“Entrare in ruolo a Nord è un calvario, ho i nervi a pezzi. Torno precaria a 66 anni per rientrare nella mia Palermo”. La storia di Maria Carmela

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Ha anche fatto uno sciopero della fame per diversi giorni e per questo è stata ricoverata in ospedale, perché – ci racconta lei – “avevo sempre l’incarico annuale però ci chiamavano a fine settembre invece che all’inizio dell’anno scolastico. Volevo solo sollevare l’attenzione per far capire come vive una persona precaria”.

Precaria per tanti anni, poi ex precaria, e ora immobilizzata oltre che mamma a distanza (di milleottocento chilometri) di una figlia che proprio in questi giorni ha perso il padre a causa del Covid.

La storia della maestra Maria Carmela Salvo, 66 anni, di Palermo, s’intreccia con gli aspetti più desolanti della carriera degli insegnanti: il precariato, il ruolo dall’altro capo del Paese rispetto alla sede della propria famiglia che spesso non si può spostare, l’impossibilità di far rientro in sede ad onta delle aspettative tradite per anni. In più, nel caso di Maria Carmela, la constatazione che, giunta ormai a un passo dall’età pensionabile, lei stessa non potrà nemmeno andarci, in pensione, che rappresenterebbe paradossalmente l’ultimo strumento per avvicinarsi ai propri cari e alla terra lasciata.

Dacché non ha ancora maturato i 20 anni di contribuzione minima di legge e quindi è una di quei tanti o pochi insegnanti che dovranno restare al lavoro fino a 70 anni per poter accedere al diritto all’assegno di quiescenza.

Maestra, lei però ha iniziato tardi a insegnare.

“Ho lavorato anche nei periodi precedenti ma ogni volta per pochi giorni all’anno. Quando io mi sono separata da mio marito facevo solo supplenze brevi. Sono passata di ruolo nel 2015, dopo più di sette anni di precariato. Tra l’altro ho vinto due concorsi, una alla primaria e uno all’infanzia. Facevo sempre supplenze brevi prima di decidere di partire. Talmente brevi che ad esempio ai fini pensionistici nemmeno servono. Allora ho chiesto informazioni e mi hanno fatto capire che solo in Friuli c’erano delle possibilità e dunque a 50 anni ho fatto le valigie pensando che avrei fatto qualche anno fuori per poi tornare a Palermo anche perché avevo una figlia minorenne che ho lasciata al papà, morto di Covid proprio questa settimana”.

E invece?

“E invece sono rimasta ingabbiata per quindici anni”.

Dov’è finita?”

“A Cavasso Nuovo, un paesino montano, molto isolato, in provincia di Pordenone”.

Non è più tornata a Palermo?

“Sì, due anni orsono ho avuto l’assegnazione provvisoria a Palermo, invece lo scorso anno non ho nessuna assegnazione e sono dovuta tormare a Cavazzo. Ora sono in malattia”.

Come mai?

“Lì è successo un episodio strano. Un pomeriggio sono andata a riposare, ho abbassato i toni del telefono, ho dormito moltissimo – e non so ancora se per un malore – e mi sono svegliata che erano le 4 del mattino seguente. Mia figlia era terrorizzata, non sapeva cosa mi fosse successo, tanto che sono stati allertati i Carabinieri, ma è difficile trovare la casa in quelle frazioni costituite da tre, quattro case in tutto. E così a un tratto mi è venuta una crisi di ansia e di panico e per questo sonno strano ho messo in difficoltà i miei. Ho lasciato un messaggio a Doriana, nel gruppo dei docenti immobilizzati e la paura si è impossessata di me. Avevo paura di stare da sola, ma ormai mi mancava solo una manciata di giorni per la fine delle attività didattiche. Poi una volta giù a Palermo un neurologo mi ha trovata a pezzi. Ecco perché sono in malattia. E come se non bastasse, questa settimana è morto il padre di mia figlia, dal quale ero separata. In quindici giorni se n’è andato, tra le atrocità della morte e una procedura Covid penosa. Aveva 64 anni, era ancora giovane”.

Ha mai ricevuto solidarietà?

