Entro il 2030 l’UE avrà bisogno di 20milioni di specialisti nell’ambito STEM. Ecco le strategie per coprire tutto il fabbisogno che riguardano la scuola

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Nel contesto attuale, segnato da trasformazioni industriali, digitali e ambientali, l’Unione Europea individua nel capitale umano il principale elemento su cui costruire la propria competitività. Per affrontare le sfide globali e posizionarsi come uno dei principali poli d’innovazione al mondo, l’UE intende rafforzare le competenze nei settori scientifici e tecnologici. Questo obiettivo si traduce nella necessità di investire in modo strutturale nella formazione STEM, ovvero nelle discipline di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. La carenza di profili professionali adeguatamente formati, già evidente in numerosi Stati membri, rischia di limitare la capacità dell’Europa di sviluppare e applicare nuove tecnologie, con conseguenze dirette sull’economia, sull’autonomia strategica e sulla transizione verde e digitale.

I dati PISA e le criticità nel rendimento scolastico

Un primo indicatore della difficoltà a garantire un’adeguata preparazione di base nei settori STEM emerge dai dati del programma PISA. Le rilevazioni del 2022 mostrano un peggioramento delle competenze matematiche e scientifiche tra gli studenti europei. In particolare, il 30% degli studenti non ha raggiunto la soglia minima in matematica, mentre il 24% si è collocato sotto la soglia in scienze. Si tratta di dati peggiori rispetto a quelli registrati nel 2018, e che evidenziano una tendenza preoccupante.

Questo quadro riflette una perdita di posizioni da parte dell’UE nei confronti di altri contesti internazionali, come quelli asiatici, dove i livelli di eccellenza sono significativamente più elevati. Le carenze strutturali nei sistemi educativi nazionali, in particolare nei contesti più periferici, rurali o economicamente fragili, contribuiscono a mantenere elevato il numero di studenti con risultati insufficienti.

Un’offerta formativa ancora distante dalle esigenze del mercato

Nonostante siano in corso diverse iniziative per rafforzare l’orientamento STEM nei percorsi scolastici e universitari, l’attuale offerta non riesce a tenere il passo con la domanda crescente di professionisti specializzati. Le stime della Commissione Europea segnalano un fabbisogno di 20 milioni di specialisti ICT entro il 2030, ma i numeri attuali indicano che l’UE è ben lontana da questo obiettivo. Anche i dottorati in ambito STEM, in particolare nei settori delle scienze naturali, della matematica e dell’informatica, risultano in diminuzione.

A livello universitario, si registra un incremento del 14,4% dei laureati STEM tra il 2015 e il 2022, ma tale crescita non è uniforme e non basta a coprire i fabbisogni di settori strategici, come quello dell’intelligenza artificiale, della cybersicurezza e della transizione energetica.

L’importanza strategica dell’istruzione tecnico-professionale

Una componente essenziale del sistema formativo europeo è rappresentata dall’istruzione e formazione professionale (VET), che oggi fornisce quasi la metà dei diplomati in discipline STEM. Tuttavia, questo comparto è interessato da una serie di criticità, che ne riducono l’efficacia e la capacità di attrarre nuovi studenti. Tra le principali problematiche:

  • i livelli di apprendimento in matematica tra gli studenti VET sono inferiori rispetto ai coetanei dell’istruzione generale;
  • la carenza di insegnanti qualificati, spesso con età avanzata, ostacola il ricambio generazionale;
  • la scarsa percezione pubblica del valore dei percorsi VET, soprattutto laddove non sono ben collegati con il mondo del lavoro o non garantiscono l’accesso all’istruzione superiore.

Queste condizioni limitano l’attrattività dell’istruzione tecnico-professionale e rendono più difficile la formazione di figure specializzate necessarie alla competitività europea.

Divari di genere e stereotipi educativi

Una delle sfide più rilevanti riguarda la disparità di genere nell’accesso e nella permanenza nei percorsi STEM. Sebbene le donne costituiscano oltre il 50% degli iscritti all’università, solo il 31% frequenta corsi in ambito STEM. Nei percorsi VET, la percentuale scende al 16%. Le cause principali di questo divario risiedono in stereotipi culturali e aspettative sociali, che influenzano le scelte educative già in età scolare.

Gli effetti di queste dinamiche non si riflettono solo sulla limitazione delle opportunità personali, ma anche sulla perdita di capitale umano strategico, necessario per l’innovazione. Le politiche più efficaci in questo ambito si sono rivelate quelle capaci di modificare l’approccio didattico, rendendolo più inclusivo e attento alla diversità di genere.

Verso una nuova alleanza per le competenze

Per rispondere a queste sfide, l’UE ha adottato un piano strategico per l’istruzione STEM che mira a mobilitare tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni ai soggetti economici, dal mondo accademico a quello della formazione professionale. Tra le azioni previste figurano:

  • l’introduzione di curricoli più stimolanti e interdisciplinari, capaci di collegare teoria e pratica;
  • il rafforzamento della formazione degli insegnanti, in particolare per l’adozione di metodi didattici innovativi;
  • la valorizzazione delle micro-credenziali per il riconoscimento di competenze specifiche;
  • la collaborazione tra scuola, università e imprese per facilitare il passaggio dallo studio al lavoro.

L’obiettivo è duplice: da un lato, allineare la formazione alle esigenze del mercato del lavoro; dall’altro, offrire a tutti i cittadini opportunità di crescita personale e professionale.

In questo senso, l’UE ha elaborato un Piano strategico per l’istruzione STEM che si affianca ad altre iniziative europee come il Digital Decade Policy Programme, le Skills Academies e il Pact for Skills, tutte orientate a colmare il divario tra formazione e occupazione, favorendo la mobilità sociale e territoriale.

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