrontarci con altre realtà che avrebbero potuto fornirci degli esempi. Perché in altri paesi i ragazzi si diplomano a 18 anni mentre da noi a 19. Perché i bambini non si mandano alla scuola primaria a 5 anni: ormai a quell’età i bambini sono molto svegli rispetto a un tempo. Perché ci siamo accorti che la scuola media è il segmento più fragile e andava riformata ma non abbiamo voluto riformarla…”.

A che cosa addebitare tanta difficoltà a stare al passo con i tempi, secondo la sua visione?

“Al fatto che ogni riforma richiama un conflitto con i sindacati ma anche con la stessa opinione pubblica. Ogni innovazione comporta difficoltà e contrasti, fino a quelli scatenati dall’introduzione delle tecnologie”.

Guardi che abbiamo riempito le aule di computer, Lim, nuove tecnologie sono in arrivo…

“Avere dei computer in classe non significa necessariamente fare una buona informatica, e spesso gli insegnanti della materia scelgono altre professioni anche per lo stipendio basso. Inoltre da sempre abbiamo lasciato la possibilità a settori enormi dell’istruzione di poter svolgere altri lavori. Gli istituti per geometri, tanto per fare un esempio, sono pieni di persone che svolgono la libera professione e tanti sindaci fanno gli insegnanti. Cosa vuoi che gliene freghi della scuola, a questi, gli interessi sono da un’altra parte. Conosco tante categorie dove i professionisti fanno anche l’insegnante. C’è stato un baratto per cui io, Stato, ti pago poco però ti lascio la libertà di svolgere un altro lavoro”.

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