“Tempo fa avevo prodotto un video video che ho girato oltre che al nostru gruppo anche alla Presidente della Regione, ai sindacati. Ho ricevuto la solidarietà delle persone ma questa gradita vicinanza non mi è servita per tornare in Sicilia perché sono ancora a Pordenone come titolare”.

C’è una graduatoria, ci sono le regole, rispondono in tanti.

“Capisco che ci sia una gradatoria, ma non siamo numeri, dietro alle posizioni in graduatoria ci sono dei drammi familiari. La percentuale dedicata a noi è ridotta. Quest’anno è stata solo del 25 per cento. La maggior parte dei colleghi che aspirano alla mobilità ha la 104. Io non ho niente contro la legge 104: se c’è un diritto quel diritto va rispettato, ma il fatto è che nessuno controlla. Così finisce che la possibilità di rientrare diventi irrisoria. Il 31 agosto chiudono le procedure e i posti vengono messi a supplenza annuale”.

Dunque, i posti ci sarebbero, come sostenete da sempre?

“Ci sono e sono tantissimi i posti liberi in Sicilia e anche a Palermo, ed è questo che fa rabbia. Se i posti ci sono perché ci condannano a questa vita? Io sono di Palermo e se insegnassi a Palermo garantirei la continuità didattica, invece in questo modo si produce solo discontinuità che non è giusta, soprattutto nei confronti dei bambini che hanno il diritto di avere lo stesso insegnante per tutti i cinque anni”.

In quale classe insegna quest’anno?

“Ho una seconda primaria”.

E si ritrova a un passo dalla pensione senza essere tornata a casa. Magari ci ritorna proprio grazie al pensionamento.

“In pensione dovrei andarci per età, ma come contributi versati non ci siamo. Io fino a 70 anni devo andare a lavorare per maturare i 20 anni previsti dalla legge come requisito minimo. Ma la situazione non è per nulla chiara. C’è chi mi dice che mancano tre anni e chi mi dice che me mancano cinque. Anche l’Inps non sa dirmi come stiano le cose con precisione”.

Lasciamo il futuro e torniamo al presente e al recente passato. Com’è stata lesistenza a Pordenone?

“Isolamento. Ho vissuto una situazione di isolamento. E non tanto per la scuola di per sé, visto che sia i genitori, sia i colleghi, sia i dirigenti scolastici, sono stati tutti davvero eccezionali. E’ il posto che è abbastanza chiuso come mentalità. E’ difficile fare amicizia, ho solo due amiche, non è stato il massimo per me. Ho subìto episodi di razzismo, qualcuno si è lamentato della maestra terrona.  Tra l’altro ho fatto uno sciopero della fame a Maniago perché avevo sempre l’incarico annuale però chiamavano a fine settembre mentre io che ero già con tante spese ma senza stipendio già dal primo del mese. Poiché l’incarico non arrivava ho protestato e mi hanno infine ricoverata. Volevo solo sollevare l’attenzione per far capire come vive una persona precaria: parti, vai via, lascia la tua casa e la tua terra, affitti un’altra casa, poi devi stare lì ad attendere la chiamata. Le spese sostenute sono state micidiali. Intanto ci vuole la nave per portar su la macchina, via Venezia. Poi arrivi a Pordenone. A volte non sono scesa a Natale perché non me lo potevo permettere economicamente, l’aereo aveva un costo troppo alto. Non potevo peraltro mollare la casa. Mia figlia qualche volta è venuta a trovarmi quando non potevo scendere”.

Tutto questo fa male

“Sono sfinita. Non ce la faccio più fisicamente oltre che psicologicamente. Ora ho pure paura di stare lontano da casa. Se mi succedesse qualcosa non se ne accorgerebbe nessuno”.

Quanti periodi bui ha potuto contare?

“Tantissimi. C’è stata anche la morte di mio fratello, sono scesa di corsa. Come anche quando mia figlia si è rotta il piede, ma non ho potuto avere cura di lei. Mi sono persa tanto in questi anni. Stare lontano da mia figlia è stata ed è dura, ora lei lavora”.

Ma ne è valsa la pena?

“Dal punto di vista professionale sì, dal punto di vista umano ed economico no: ti devi accontentare di quello che trovi. E se ti chiedono 500 euro per un monolocale lo devi prendere, perché devi andare a scuola. E rimane ben poco, tra utenze, spese per gli spostamenti e altro. Però il lavoro di insegnante è quello che ho sempre voluto fare. Amo il mio lavoro, mi chiamano i miei ex alunni e anche quelli attuali, ricevo tanti riconoscimenti… Ecco, le leggo uno di una mia ex alunna: Maestra tu sei stata uno dei tasselli più importanti della mia “infanzia” e per questo ti sarò sempre grata. Buon inizio, un baciotto”.

Queste sono belle soddisfazioni

“Sì, lo sono. Ma dal punto di vista emotivo e familiare questa situazione è devastante. Poi, quando si accumulano anni in questo modo, la distanza dalla famiglia diventa un macigno. Quindici anni sono una vita. Mai avrei immaginato di stare via tutto questo tempo, non pensavo mai di restare imprigionata in questa situazione”.

Colpa dei tagli?

“Sì sì, accolgono sempre meno domende di trasferimento, diminuiscono non perché non ci siano i posti, ma perché i posti sono usati in altro modo. Ci sono persone che hanno un punteggio inferiore e che restano in sede per fare incarichi annuali. E paradossalmente io devo andare via”.

Quindi, sempre paradossalmente e a conti fatti, converrebbe quasi quasi restare precari a vita

“E infatti presenterò la domanda per un incarico annuale  per l’infanzia – come prevede il contratto, ndr – e paradossalmente avrò più possibilità di lavorare in sede come supplente che come insegnante di ruolo. Perderei qualcosa sul piano economico, ma guadagnerei tanto dal punto di vista personale, familiare ed emotivo, mia figlia ha un bisogno disperato di me”.

Cosa si sente di chiedere ora?

“Chiedo che si dia il cento per cento dei posti disponibili a noi che siamo immobilizzati da anni, ci sono colleghe che hanno figli piccoli e genitori anziani. Che questi posti, che ci sono, non siano dati ai supplenti ma che la priorità sia data a noi. Ho fatto la gavetta come tutti, ora pare che essere precari abbia più valore che essere di ruolo e non mi pare che ciò sia corretto. Penso che sia giusto guardare anche all’età anagrafica di una persona”.

Chi vi fa la guerra? Con chi siete in conflitto?

“Non c’è nessuna guerra, sarebbe peraltro una guerra tra poveri. Tutti abbiamo diritto alla stessa cosa ma penso che sia giusto che noi abbiamo la priorità rispetto a gente che non ha mai o quasi mai messo piede in una classe. Abbiamo anche un’esperienza lavorativa notevole. Sono stata precaria e dunaque so che cosa significhi essere precaria. Ma dà un po’ fastidio il fatto che, appena hai messo il naso nel mondo scuola, lavori sotto casa, mentre io debba invece stare a 1800 chilometri da casa mia. Se avessi saputo come stanno le cose avrei atteso da precaria piuttosto che stare quindici anni fuori. Mia figlia allora aveva sedici anni. Il distacco è stato traumatico, poi la separazione. Ma almeno ero a Palermo. Poi la decisione e andare a 1800 km di distanza, una volta come detto mi hanno dato l’assegnazione provvisoria ma non pensavo che non me l’avrebbero più ridata. Pensi al trasloco, con tutta la roba che va su e giù. Se hai trent’anni è un discorso se ne hai sessantasei è sofferenza”

Quanto guadagna una maestra?

“Io prendo 1500 euro al mese. Sono gli stipendi più bassi d’Europa. Dicono che abbiamo due mesi di vacanza, ma noi non stacchiamo mai con la testa. Il pomeriggio, il sabato e la domenica li passo con la programmazione e per preparare la lezione, la correzione dei lavori, non si stacca mai. Non è come lavorare in ufficio che stacchi e chiudi la porta, la scuola è un lavoro continuo, i colloqui, impegni collegiali, spesso alle dieci di sera si lavora a casa per la scuola. E’ un lavoro che devi amare: se lo fai male procurerai un danno alla società. Ci vuole tanto amore per il sapere e verso i bambini. E noi questa responsabilità la sentiamo tutta”.

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